Leggendo varie biografie di cantanti più o meno illustri del secolo XX, capita spesso di trovare ad un certo punto la frase "Il famoso tenore, il grande soprano, il celeberrimo Pinco Pallino di turno andò a trovare un altro famoso tenore, un altro grande soprano, un altro celeberrimo Pinco Pallino nel suo camerino al termine della recita (doverosamente straordinaria) di X opera". Eppure, mai come nel caso di Tito Schipa mi è capitato di leggere che il tenore leccese si fosse presentato all'ingresso artisti di un qualche teatro e che non fosse stato riconosciuto - nel migliore dei casi - o che fosse stato persino sul punto di essere allontanato in malo modo - nel peggiore.
Povero Tito Schipa!
E dire che è considerato uno dei più grandi tenori dell'inizio dell'altro secolo, nonostante l'estensione vocale limitata (che tuttavia non gli impediva di affrontare tessiture impervie) e la voce non particolarmente bella. Il suo debutto ufficiale si situa in quel di Vercelli con - manco a dirlo - Traviata nel 1910, anche se sembra che il nostro fosse stato attivo già in precedenza. Il debutto nei ruoli donizettiani arriva circa un lustro dopo, quando nel suo repertorio entrano stabilmente Lucia di Lammermoor, di cui sentiamo qui un estratto con tanto di inevitabile orchestrina ridicola (ma non che il nostro appaia qui particolarmente in vena...):
Elisir d'amore, in cui Schipa "delineava un Nemorino trasognato e poetico nella sua goffaggine" (cfr. La grande enciclopedia della musica lirica, vol. 4, p. 1112), complici anche le famose smorzature che caratterizzavano il suo canto anche in opere quali Manon e Mignon:
e in ultimo Don Pasquale:
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