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venerdì 15 novembre 2013

Una voce poco fa: Nabucco (Bologna, 27 Ottobre 2013)

Voi che sapete che cosa è recensione vi sarete domandati dove io sia finita, ma non temete. Non ho dimenticato che ho una puntata di Nabucco in sospeso.
Come potrei mai dimenticare quell'emozionante Domenica pomeriggio in cui, partita con la fida, tolstojana scorta de La morte di Ivan Il'jc, sono tornata con un nuovo acquisto intitolato Il terrore rosso? Avevo trovato la compagnia ideale per deprimermi... E dire che Nabucco è una delle opere verdiane che finisce meglio, con la sconfitta della cattiva e il trionfo dei buoni e in cui (quasi) tutti vissero felici e contenti...

mercoledì 23 ottobre 2013

Una voce poco fa: Nabucco (Bologna, 20 Ottobre 2013)


Domenica ho provato sulla mia pelle che il diavolo non solo ascolta Mozart, ma veste anche Prada. Con ciò, non intendo sostenere che sono arrivata al Comunale con l'idea di fare tendenza, ma semplicemente che mi adeguo alla moda. E, poiché quest'anno la moda impone di adeguarsi a un colore particolare (Verdi) e che intende seguire la più rigida monocromia, noi (pluralia majestatis, perché Aspasia ha dimostrato maggiore resistenza) abbiamo lottato finché abbiamo potuto, ma alla fine ci siamo decisi a cedere. E abbiamo ceduto con tutti i crismi, perché di questo Nabucco, salvo catastrofi, vedrò ancora uno spettacolo la Domenica ventura. Sia ben chiaro, l'abbiamo fatto per voi, per dedicarvi la cronaca dell'ennesima scorribanda bolognese (me lo permetto perché il riferimento al colpevole è più generale che particolare e perché, per buona abitudine, non mi assumo responsabilità ;) ).

lunedì 18 marzo 2013

Una voce poco fa: La Friulana cadente (Bologna, Der fliegende Holländer, 17 Marzo 2013)

Stavolta l'ho fatta grossa. E se lo dico io, che sono abituata a farne una più di Bertoldo, è vero.
La vostra intraprendente Armida, che se non ha qualcosa da fare se l'inventa (modestamente, sono una maga, no?), ha pensato bene di buscarsi la febbre a due giorni di distanza dalla rappresentazione del suo Der fliegende Holländer, e poco c'è mancato che si facesse saltare lo spettacolo.

mercoledì 13 febbraio 2013

Una voce poco fa: Una delle ultime sere di Carnovale (Macbeth, Bologna, 10 Febbraio 2013)

La farsa deve terminare in tragedia, per cui ho iniziato ricordando uno degli eroi locali nelle vesti del Dottor Balanzone, perché, nonostante tutto, non ho dimenticato che Domenica era pur sempre uno degli ultimi giorni di Carnevale. Per cui saluto di cuore la maschera bolognese prima di arrivare al dunque.


venerdì 11 gennaio 2013

Il ticchettio dell'orologio o sia All'ombra delle due Torri (Spedizione punitiva a Bologna dell'8 Gennaio 2013)


Non ho fatto dei buoni propositi per l'anno nuovo, perché ero consapevole che fossero perduti in partenza: l'apertura della prevendita del Comunale in data 8 Gennaio, infatti, cancellava d'un tratto ogni speranza di mantenere un profilo basso e votato al risparmio. E, se proprio devo confessare la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità, la cosa mi sta bene così: l'opera è sempre un buon investimento.
Ma partiamo coi fatti.

lunedì 25 giugno 2012

Una voce poco fa: Operazione "Cicciobello" (Le nozze di Figaro, Bologna, 24 Giugno 2012)

