E' così strano per me parlare di un cantante vivo, in carriera e a colori (!) che, sebbene abbia liberamente scelto di parlare di Joyce DiDonato in questo post, mi trovo spiazzata.
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lunedì 4 maggio 2020
venerdì 17 gennaio 2020
lunedì 25 luglio 2016
Joyce DiDonato come Francesca Cuzzoni
Forse ne avevate sentito parlare, forse no, forse avrete persino già visto il video che oggi vi voglio proporre, dal momento che non è una novità, ma mi ha divertita e continua a divertirmi così tanto che voglio condividerlo con voi. Si tratta di una breve in clip in cui una magnifica Joyce DiDonato interpreta una grande diva di un passato molto remoto.
venerdì 18 dicembre 2015
martedì 2 settembre 2014
venerdì 14 dicembre 2012
giovedì 6 dicembre 2012
mercoledì 25 gennaio 2012
Il grammofono: The Enchanted Island in HD ossia l'esperimento riuscito

Anzitutto, vi rifilo qui gli interpreti così il grosso del lavoro è fatto:
Joyce DiDonato, Sycorax
David Daniels, Prospero
Luca Pisaroni, Caliban
Danielle de Niese, Ariel
Lisette Oropesa, Miranda
Anthony Roth Costanzo, Ferdinando
Plácido Domingo, Neptune
Metropolitan Opera House Orchestra & Chorus
direttore, William Christie
Joyce DiDonato, Sycorax
David Daniels, Prospero
Luca Pisaroni, Caliban
Danielle de Niese, Ariel
Lisette Oropesa, Miranda
Anthony Roth Costanzo, Ferdinando
Plácido Domingo, Neptune
Layla Claire, Helena
Elizabeth DeShong, Hermia
Paul Appleby, Demetrius
Elliot Madore, Lysander
Metropolitan Opera House Orchestra & Chorus
direttore, William Christie
Insomma, ieri sera è andata in onda la trasmissione dell'Enchanted Island, prima mondiale di un pastiche barocco su musiche di Rameau, Vivaldi, Handel e chi più ne ha più ne metta. Essendo questa una prima mondiale, non ce la potevamo perdere, anche perché io, se continuo su questa pessima strada del "non mi va bene niente", difficilmente potrò assistere a un'altra prima di qualcosa che mi vada a genio...
... e forse che io non intervenga alle prime è un bene, chissà. L'ultima volta, per Le nozze di Figaro che il Luca cantava al Festival di Salisburgo due anni e mezzo fa, sono arrivata in teatro a dieci minuti dall'inizio, masticando una Wiener schitzel (Aspasia non me ne voglia se l'ho scritto scorretto) trangugiata in fretta e furia perché l'omino del chiosco ce l'aveva fritta sul momento, annullando il largo anticipo che ci eravamo prese. Non contenta di questo, avevo anche in mano una bottiglia di Coca Cola, mentre intorno a me tutte le befaniche dive teutoniche bardate a dovere si facevano immortalare da doviziose schiere di fotografi. Io, dal canto mio, avevo il mio bel daffare a schivarli...

Anche stavolta, c'era il Luca a consolarmi dalle disavventure preoperistiche (avevo litigato di nuovo col passaggio a livello di cui al Don Giovanni)... Un momento, Ho detto il Luca! Chi diavolo è quel tizio in divisa scimpanzé, la faccia pesantemente truccata di bianco e giallo e la folta chioma di rasta? E poi, andiamo, è troppo basso per essere il Luca! Con l'andazzo caracollante e gobbo che ha tenuto per tutta l'opera (per non mettere in soggezione i comprimari con la sua altezza, presumo) chi l'avrebbe riconosciuto? Poi, per fortuna, ha aperto bocca per cantare e tutto è andato in ordine. Era lui, proprio il nostro melodioso Luca che continua ad incantare quando fa il cattivo.
Perché fa il cattivo? Beh, povero, aveva i suoi buoni motivi per essere arrabbiato: Prospero, che in passato aveva amato e abbandonato sua madre, Sicorax, si era impossessato della sua isola e anche dello spiritello Ariel, loro servo. Sedici anni dopo questo tradimento, Prospero ordisce un piano per assicurare la felicità di sua figlia Miranda e fuggire dall'isola. Il piano consiste nel far naufragare la nave della famiglia reale (fra cui c'è il giovane principe Ferdinando, destinato ad amare Miranda) sulla costa dell'isola.

Non l'avessi pensato! Dopo aver finito il gioioso quartetto (Siamo la coppia più bella del mondo e ci dispiace per gli altri. Ovviamente sto scherzando), la nave si inabissa e loro scompaiono. Quando, uno per uno, ricompaiono in scena, i costumi sono sbrindellati a dovere come per un vero naufragio! NOOO! Addio, bel giacchino con le perle! Addio, scarpette col fiocchetto! Addio, bei cappellini! Addio, nastri, fronzoli e trine! Lascia ch'io pianga mia cruda sorte!
