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mercoledì 14 dicembre 2011

Il grammofono: un Faust atomico



Quando non tiro fuori dalla borsetta il taccuino che di solito mi porto dietro per segnarmi delle note sullo spettacolo a cui sto assistendo, significa che sono particolarmente presa. E se sono particolarmente prese, vuol dire che le cose stanno andando assai bene, per le mie orecchie.
Talmente bene che la musica è riuscita a distrarmi adeguatamente dall'allestimento, piuttosto bruttino. Scena sostanzialmente fissa, che parte come laboratorio del Dottor Faust (che qui è visto come l'inventore, pentito, della bomba atomica), diventa poi Chiesa, prigione, giardino... Un tantino triste, anche perché differenziare gli ambienti non ci sono che pochi elementi: un letto, della panche, una macchina da cucire...
Il lavoro sui singoli sembra nullo, o quasi. Margherita sembra una cretina un po' fuori di testa già dalle prime battute. Mefistofele, che pure si presterebbe a caratterizzazioni molto più varie e, volendo, eccentriche, fa qualche mossetta  e niente più. Faust non si capisce bene da che parte stia: attira l'attenzione perché Kaufmann ha una presenza scenica piuttosto magnetica, ma con un altro in scena, ci sia sarebbe dimenticati del protagonista.
Passiamo al ben più lieto capitolo musica.


Dirige con un bel piglio Yannick Nézet-Séguin. Tempi adeguati e buona coordinazione tra buca e scena (non mi esprimo sul volume orchestrale rispetto alle voci per ovvi motivi). A contrario della regia, riesce a differenziare bene i cambi di atmosfera: i momenti di festa sono allegri e briosi, quelli romantici più raccolti e così via. 
Più che buono il Valentin di Russell Braun: non commette errori di rilievo, fraseggia con buon gusto, sta bene in scena. Magari per questo ruolo, secondario, ma neanche tanto, ma bello, sarebbe bello avere un'interprete di maggiore personalità, ma non mi lamento affatto.
Michele Losier presta a Siebel una voce, come pure una presenza, giovanile e guizzante. Una brava cantante che non conoscevo, ma che risentirei volentieri.
Veniamo al trio dei protagonisti e partiamo dall'anello debole del cast.
La buona Marina Poplavskaya si impegna molto. Cerca di rendere credibili le cavolate proposte dal regista (Margherita al lavoro su una macchina da cucire: questa è vera trasgressione!) e di venire a capo di una parte che non è di certo nota per essere di quelle più impegnative, vocalmente, del repertorio sopranile. Fa il compitino. Non combina nessun grosso guaio. Però... Però le agilità non sono proprio perfette (e Gounod non ha previsto chissà quali virtuosismi), l'acuto estremo sembra sempre al limite, dal fa in su si stimbra e anche al centro la voce non ha un fascino particolare. Aggiungo che qualche accento mi è parso un tantino lezioso, ma questa è una questione strettamente legata al mio gusto personale. 
Mi rendo conto di aver dato forse troppo rilievo ai lati negativi, facendo sembrare la sua prestazione peggiore di quanto mi fosse realmente sembrata. La realtà è che, pur non avendoci offerto una prestazione trascendentale, la Poplavskaya se l'è cavata piuttosto bene, e si è guadagnata dei meritati applausi a fine serata.


René Pape ci propone un Mefistofele elegante. Forse anche troppo! Voglio dire che in certi momenti si sente la mancanza di quel sadismo, di quell'essere burlone eppure diabolico. Non dico di ridurre il ruolo ad una macchietta, ma qualcosina in più, anche grazie ad una mano registica maggiormente illuminata, nella caratterizzazione non mi sarebbe dispiaciuto. La voce non è delle più belle, il timbro suona un tantino arido, ma viene usata magistralmente. Quello che è mancato nella recitazione, è stato, invece, molto ben espresso dal canto. Prima quasi scherzoso, per poi diventare sempre più sulfureo e terribile man mano che la trama volge al dramma. Splendido ne Le Veau d'Or . 
Dulcis in fundo, il Zuanin! Metto subito le mani avanti. Sono un'estimatrice convinta (lo sono diventata dopo vari ascolti, sulle prime ero scettica anch'io) delle sue interpretazioni.
Non nego i difetti, ma non posso neanche fare a meno di sentirne gli enormi, a mio avviso, pregi. Daland, nel suo commento al mio post che avvisava della proiezione cinematografica parla di "croniche ingolature di Kaufmann". Che spesso la voce suoni gutturale, credo sia praticamente innegabile. E di certo io non ci proverò :). Su blog e forum specializzati si è discusso all'infinito i questa tecnica, che molti disapprovano. Sono in molti a prevedere una carriere breve perché questo tipo di emissione, a detta di molti, logorerà a breve il suo strumento. Se posso permettermi di esprimere il mio parere, vorrei ricordare che Kaufmann di anni ne ha già 42  ed è in carriera già da una buona quindicina. Ad ascoltarlo volendo seguire un criterio cronologico, noteremo che la voce non è cambiata più di tanto. Ci sono alti e bassi, certo, ma le serate balorde capitano a tutti. Aggiungo che, dal basso della mia esperienza di dilettante del canto, se davvero basasse totalmente, o quasi, la sua emissione sull'utilizzo della gola, non solo non arriverebbe in fondo ad un'opera in modo decente, ma si ammazzerebbe anche a finire un'aria! Ora. Non mi sogno di dire che la sua tecnica vada presa ad esempio per le nuove generazioni, ma, pur essendo poco ortodossa, tanto male non deve poi essere! Ma, alla fine dei conti, sinceramente, quando vado a teatro, voglio sentire qualcosa che mi piaccia, non stare lì a controllare come respira il tenore, come gira gli acuti il soprano e così via! In sostanza, per me conta il risultato. Come poi il cantante di turno lo ottenga, sono affari suoi XD.
Andando al dettaglio della serata, ho molto apprezzato il bel colore scuro e la buona padronanza del registro grave nel primo atto. Credo che questo tipo di voce serva la scrittura di Gounod, che, ricordo, ritrae un Faust anziano, molto meglio di tanti tenori leggeri che hanno affrontato il ruolo e che, per forza di cose, nel primo atto hanno poco da offrire. Una volta avvenuto il ringiovanimento la tessitura si alza e arrivano gli acuti. A parte un si (però non ci giurerei, non conosco così bene lo spartito) a fine primo atto, che è uscito piuttosto maluccio, direi che il registro acuto ha retto alla grande, mostrando anche un gran bel Do (che si è leggermente incrinato verso la fine, ma a suo merito va detto che, invece di respirare, come hanno fatto in molti, anche grandissimi, prima di lui, fra Où se devine e la présence, lega tutta la frase) in Salut, demeure chaste et pure. Come abbiamo sghignazzato in diretta io e Armida, ha pure spettinato la povera Poplavskaya in più di un'occasione XD. Inoltre il timbro brunito (gutturale, ok, ma a me piace ;) ) dei centri e il fraseggio sensibile servono a delineare magnificamente un personaggio tormentato e dall'incredibile fascino da "maledetto". 
Insomma, avrà pur qualche difetto, ma Kaufmann in questo Faust mi ha entusiasmato!