La giornata si era preannunciata campale, perché, finalmente, pareva che a Bologna ci fossimo dati appuntamento tutti-ma-proprio-tutti nello stesso tempo e nello stesso luogo: io (costantemente nostalgica della città felsinea), Aspasia (con cui ho potuto sproloquiare prima, durante e dopo la recita), il Michele (credeva che o avremmo lasciato in pace, dopo che per le Nozze di Figaro abbiamo tenuto il final countdown dall’anno scorso? Illuso!), il nostro prediletto Gnagflow Trazom in arte Mozart ma in Italia De Mozartini (figurarsi, da un anno abbiamo aperto il blog e questo è il suo primo spettacolo che recensiamo. Non ne potevamo più di aspettare!) e, soprattutto, LUI: Cicciobello. Confidando che il Michele non abbia una crisi di gelosia, quando sulla locandina ho letto il nome di Bruno Praticò sono partita per la tangente e non sono più tornata... Perché lo ADORO, dal momento in cui la televisione ci ha rifilato un suo Barbiere di Siviglia (Gioak, sei sempre in mezzo!) in cui l’omino caracollava per la scena con una mise da bambolotto che gli ha appiccicato addosso questo nome di battaglia che non si è più staccato. Quando uno fa sketch, non può che colpire nel segno.
Abbiamo pregustato a lungo le delizie di ieri pomeriggio.
Poco prima delle tre, ci siamo messe ordinatamente in fila assieme agli altri avventori fuori dal Comunale.
Ci siamo divise i biglietti.
Ci siamo soffermate con particolare emozione sulla prospettiva di essere in prima fila.
Diavolo, se penso agli affanni e ai palpiti (e ai soldi) che mi sono costati quei biglietti ho ancora un tuffo al cuore! [ESAGETATA!]
Aspasia ha sottolineato il fatto che non era necessario che cercassi di aprirmi un varco per entrare per prima perché «i posti sono numerati e non ce li porta via nessuno!» E tenetelo bene a mente...
Passate le tre.
Aperta baracca.
Confiscato un programma di sala.
Camminata da dive lungo tutta la platea, splendenti di luce propria, collo dritto, muso franco.
Io non mi ero fatta neanche lo scrupolo di controllare che la prima fila fosse effettivamente la nostra, la fila A, perché, a rigor di logica, lì doveva stare.
«Guarda che sulla sedia c’è scritto fila B!» mi avverte Aspasia.
Agguantata la maschera.
Chieste informazioni con finta calma.
«Abbiamo soppresso la prima fila per allungare il palco» (c’erano due ballatoi laterali che passavano sopra l’orchestra per permettere ai cantanti di muoversi fino in platea), «per cui vi abbiamo spostate. Siete in fila I».
Dopo aver sparato il «Grazie» più fasullo di tutta la vita, io e la mia socia abbiamo ripercorso il breve tratto con le orecchie basse come cuccioli tristi... Poi, ovviamente, è partita l’invettiva.
«Una si fa tutta questa strada per la prima fila, e viene sbattuta in un’altra, banalissima a mezza navata?»
Oh, Santa Radegonda, trattienici, se hai il coraggio! Oh, San Petronio, perché ci hai fatto questo? Volevamo prendere atto dei sospiri e dei canti del Michele, e ne siamo state così brutalmente private! Lo sapete cosa sarebbe successo, se per caso si fosse guardato intorno per salutarci, non ci avesse viste e si fosse rifiutato di cominciare senza di noi (e pazienza se in realtà non ci conosce, queste pagine le scrivo io e le scrivo come mi pare)? Avevamo un fumo intorno che la nebbia di Londra è nulla al confronto... Io, fotografa assatanata piuttosto che provetta, non avevo nemmeno la voglia di estrarre il mio canón (macchina fotografica dal mega obiettivo) per immortalare noi stesse e i luoghi intorno...
Poi, nel bene o nel male e nella buona o nella cattiva sorte, le cose non si sono rivelate così tragiche, perché, come ha detto Aspasia quando l’eco dei primi sospiri è arrivato «Il Michele, evidentemente, sospira in maschera!», e non eravamo poi troppo distanti da non riuscire a cogliere le intromissioni del direttore nel cantato. Aspasia «Ma canta più forte di Cherubino!» e io «È più Contessa della Contessa!» Che meraviglia! (se fosse stato il Divo, qui avrei fatto cadere un sospiro svenevole, ma purtroppo Divo non è e di sospiri ce ne sono stati a iosa...)
Devo ammettere che il cambio di posto ha avuto anche un risvolto molto favorevole nel contesto degli strepitosi vicini (che il Signore ce li conservi!), di cui ormai non posso più fare a meno. Accanto a me, si era seduto un signore distinto, sulla sessantina, completamente calvo. Appena è entrato il Michele, anziché limitarsi ad applaudire, ha sbottato «Guarda là, che capelli!»... Invidia? Ma non è stata questa la vetta. Il signore in questione non deve essere habitué dell’opera, o almeno non delle Nozze, perché ha seguito i travestimenti del quarto atto col fiato sospeso. Quando il Conte sorprende la Contessa travestita da Susanna assieme a Cherubino, ha esclamato «Oddio! Che succederà?», e lo stesso schema si è ripetuto per tutti gli altri scambi di persona... È stato bello rivivere con questo illustre sconosciuto la suspance del primo ascolto, che a momenti stavo per dimenticare (io, veterana delle Nozze a cui ho assistito per la prima volta ben dodici anni fa! Vecchia carampana!). E rideva come un bambino...
Di “bambini”, per la verità, intorno a noi ce n’erano parecchi: due signore nella fila retrostante sembravano planate a Bologna direttamente dal Met, perché si sono sganasciate per qualunque trovata o frase, spesso anche quando, apparentemente, non c’era granché da ridere. Ma i vicini ci piacciono così, entusiasti e vivaci!