Intanto, la strega Sicorax ha preparato una pozione per riacquistare i poteri (e, già che c'è, la giovinezza) e rimpossessarsi dell'isola. Non pensa però solo a se stessa, perché, capitatale a tiro Elena, le fa un incantesimo perché si innamori di Caliban, con cui poi gironzolerà e si farà spiegare le meraviglie esotiche dell'isola (esilarante il recitativo del Luca in cui riassume così il loro idillio "Fra noi non era solo una questione di botanica... ma anche di chimica!").
Demetrius (quello della giaccia celeste) è intanto capitato a tiro di Ariel, che, convinta che si tratti di Ferdinando, lo fa innamorare di Miranda (e lei di lui) con un incantesimo. Per farla breve, si scopre che non si tratta di Ferdinando. Ariel va a cercarlo sperando di trovarlo. Trova Lysander. Gli fa l'incantesimo. Incanta anche Miranda, che si dimentica di Dimitri, che però è ancora innamorato di lei. Per celebrare l'evento, Ariel fa comparire dei palloncini e un drappo di benvenuto sul fondale, ma... Si scopre che anche quella volta Ferdinando l'ha fatta franca.
Ariel, decisa a rimediare al suo errore, scende negli abissi per invocare l'aiuto di Nettuno. E come ci scende! Con un costumino da palombaro! E come la accoglie il Nettuno-Topone? Dicendole che ormai è stanco e vecchio! Sturiamoci bene le orecchie, perché credo che sarà l'ultima volta che il Topone ammetterà di avere un'età (Sibillo decrepito!). Il riferimento non ha divertito solo me, perché il poco diplomatico (ma tanto alla mano) pubblico del Met si è sganasciato all'affermazione. Proprio come in un telefilm americano...
Ariel, decisa a rimediare al suo errore, scende negli abissi per invocare l'aiuto di Nettuno. E come ci scende! Con un costumino da palombaro! E come la accoglie il Nettuno-Topone? Dicendole che ormai è stanco e vecchio! Sturiamoci bene le orecchie, perché credo che sarà l'ultima volta che il Topone ammetterà di avere un'età (Sibillo decrepito!). Il riferimento non ha divertito solo me, perché il poco diplomatico (ma tanto alla mano) pubblico del Met si è sganasciato all'affermazione. Proprio come in un telefilm americano...

Nel secondo atto le cose vanno lentamente apposto: Elena ritrova Hermia e rivede Demetrius, per cui abbandonda Caliban, che, disperato, evoca una visione (risolta con un coloratissimo balletto) per consolarsi, rischiando di esserne travolto. L'incantesimo è infranto da Prospero.
Ariel riesce a far sì che i quattro innamorati si ritrovino, ciascuno con lo sposo giusto e Miranda trova finalmente il suo Ferdinando, per cui non serve la magia: i due si innamorano a prima vista. In sostanza, ci hanno tenuti sulle spine per due ore e mezza per farla finire così! E no!

Come me deve averla pensata anche Sicorax, che compare per rivendicare i suoi diritti con un cappello da corsaro con le piume di fagiano e un mantello che grida Papagena Papagena Papageeeena! Difatti, sulle prime Prospero è poco disposto a trattare, ma poi arriva Nettuno e come resistere al Topone? Da parte sua, Sicorax perdonerà a Prospero i torti passati e Prospero assicurerà la libertà ad Ariel...
Fino a questo momento, Ariel aveva un costume color bronzo. Al momento della liberazione, compare in scena con un completo color oro... UGUALE, dico UGUALE, a quello del Re Sole nelle vesti di Apollo. Qui si copia...


L'allestimento era incorniciato da un arco fisso che, con le proiezioni, diventava un ingranaggio, un mostro e quant'altro per rendere più efficace la scena. Ai lati estremi, si collocavano il laboratorio di Prospero e la casa di Sicorax. La foresta era quanto più selvaggia possibile, con grovigli di rami, poca luce, animali mostruosi e tutto ciò che poteva dare l'idea di un mondo lontano e incontaminato. Il capolavoro, però, rimane il fondale marino, costruito su misura di Topone per farlo figurare con tutta la solennità possibile. Alcune delle sirene erano appese in aria per dare l'idea della profondità, la sala del trono prevedeva il trono rialzato al centro e i coristi disposti ai lati di esso, dietro delle sagome di sirene e tritoni da cui facevano capolino soltanto le teste.


L'allestimento era incorniciato da un arco fisso che, con le proiezioni, diventava un ingranaggio, un mostro e quant'altro per rendere più efficace la scena. Ai lati estremi, si collocavano il laboratorio di Prospero e la casa di Sicorax. La foresta era quanto più selvaggia possibile, con grovigli di rami, poca luce, animali mostruosi e tutto ciò che poteva dare l'idea di un mondo lontano e incontaminato. Il capolavoro, però, rimane il fondale marino, costruito su misura di Topone per farlo figurare con tutta la solennità possibile. Alcune delle sirene erano appese in aria per dare l'idea della profondità, la sala del trono prevedeva il trono rialzato al centro e i coristi disposti ai lati di esso, dietro delle sagome di sirene e tritoni da cui facevano capolino soltanto le teste.