Esauriti i convenevoli, passo a presentarvi la banda:
Il Conte d’Almaviva, Simone Alberghini
La Contessa d’Almaviva, Carmela Remigio
Susanna, Cinzia Forte
Figaro, Nicola Ulivieri
Cherubino, Marina Comparato
Marcellina, Tiziana Tramonti
Bartolo, Bruno Praticò
Basilio, Mert Süngü
Don Curzio, Saverio Bambi
Barbarina, Cristiana Arcari
Antonio, Nicolò Ceriani
Due contadine, Silvia Calzavara e Roberta Sassi

Orchestra e Coro del Teatro Comunale
Maestro del coro, Lorenzo Fratini
Direttore, Michele Mariotti
Regia, Mario Martone

Il title role Nicola Ulivieri ha portato un scena un valido Figaro, tagliato per la parte e di bello spirito anche se con la tendenza a strafare per dare maggior enfasi alla parola.
La Susanna di Cinzia Forte aveva un’aria un po’ attempata, non sempre impeccabile, ma di bello squillo, e particolarmente interessante nell'aria Deh vieni non tardar.
Il Conte di Simone Alberghini, in uno splendido completo rosso, si è distinto per la sicurezza tecnica e una sana cattiveria, trascinante nell’aria del terzo atto.
Deludente, invece, la Contessa di Carmela Remigio, spesso distaccata e distaccante, con un registro grave rappezzato e una generale mancanza di fiato.
Marina Comparato è stata un simpaticissimo Cherubino, piacevole e fresco, animato dalla verve giovanile e un po’ scomposta che ci vuole per il personaggio.
Divissimo il Bartolo di Bruno Praticò, stavolta non in assetto bambolotto ma copia vivente di Charles Laughton in Testimone d’accusa e non a caso impegnato nel ruolo di consigliere attaccabrighe (gustosissima la Vendetta). Irresistibili poi gli interventi parlati sottovoce.
Tiziana Tramonti che, pur dividendo la scena con Cicciobello-Laughton non aveva niente di Marlene Dietrich, è stata una buona Marcellina, valida pur con alcune imperfezioni e non mutilata dell’aria del quarto atto.
Molto bravo il Basilio del giovane Mert Süngü, che sulle prime ci aveva lasciato un po’ perplesse non per l’esibizione, ma per il nome, che svettava per l’originalità accanto a tanti più comuni. «E dove l’hanno pescato?» ci siamo chieste. Beh, ovunque l’abbiano pescato, hanno fatto bene, perché In quegli anni in cui val poco è stata una vera rivelazione.
Buoni anche Saverio Bambi (Don Curzio, il mio personaggio preferito per la “prolissità” della parte :) ), Cristiana Arcari (Barbarina), Nicolò Ceriani (Antonio.)
Impeccabile la direzione di Michele Mariotti (ma poteva essere altrimenti?), rigogliosamente splendida. Incantevole, in particolare, Non so più cosa son, al punto Parlo d’amor vegliando, che apriva uno scorcio idilliaco.
Consolate, visti gli o tempora che corrono, la regia tradizionale di Martone, che ben rendeva la folle giornata.



Peccato solo doversene andare. La prossima volta, per ricordo, sviterò il numero dietro la poltrona, per dire “io c’ero”... Adesso che sarà di noi, nei cinquatrè uggiosi giorni che ci separano dal prossimo grande evento? Beh. Possiamo lasciare sulle spine voi e non rivelarvi in che cosa consista il grande evento.
Risatazza diabolica.

lunedì 14 maggio 2012

Una voce poco fa: Impresa solitaria “Se mai torno a’ miei paesi, anche questa è da contar” (Bologna, Italiana in Algeri, 13 Maggio 2012)

Avevo pensato a ben tre incipit per questa recensione, ma non al titolo: se l’abbondanza non ha mai fatto carestia, questa è l’eccezione che conferma la regola. Alla fine, ho scartato tutti e tre gli incipit e, come per magia, il titolo mi è comparso sui sopratitoli a teatro, rischiando che gridassi «Eccolo!» Così la prossima volta imparo a non preoccuparmi per le minuzie e attendere che la sorte faccia da sé. Dopotutto, col Gioak mi è sempre capitato così: andare a tentativi è l’unico modo per riuscire a fregarlo. E ce l’ho fatta anche questa volta. Nel mio piccolo, mi accontento.

lunedì 12 marzo 2012

Una voce poco fa: Impresa solitaria: Violetta o sia Ne faremo di tutti i colori! (Bologna, 11 Marzo 2012)

Uscire triste da teatro è un autentico controsenso: se questo fosse lo scopo di andare all’opera, tanto varrebbe stare a casa a urlare al fratello orgogliosamente truzzo (ahimè...) di abbassare il volume dell’audio: ci si divertirebbe di più. Perciò, le ho trovate tutte pur di spassarmela nonostante la serietà dell’opera in questione, la strappalacrime Traviata: ogni volta che ascolto il conte tu ferito mi viene da pensare che fu ferito ad una gamba come un celebre italico eroe e ho sempre pensato che una che intona una nenia come Addio del passato finirà male per forza, tisi o non tisi. Se fosse partita a declamare In uomini, in soldati, probabilmente Violetta sarebbe ancora viva... Aspasia, poi, conosce bene la mia battuta che, se per caso mi fossi annoiata, avrei fatto il solletico al direttore, visto che me ne stavo spaparanzata in platea.

Anzitutto, mi sono affidata ai ricordi, in particolare al mio diletto don Camillo, che ha avuto l’onore di assistere a una Traviata come poche, ma anche a delle esperienze di vita vissuta.
Questa Traviata, per la regia di Alfonso Antoniozzi, è la ripresa di quella di un anno e mezzo fa. All’epoca, non avevo ancora avuto l’intuizione che forse esistono altri teatri raggiungibili in giornata, a parte Trieste, però Aspasia, che è tecnologicamente avanti, mi aveva invitato a una serata operistica a casa sua per vedere su internet la ripresa della prova generale.
Per non presentarmi a mani vuote, mi ero aggiudicata fin dalla mattina le nostre adorate paste di una squisita pasticceria locale...
Poi, però, c’è stata tutta una giornata in mezzo...
Mi preparo per tempo, lusingandomi che, per la prima volta in vita mia, sarei riuscita ad arrivare puntuale ad un appuntamento. Salgo in macchina, attacco l’MP3 alle casse dell’audio portatili (mio papà sostiene che sia una vergogna, per una radio, venire collocata in una Seicento e io mi arrangio come posso) e parto alla ventura...
A metà strada, esattamente a metà strada – quando non serve sono una persona precisa – faccio un salto: per prendere l’MP3, avevo DIMENTICATO le paste in frigo!
Odio, furor, dispetto, dolor, rimorso, rimorso e sdegno!
Per fortuna, l’ora del collegamento non coincideva con l’ora d’inizio dell’opera e ho potuto rimediare senza perdere l’inizio... Però, Verdi mio (devo pur incolpare qualcuno), certo che mi porti pegola!
Già a quell’epoca, le premesse erano state buone: la Devia aveva una parrucca rossa che la rendeva sosia di Milva (copyright by Aspasia) e il tenore, nel completino del secondo atto, così squadrato, piccino e tracagnotto sembrava un glorioso compagno sovietico.

Torniamo al presente, che mi ha vista protagonista con un determinato “Stavolta non mi fregano!” perché sono arrivata con quattro ore e mezza d’anticipo. Non sia mai che mi manchi il tempo per il consueto giretto punitivo a caccia di libri. In effetti, tanto determinata ero a trovare l’introvabile, che poi non ho trovato, da avventurarmi con le scarpe col tacco fra le bancarelle di un propizio mercatino dell’usato su strada ciottolosa. Poco male se me ne sono andata a mani vuote e col portafoglio pieno, nella mia libreria di fiducia avevo adocchiato da un paio di settimane ben due Bellini che mi consentissero di approfondire le mie conoscenze sulla vita dell’autore in modo più profondo rispetto a quelle smielate e inutili lungaggini che ho tratto dalla biografia del signor Aniante.
Per la cronaca (semmai vi venisse l’estro di cercarli o, se li avete già, per confermarmi il buon acquisto o smentirmelo), si tratta di:
1. Bellini, G. Tintori, ed. Rusconi 1983
2. Vincenzo Bellini. La vita, le opere, l’eredità, a cura di G. Taborelli, SilvanaEditoriale, 2001. È un’ariosa raccolta illustrata di saggi