Adesso due parole sui cantanti. In generale non ci sono grosse pecche da rilevare: la Sicorax di Joyce DiDonato, tecnicamente impeccabile, è stata convincente nell'evoluzione del personaggio, da vecchia decrepita a sfavillante giovane, in grado di trascinare il pubblico nella sua aria di vendetta e anche di intenerirlo mentre consola Caliban in preda agli spasimi per la delusione d'amore; Daniels ha reso con cura un Prospero malandato in salute ma ancora determinato a spuntarla, con punte di eccellenza nel malinconico finale del primo atto; il Luca ha saputo tratteggiare bene il suo personaggio "cavernicolo" ma in cerca di una tenerezza che il suo aspetto respinge; ben assortite anche le due coppie di innamorati.
Voluttuosa nota di biasimo, invece, per lo spiritello Ariel, creaturina che nelle intenzioni doveva essere simpatica e che invece è stata assegnata all'inqualificabile De Niese. E' stata una disperazione dall'inizio alla fine, con una voce di per sé spiacevole e estremamente sgraziata, che meriterebbe una sana revisione dall'acuto al grave, per non parlare delle sguaiatissime agilità che hanno fatto gridare "Vogliamo la Bartoli!" (non credevo l'avrei mai detto) al momento di Agitata da due venti (per l'occasione ribattezzata in altro modo, ma non ricordo le parole riadattate).
Ovviamente, l'eroe della serata non poteva che essere il Topone, ancora sulla cresta dell'onda (non a caso interpreta Nettuno) per quanti anni abbia. Salvo un paio di brevissime defaillance, ha dimostrato ancora una perfetta padronanza del suo strumento, tale da giustificare il caloroso applauso "in fiducia" al suo ingresso, non fosse che per lo splendore della scenografia e per la sigla della Champions League (scusa, Georg Friedrich, ma così è se vi pare...).
Bella la direzione di Christie, ben ordinata ed elegante, un tocco che ci voleva in quest'opera così particolare.
Insomma, io sono uscita soddisfatta dal cinema e con la sensazione di aver visto quasi quattro opere in una. Anche questa ha quel che di onirico proprio di tutte le opere barocche (onirico nel senso che si dà il buonanotte alla trama perché l'importante è vezzeggiare quelle benedette ugole d'oro), ma, a causa della trama intricata, ha riassunto in se stessa tutti gli elementi a noi noti.
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lunedì 23 gennaio 2012
Signori di fuori son già i suonatori: The Enchanted Island al cinema in HD

Sgombriamo subito il campo da eventuali dubbi: non si tratta di un'opera nuova. O meglio, è nuova nell'insieme, ma i brani in essa contenuti sono tutti tratti da composizioni del '700 già eseguite. La novità sta nel fatto di averle estrapolate dal loro contesto originario per riassemblarle sullo scheletro di un nuovo libretto in lingua inglese basato su "La tempesta" e "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare.
Diciamo che l'esperimento pare abbastanza ardito: mescolare autori (Handel, Vivaldi, Rameau, ecc...) relativamente vicini come epoche di attività, ma non certo affini come stile, e soprattuto adattare brani nati per altri scopi (alcuni provengono da composizioni sacre o Oratori) per creare un'opera unitaria a me suonava come un tentativo di compilare un "Greatest Hits" che potesse rendere l'opera barocca facilmente digeribile per un pubblico che in gran parte la ignora. Non discuto sui singoli brani (anche se traduzioni e trasposizioni di tonalità possono fare dei bei danni...) che di certo funzioneranno a dovere, ma non si tratta di un concerto, bensì di un opera in cui, si presume, si segua in filo logico e abbia una certa omogeneità. Onestamente sono un po' scettica, ma non pongo limiti allo provvidenza!
Un altra nota dolente potrebbe essere la trama: piuttosto contorta e con troppi personaggi principali. Temo che su questo versante Jeremy Sams (autore di libretto e "musica") abbia un tantino esagerato.
Ma ci sono, ovviamente, anche dei validissimi motivi che rendono, per me, questa trasmissione ghiottissima. L'allestimento pare essere sfarzoso, di carattere Disneyano, coloratissimo e molto movimentato. Ma quello che mi alletta di più è il cast in cui spiccano tre fra i cantanti più amati dalle vostre diaboliche blogger:
L'adorata e adorabile Joyce Di Donato illuminerà la scena con la sua proverbiale bravura nella coloratura e talento da attrice, l'inesauribile Topone debutterà nel miliardesimo ruolo della sua ormai millenaria carriera e IL Luca certamente non mancherà di fornirci argomenti validi per sghignazzare. Purtroppo per goderci loro dovremmo sopportare la sempre indigesta Danielle de Niese, ma purtroppo dovremmo farcene una ragione. Speriamo, inoltre, nell'esperta direzione di William Christie.
Sentiremo e riferiremo!
martedì 13 dicembre 2011
martedì 6 dicembre 2011
martedì 15 novembre 2011
Una voce poco fa: Ah, qual colpo inaspettato! (Milano, 8-9 Novembre 2011). Primo atto
Ancora rapita e in estasi dopo aver presenziato alla rappresentazione di martedì 8 novembre de La donna del lago mi accingo a riportare alcune mie impressioni.