Adesso, finalmente, passiamo alle cose serie (Ma mi facci il piacere!, direbbe Totò). Anzitutto, premetto che hanno sostituito Alfredo all’ultimo, come hanno annunciato in sala, ma purtroppo, a causa del cicaleccio circostante, non ho potuto cogliere il nome, per cui noi (come direbbe il Sandro nazionale, mio carissimo amico), saremo costretti a chiamarlo l’innominato.
Ed ecco il resto dell’allegra combriccola:
Violetta Valéry, Yolanda Auyanet
Giorgio Germont, Stefano Antonucci
Flora Bervoix, Giuseppina Bridelli
Annina , Roberta Pozzer
Gastone, Vladimir Reutov
Barone Douphol, Mattia Olivier
Marchese D’Obigny, Christian Faravelli
Dottor Grenvil, Masashi Mori
Giuseppe, Luca Visani
Un commissionario, Sandro Pucci
Domestico di Flora, Marco Danieli

Orchestra e Coro del Teatro Comunale
Maestro del coro, Lorenzo Fratini
Direttore, Michele Mariotti
Regia, Alfonso Antoniozzi

Per anni mi sono chiesta cosa spingesse tante esimie primedonne a calarsi nei panni di una donna di malaffare (dal cuore d’oro, sì, ma sempre di malaffare resta...), per giunta malata, per giunta sfortunata, per giunta sensibile, che non è affatto un pregio, nell’ambiente del demi-monde. Non ho mai trovato una risposta convincente se non il massimo della frivolezza: i bei vestiti. Quando il mondo girava ancora nel verso giusto e non occorrevano arbitrari cambi di secolo per calarsi nello spirito dell’opera, le Callas, le Moffo, le Sutherland (per quanto sempre un po’ befana, santa donna!) di turno erano agghindate meravigliosamente, così da scusare la storia.