A dirla tutta, lasciata la parte ludica ad Armida, mi sono ritrovata con quella più difficile. Infatti quando le cose vanno male le dita sembrano andare da sole sulla tastiera. Quando invece è stato (quasi) tutto positivo, la fantasia va a farsi friggere, quindi scusatemi se sarò noiosa ;).
Parlavo di serata positiva. Beh, la definizione "positiva" è infinitamente lontana dalla realtà. Potrei insultarmi da sola per la sua scarsissima efficacia. In realtà la serata è stata semplicemente straordinaria: tutt'altro che una recita qualsiasi di una produzione qualsiasi. Credo che in molti, a teatro, quella sera, si siano resi conto di star assistendo ad un momento storico. Chissà. Magari fra 20 o 30 anni noi presenti racconteremo di quelle recite come fanno adesso quelli che parlano di spettacoli leggendari, con la Callas, o Pavarotti, o altri miti. Lo so che molti non concorderanno con queste mie affermazioni ribattendo col solito "non si canta più come una volta", "i bei tempi sono passati", "l'opera è morta" o altre frasi del genere, ma per me la sera dell'8 novembre è stata la prova che l'opera, pur coi suoi problemi, è ancora viva e in grado di fornirci momenti di pura estasi artistica (senti come scrivo stasera XD).
Veniamo finalmente a quello che più ci interessa: le voci.
Il ruolo di Elena è stato ricoperto da Joyce DiDonato. Se devo dire la verità, a me non convince tanto la recente abitudine di affidare i ruoli che Rossini ha scritto per Isabella Colbran a dei mezzosoprani. La scrittura piuttosto centrale della parte effettivamente sembra lasciare spazio a questo tipo di scelta perché effettivamente le note scritte da Rossini sono fattibili per dei mezzi, ma si corrono diversi rischi: il mezzo in questione potrebbe voler "fare il soprano", forzano quindi il proprio strumento, oppure potrebbe finire per assomigliare troppo a Malcon (personaggio maschile, creato però per una voce di mezzosoprano) e quindi avere in scena dei doppio (una coppia di innamorati, per giunta). Effettivamente, nonostante la Rossini renaissance abbia fatto molto per definire la prassi esecutiva del pesarese, la vocalità adatta a risolvere le parti scritte per la Colbran sembra ancora un punto irrisolto. Dall'alto della mia infinita sapienza musicale (ridete pure, io lo sto facendo), io certamente opterei per un soprano. Non un soprano leggero puro, Elena infatti non si può risolvere solo con variazioni sovracute e puntature. Certo, gli acuti ci stanno bene, soprattutto nel rondò finale, che trarrebbe grande giovamento espressivo da dei "fuochi d'artificio" ben emessi, ma non sono l'unica caratteristica necessaria. Se si può fare a meno di un grave corposo, è invece necessario un cento abbastanza sonoro e di bel colore. Non dovrebbero, inoltre, mancare le agilità (anche in zona centrale).
Niente di più facile XD. Se ripensiamo ad interpreti passate di Elena, noteremo che a tutte manca sempre qualcosa: alla Caballè i sovracuti, alla Devia i centri (anche se, vista la scrittura della parte, trovo la Caballè, teoricamente, più adeguata). Volendo fare un po' la passatista, forse la Sutherland avrebbe trovato la quadratura del cerchio, ma purtroppo non lo sapremo mai. Quindi non discuto le doti della DiDonato in quanto cantante, ma chi le propone certi ruoli.
Prescindendo da queste considerazioni (mi sono accorta di aver scritto un poema) devo dire che Joyce ha chiaramente dimostrato di meritare la considerazione che ha attualmente nel mondo dell'opera. Fraseggio accurato e sentito, agilità pulite, estremo acuto che ogni tanto pare al limite e fa sentire la "fibra della voce " (e qui torna il discorso del mezzo che "vuole fare" il soprano), ma comunque efficace, bei centri e voce che corre molto bene. Al terminde del rondò finale le viene tributato un sonorissimo applauso più che meritato (anche se, volendo cercare proprio il pelo nell'uovo di una serata eccellente, devo dice che io non ho gradito particolarmente la cadenza posta tra la fine di Tanti affetti e l'inizio di Tra il padre: quella sequenza di trilli era proprio bruttina e fuori contesto).
Daniela Barcellona (Malcom), annunciata indisposta (ma si faticava a notarlo, se non in alcuni passaggi in cui la voce perdeva un po' di vigore e alcune prese di fiato, che parevano affannose) ha ricoperto splendidamente il ruolo del cavaliere innamorato di Elena: coraggioso e appassionato ma delicato, il suo Malcom si è espresso mediante un timbro caldo e fascinoso, un'ottima coloratura, con padronanza su tutta l'estensione e accento partecipe: una prestazione da incorniciare.
Sul nostro amatissimo Juan Diego potrei iniziare un panegirico di proporzioni mastodontiche, ma siccome sono magnanima e non voglio tediavi vi dirò semplicemente una cosa: per come l'ha cantata quella sera, la parte di Giacomo V sembra una passeggiata. Dopo O fiamma soave si è scatenato un delirio di applausi e grida di "Bravo". Uno spettatore, dotato di voce molto ben proiettata, ha svettato sulla massa con uno stentoreo "sei splendido!" Non posso fare a meno che concordare.
Diverso il discorso per John Osborn (Rodrigo), il quale ci ha fatto percepire quanto il suo ruolo fosse difficile: l'estensione non gli manca, anche se i sovracuti si stimbrano e spesso sono imprecisi e in odore di falsettone (il confronto con Florez nel terzetto del secondo atto è impietoso). Nel tentativo di darsi un maggiore peso drammatico forza eccessivamente la sua voce di natura sostanzialmente leggera con il risultato di renderla traballante in alcune frasi centrali. Nonostante questo tratteggia encomiabilmente il personaggio e, pur un gradino sotto ai tre colleghi precedentemente citati, offre una performance di livello assoluto.
Il Douglas di Simon Orfilia, pur senza particolari errori (salvo alcuni transitori problemi di intonazione), è positivo, ma non lascia il segno. Benché canti Rossini con una certa frequenza e da qualche anno, da la sensazione che il Cigno non sia il suo forte.
Josè Maria Lo Monaco, che in altri teatri ricopre ruoli da protagonista, è un'Albina di lusso.
Buoni Jaeheui Kwon (Serano, che migliora nettamente rispetto alla disastrosa prima) e Jihan Shin.
Roberto Abbado dirige con mestiere e buon gusto, ma la sua non è un'interpretazione che ci ha fatto saltare sulla sedia.
Coro e orchestra, mi spiace dirlo, per niente all'altezza della compagnia di canto. Per quanto riguarda l'orchestra, gli elementi peggiori sono stati i fiati, segnatamente gli ottoni, che in più di un'occasione hanno "spernacchiato"; il coro (in particolare le sezioni maschili) ha avuto un rendimenti discontinuo, alternando passaggi suggestivi a momenti censurabili e del tutto inadeguati all'autore che stavano cantando.
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domenica 13 novembre 2011
Una voce poco fa: Ah, qual colpo inaspettato! (Milano, 8-9 Novembre 2011). Antefatto
Quest’operazione, come avrete notato, non è intitolata con un nome in codice come le precedenti, ma ciò non è dovuto a una improvvisa mancanza di fantasia, ma a un fatto semplicissimo: io, in tutto questo (come in molto altro...), non avrei dovuto centrare un tubo.
Il piano originario prevedeva che Aspasia si recasse alla Scala in compagnia di sua madre e che io restassi a casa a fare la calza e trepidare per la sugosa cronistoria al loro ritorno. Invece, per cause di forza maggiore, è stata necessaria una sostituzione dell’ultimo minuto... e quando dico ultimo minuto, intendo proprio ultimo minuto, cioè le sette di sera di Lunedì 7, con la partenza fissata alle dieci di mattina di Martedì 8.
«Miserere!» ho pensato, dopo che Aspasia, al telefono, mi aveva spiegato il corso degli eventi, «Niente di pronto, non ho neanche un vestito da sera invernale! La valigia sarà in chissà quale nicchia del garage! Adesso sono via, prima delle nove non sarò a casa! E domani mattina dovrei trovarmi in stazione bella e pronta? Santa Radegonda! Come posso dire di sì?»
«Accetto» ho risposto invece, convinta come don Camillo quando, appena tornato dalla Russia dove si era recato sotto mentite spoglie, deve ripartire per l'America su richiesta del vescovo.
Figurarsi se avessi risposto di no: le partenze all’ultimo, gli imprevisti, i colpi di scena sono il mio mestiere, pazienza per i bagagli da preparare e il vestito da comprare! Non mi scompongo per lo scompiglio, semmai lo incoraggio.
Caso voleva che fossi in un centro commerciale e che avessi davanti a me valanghe di vestitini graziosi... Ho fatto talmente in fretta a trovarne uno che ho mi è avanzato tempo anche per un bel paio di scarpe.
PRONTI, PARTENZA, VIA! Martedì 8 Novembre dell’anno di grazia 2011, siamo puntualmente partite alla volta di Milano coi potenti mezzi Trenitalia.
L’albergo. Bel posticino, in sito centrale ma non trafficato: il quartiere era talmente carino che ruminavamo fra noi «WOW! Non sembra nemmeno Milano!» Né io né Aspasia siamo patite di quella grigia città (benché un insistente coniglio che pubblicizzava un insipido risotto allo zafferano e affisso ad ogni cantone ostendesse il piatto esclamando “E poi dicono che Milano è grigia!”), quindi l’esclamazione tornava ad onore della via.
Il piano originario prevedeva che Aspasia si recasse alla Scala in compagnia di sua madre e che io restassi a casa a fare la calza e trepidare per la sugosa cronistoria al loro ritorno. Invece, per cause di forza maggiore, è stata necessaria una sostituzione dell’ultimo minuto... e quando dico ultimo minuto, intendo proprio ultimo minuto, cioè le sette di sera di Lunedì 7, con la partenza fissata alle dieci di mattina di Martedì 8.
«Miserere!» ho pensato, dopo che Aspasia, al telefono, mi aveva spiegato il corso degli eventi, «Niente di pronto, non ho neanche un vestito da sera invernale! La valigia sarà in chissà quale nicchia del garage! Adesso sono via, prima delle nove non sarò a casa! E domani mattina dovrei trovarmi in stazione bella e pronta? Santa Radegonda! Come posso dire di sì?»
«Accetto» ho risposto invece, convinta come don Camillo quando, appena tornato dalla Russia dove si era recato sotto mentite spoglie, deve ripartire per l'America su richiesta del vescovo.
Figurarsi se avessi risposto di no: le partenze all’ultimo, gli imprevisti, i colpi di scena sono il mio mestiere, pazienza per i bagagli da preparare e il vestito da comprare! Non mi scompongo per lo scompiglio, semmai lo incoraggio.
Caso voleva che fossi in un centro commerciale e che avessi davanti a me valanghe di vestitini graziosi... Ho fatto talmente in fretta a trovarne uno che ho mi è avanzato tempo anche per un bel paio di scarpe.
PRONTI, PARTENZA, VIA! Martedì 8 Novembre dell’anno di grazia 2011, siamo puntualmente partite alla volta di Milano coi potenti mezzi Trenitalia.
L’albergo. Bel posticino, in sito centrale ma non trafficato: il quartiere era talmente carino che ruminavamo fra noi «WOW! Non sembra nemmeno Milano!» Né io né Aspasia siamo patite di quella grigia città (benché un insistente coniglio che pubblicizzava un insipido risotto allo zafferano e affisso ad ogni cantone ostendesse il piatto esclamando “E poi dicono che Milano è grigia!”), quindi l’esclamazione tornava ad onore della via.
Il centro. Riposte le valige, fuori a far baldoria! Foto d’uopo davanti al manifesto affisso fuori dalla Scala, guardando intorno semmai uno dei nostri eroi avesse la sciagurata idea di incrociare la nostra strada, arpionarlo per un autografo e dimostrare al malcapitato cosa possono essere due fans isteriche, perlustrazione di Piazza Duomo e giretto per la Rinascente, centro commerciale d’impianto simile all’Harrods di estiva memoria, un po’ meno kitsch e con tanto di dolci carissimi e bellissimi all’ultimo piano (c’erano anche delle invitanti scarpe tacco dodici e borsetta coordinata al cioccolato. La stessa idea l’hanno avuta a Venezia col Murano, ma preferisco la variante milanese...). Uscite da lì e proseguendo sotto il portico, ci siamo imbattute in una via che non avremmo mai creduto di trovare, dedicata a una santa che credevo dimenticata e che, suo malgrado, è diventata la patrona di questo blog:
Aggiungendo che vicino all’albergo c’era poi quest’altra via, di un altro santo altrettanto famoso:
siamo giunte alla conclusione che i Milanesi condividono la mia stessa predilezione per i santi bizzarri.
Tempo scaduto! Rientro in albergo per i grandi preparativi. Due primedonne hanno bisogno della debita calma per prepararsi a dovere:
Qual mattutina stella
bella vogl’io brillare,
del crin le molli anella
mi giova ad aggraziar.
Onde evitare incresciosi incidenti coi tacchi e non arrivare a teatro provate come se avessimo scalato l’Everest, abbiamo chiamato un taxi. Avrei omesso questa notizia se il nome del taxi non fosse stato rilevante: Lima, altamente evocativo visto che alla Scala ci attendeva nientemeno che l’adorato Juan Diego. Con l’intercessione della nostra patrona e l’approvazione del Perù, la serata, che prometteva bene di suo, sarebbe andata a gonfie vele.
Palco, il secondo del quart’ordine. Arriviamo, salutiamo le due signore olandesi nostre vicine, ci immortaliamo sul luogo del misfatto e ci sediamo, Aspasia davanti e io dietro. Mi alzo di scatto: dal mio posto non si vedeva che un lembo estremo del sipario...
Mi sovvenne, emergendo dalle nebbie del tempo, la bella Salisburgo, il Festspiele di due anni fa, in cui trovammo i posti per miracolo, ma per disgrazia erano posti in piedi. Non eravamo provviste nemmeno di un comodo puff su cui accomodarci per dare breve sollievo ai piedi costretti nelle scarpe coi tacchi...
A spettacolo concluso, avevamo avuto bisogno di una rigenerante Coca Cola per riprenderci (non mi interessa di quello che ne pensano i salutisti: è stata un vero toccasana e la ricorderò con amore finché non scoprirò con che intrugli la preparano) e ancora non sapevamo che l’ultimo autobus era già passato e dovevamo tornare in ostello a piedi, alle undici e mezza della sera, in riva all’umida Salzach.
Lato positivo: avevamo sentito il Luca dal vivo. Ad avercelo chiesto, l’avremmo rifatto. Il Luca val bene una Salzach.
Ecco accontentato, due anni dopo, il mio spirito d’abnegazione. Guardavo il mio piccolo sgabello che sembrava ancora più piccolo e ancora più sgabello in considerazione delle tre ore di opera che avevamo davanti a noi. Il comodo soglio di Aspasia mi sembrava ancora più comodo e ancora più soglio...
In ogni cosa ci vuol filosofia, sosteneva don Alfonso, personaggio antipatico quant’altri mai ma che alla fine ha ragione. Hai ragione due volte, caro don: sono alla Scala, c’è Florez, c’è la DiDonato, c’è la Barcellona (che è quasi nostra vicina di casa, visto che abita a Trieste) e c’è il Gioak. Fosse stato Verdi, ti saresti potuta ben lamentare, ma, mettendola su questo piano, vuoi guastarti la festa per un insulso sgabello (foderato con un delizioso raso rosso, che mi sarei volentieri portata a casa per le sedie del soggiorno: il Rosso Scala fa sempre effetto)?
Chissenefrega, come disse la Scotto: il Diego val bene uno scranno!
NELLA PROSSIMA PUNTATA: la recensione della serata.
giovedì 27 ottobre 2011
Il grammofono: La donna del lago
Visto e considerato che avrò occasione di assistere dal vivo a questo spettacolo, recensire accuratamente la diretta radiofonica mi pare poco sensato, quindi vi riporterò solo alcune impressioni risultanti dall'ascolto di ieri sera.
Partiamo da un dato non strettamente legato alla singola esecuzione: la musica di Rossini.
Purtroppo La donna del lago è una composizione che si vede abbastanza raramente in scena, rispetto ad altri lavori del pesarese. Un peccato!
Forse il libretto non sarà dei più ispirati (il buon vecchio Tottola non era proprio un fenomeno come librettista) e questo va a discapito della teatralità del dramma, ma il Gioak supplisce con una musica altamente ispirata che, a mio avviso, meriterebbe di essere sentita più spesso (magari al posto dell'ennesima, inutile Traviata XD ).
Tornando un attimo al libretto (tratto da Walter Scott), devo dire che la risoluzione della vicenda mi lascia un po' scontenta. Infatti la protagonista Elena non è contesa da due uomini (il solito dualismo baritono tenore, in cui di solito è quest'ultimo ad avere la meglio) ma addirittura da tre, due tenori e un contralto en travesti: Rodrigo (John Osborn), il promesso sposo di Elena, Malcom (Daniela Barcellona), l'amante della protagonista e Uberto (Juan Diego Florez) che dovrebbe essere un nemico per questioni politiche, ma anch'egli innamorato di Elena.
Ora. Mentre Rodrigo da subito riesce ampiamente antipatico e viene subito accantonato come trionfatore nel cuore di Elena (onde evitare un bel finale stile Lucia di Lammermoor), per come la sento io, musica e libretto sembrano nettamente volgere ad un prevalere di Uberto, che pare riamato dalla bella protagonista. Invece il finale ci lascia spiazzati perché Uberto, che poi si scopre essere il re Giacomo V di Scozia, dopo aver fatto di tutto per l'amata, liberandone addirittura il padre, condannato per tradimento, viene bellamente snobbato da Elena, che gli preferisce Malcom. Per cui ci ritroviamo ad ascoltare Elena che nel suo magnifico rondò conclusivo esprime la sua gioia per una felice risoluzione della vicenda, mentre noi (o almeno, io) nel frattempo restiamo amareggiati per il re, che alla fine viene fregato dal contralto XD (chissà quante generazioni di baritoni saranno morti d'invidia nei confronti di questo contralto che è riuscita dove loro hanno sempre avuto la peggio)!
Potrà sembrarvi un accostamento assurdo, ma a me questo finale ricorda incredibilmente quello della Clemenza di Tito Mozartiana in cui Tito perdona tutti e alla fine si ritrova solo (anche se il libretto di Mazzolà, tratto da Metastasio, si presta a varie interpretazioni, per cui più di un regista ha fatto in modo che risultasse che alla fine Vitellia preferisse l'imperatore a Sesto). Diciamoci la verità: chi di voi, ascoltano l'opera, non ha provato un po' di pena per il povero re?! :).
Andando brevissimamente all'esecuzione di ieri sera direi che i protagonisti si sono tutti comportati decisamente bene, salvo Osborn, che mi ha lasciata poco convinta a causa di una voce bruttina e, nel occasione, non molto ben emessa. Non mi ha convinta nemmeno Orfilia (Douglas, il padre di Elena), che pare essere anniluce lontano da Rossini. Malissimo Kwon (Serano), che doveva cantare dieci note e ne avrà indovinate due. Buono il coro, anche se con alcune sbavature, e bene anche la direzione di Roberto Abbado, anche se non ha brillato per originalità.
Partiamo da un dato non strettamente legato alla singola esecuzione: la musica di Rossini.
Purtroppo La donna del lago è una composizione che si vede abbastanza raramente in scena, rispetto ad altri lavori del pesarese. Un peccato!
Forse il libretto non sarà dei più ispirati (il buon vecchio Tottola non era proprio un fenomeno come librettista) e questo va a discapito della teatralità del dramma, ma il Gioak supplisce con una musica altamente ispirata che, a mio avviso, meriterebbe di essere sentita più spesso (magari al posto dell'ennesima, inutile Traviata XD ).
Ora. Mentre Rodrigo da subito riesce ampiamente antipatico e viene subito accantonato come trionfatore nel cuore di Elena (onde evitare un bel finale stile Lucia di Lammermoor), per come la sento io, musica e libretto sembrano nettamente volgere ad un prevalere di Uberto, che pare riamato dalla bella protagonista. Invece il finale ci lascia spiazzati perché Uberto, che poi si scopre essere il re Giacomo V di Scozia, dopo aver fatto di tutto per l'amata, liberandone addirittura il padre, condannato per tradimento, viene bellamente snobbato da Elena, che gli preferisce Malcom. Per cui ci ritroviamo ad ascoltare Elena che nel suo magnifico rondò conclusivo esprime la sua gioia per una felice risoluzione della vicenda, mentre noi (o almeno, io) nel frattempo restiamo amareggiati per il re, che alla fine viene fregato dal contralto XD (chissà quante generazioni di baritoni saranno morti d'invidia nei confronti di questo contralto che è riuscita dove loro hanno sempre avuto la peggio)!
Potrà sembrarvi un accostamento assurdo, ma a me questo finale ricorda incredibilmente quello della Clemenza di Tito Mozartiana in cui Tito perdona tutti e alla fine si ritrova solo (anche se il libretto di Mazzolà, tratto da Metastasio, si presta a varie interpretazioni, per cui più di un regista ha fatto in modo che risultasse che alla fine Vitellia preferisse l'imperatore a Sesto). Diciamoci la verità: chi di voi, ascoltano l'opera, non ha provato un po' di pena per il povero re?! :).
Andando brevissimamente all'esecuzione di ieri sera direi che i protagonisti si sono tutti comportati decisamente bene, salvo Osborn, che mi ha lasciata poco convinta a causa di una voce bruttina e, nel occasione, non molto ben emessa. Non mi ha convinta nemmeno Orfilia (Douglas, il padre di Elena), che pare essere anniluce lontano da Rossini. Malissimo Kwon (Serano), che doveva cantare dieci note e ne avrà indovinate due. Buono il coro, anche se con alcune sbavature, e bene anche la direzione di Roberto Abbado, anche se non ha brillato per originalità.
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mercoledì 26 ottobre 2011
Signori di fuori son già i suonatori: La donna del Lago
Stasera non prendete impegni. E se ne avete già, cancellateli!
No. Non voglio azzerare la vostra vita sociale per trarne un qualche perverso divertimento. Voglio piuttosto evitare che domani compiate gesti inconsulti per esservi accorti di aver mancato uno degli eventi musicali dell'anno. XD
Venendo ai fatti. Stasera Scala c'è la prima della Donna del lago dell'amato Gioak (Rossini, per chi ignora il gergo Aspasiarmidesco). Radio 3 la trasmetterà in diretta (Deo gratias!!!), mentre io degnerò Giovandiego & Co della mia presenza nella replica dell'8 novembre.
Questo il cast della prima:
Giacomo V, re di Scozia, sotto il nome del cavalier Uberto di Snowdon, Juan Diego Flórez
Douglas D'Angus, Simon Orfila
Rodrigo di Dhu, John Osborn
Elena, Joyce DiDonato
Malcom Groeme, Daniela Barcellona
Albina, Josè Maria Lo Monaco
Serano, Jaeheui Kwon
Bertram, Jihan Shin
Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano
direttore, Roberto Abbado
No. Non voglio azzerare la vostra vita sociale per trarne un qualche perverso divertimento. Voglio piuttosto evitare che domani compiate gesti inconsulti per esservi accorti di aver mancato uno degli eventi musicali dell'anno. XD
Venendo ai fatti. Stasera Scala c'è la prima della Donna del lago dell'amato Gioak (Rossini, per chi ignora il gergo Aspasiarmidesco). Radio 3 la trasmetterà in diretta (Deo gratias!!!), mentre io degnerò Giovandiego & Co della mia presenza nella replica dell'8 novembre.
Questo il cast della prima:
Giacomo V, re di Scozia, sotto il nome del cavalier Uberto di Snowdon, Juan Diego Flórez
Douglas D'Angus, Simon Orfila
Rodrigo di Dhu, John Osborn
Elena, Joyce DiDonato
Malcom Groeme, Daniela Barcellona
Albina, Josè Maria Lo Monaco
Serano, Jaeheui Kwon
Bertram, Jihan Shin
Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano
direttore, Roberto Abbado
Si prevedono fuochi d'artificio, sperando anche che la Joyce si sia ripresa dall'indisposizione che l'ha costretta a saltare la prova generale.
Diretta su Radio 3 dalle 19.45.
Buon ascolto!
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