Che dire? Per prepararmi bene allo spettacolo mi sono permessa anche un excursus filmico (ho letto il libro alcuni anni fa) con La signora delle camelie di Greta Garbo (peraltro ricordata anche nel programma di sala. È bello sapere di non essere soli), confermando la mia convinzione: visto che la trama si reggeva malamente, l’unica cosa che, dopo i primi dieci minuti, meritasse attenzione, erano davvero solo i vestiti e gli ambienti (e l’interpretazione insuperabile della protagonista, benché queste donne fragili non mi siano mai piaciute)!
Il preambolo è giustificato dal fatto che, nell’allestimento che ho visto, anche i bei vestiti scarseggiavano. Per la verità, quelli che la protagonista indossava nelle scene di festa (il primo turchese, l’altro nero con una striscia di fiori bianchi, stesso modello con la gonna lunga e stretta e le maniche a tre quarti, evviva la fantasia) erano assai graziosi, ma nella prima parte del secondo atto se ne andava in giro con un tristissimo tailleur di colore smorto, mentre Alfredo (camicia, pantaloni, stivali, fazzoletto rosso al collo) più che il compagno dell’altra volta sembrava uno scoloratetto troppo cresciuto, poi si segue alla festa con Flora in un vestito rosa shocking che urlava Marilyn e il coro conciato nelle maniere più bizzarre, come nel primo atto (non vi dico che acconciature...).
Beh, accontentiamoci. Almeno, in questa regia non si sono viste cose bislacche come Alfredo alle prese con un recalcitrante tagliaerba (onore che ha avuto invece il nostro diletto Jonas “Zuanín” Kaufmann e di cui noi ancora ridiamo), benché alcune cose da ridire le avrei: per esempio, non condivido l’idea di far intonare il celebre brindisi a un lato del palco, mentre al centro Flora si cimenta in un ingiustificato spogliarello (perché???), e men che meno mi è andato a genio il modo in cui si è risolto il coro dei mattadori (pezzo che la mia sete di goliardia aspettava con ansia, non fosse che per l’attacco simile a Viva il grande kaimakan), cioè con un filmato quantomeno di dubbio gusto... Come disse, sconsolato, un ragazzo all’uscita “Perché le feste di Traviata vengono sempre interpretate come un’orgia???”
Gli ambienti, invece, erano desolatamente tristi: nel primo atto avevamo una casa d’impianto moderno, con un orribile quadro d’arte contemporanea sullo sfondo, un divano e una chaise-longue.
Nella prima parte del secondo atto, l’azione si sposta in una stanza grigia ed essenzialissima: un quadro, un attaccapanni, due sedie, una poltrona, uno scrittoio (con sopra una foto di Vivien Leigh, neanch’io arrivo a tanto!) e un paio di piante. Capirete che, davanti a una simile desolazione, diventa comico sentire Germont padre che si meraviglia “Pur tanto lusso”. Mah... La seconda parte dell’atto si svolge su una scenografia divisa in due: da una parte la festa vera e propria, dall’altra, separata soltanto da una striscia nera e dal gioco di luci, una stanza vuota dove si svolge il duetto Invitato a qui seguirmi. Devo dire che è stato di un certo effetto quando Alfredo trascina Violetta dalla parte dove stava il coro. È stato un bel passaggio improvviso, dava l’idea della rapidità.
Nel terzo atto la miseria dilaga: Violetta giace a terra fra due pareti nere. Qui si ha l’unica vera mancanza alla fedeltà del libretto perché ciò che accadrà è solo un sogno di Violetta: a dimostrazione di ciò, c’è una seconda Violetta che rimane a terra per tutto l’atto.
Per quando riguarda la direzione di Michele Mariotti... potrei partire in quarta con uno sperticato panegirico, ma finirebbe con voi increduli e con me imbrigliata in qualche ampollosa formula seicentesca. Quindi sarò parca quando dirò che, come minimo, merita una statua per essere riuscito a non far distrarre un’anti-verdiana cronica come me. In particolare il secondo atto (e sottolineo che io ho un’idiosincrasia radicata per i secondi atti verdiani, anche per quello di Rigoletto) è stata una rivelazione: l’attenzione non è mai calata, più di una volta mi sono trovata a pensare “Oooh, che meraviglia!” (!) e ho trovato soprattutto grandiosi Non sapete quale affetto (si sentiva, evidentissima, la pena di Violetta) e Amami Alfredo (ma su questo pezzo tornerò per una questione collaterale nella parte riservata agli sproloqui fra vicini). Ho trovato un po’ più scialbo il primo atto, mentre il finale è stato travolgente e addirittura insuperabile (posso dirlo?) Addio del passato.
La Violetta di Yolanda Auyanet, che purtroppo deve competere con tante primedonne storiche, pur non essendo stata brillantissima non è stata affatto disprezzabile. È stata una Violetta dalla voce un po’ esile, soprattutto nel registro acuto, e talvolta non del tutto convincente nell’espressione, ma si è comportata particolarmente bene nei momenti più struggenti del secondo e del terzo atto, in cui ha cercato di trovare le sfumature giuste (registro come magnifico, in particolare, il deciso attacco di Morrò, la mia memoria e il giammai che precede Non sapete quale affetto).
Da dimenticare invece l’innominato Alfredo, il che è un peccato considerata la voce bella e grande, ma purtroppo sostenuta assai malamente (alcuni suoni suonavano come schiacciati) e il pubblico, che pure l’aveva applaudito dopo De’ miei bollenti spiriti, non gli ha perdonato la pessima conclusione di Oh mio rimorso, oh infamia (lo smaliziato di turno ha pensato bene di aspettare che l’orchestra concludesse per precisare il suo disappunto, che poi si è ripetuto, più abbondante, negli applausi finali).
Quanto a Germont padre, pur non avendomi convinta del tutto (ma questa non è tanto colpa del cantante, quanto del personaggio, poiché trovo il suo comportamento nei riguardi di Violetta quanto meno ambiguo: la accusa di rovinare la sua famiglia, eppure ne è impietosito, senza rendersi conto della sua salute cagionevole; arriva persino ad assicurarle che vivrà a lungo e felice dopo che lei gli ha detto di essere malata! È compassione, ma sorda. Ovviamente, ciò dipende dal fatto che Germont è l’incarnazione dello spirito piccolo-borghese, ma per completare questa mentalità manca una cosa: l’ipocrisia), ha avuto il merito non da poco di non essere il solito orco che ho sentito in più di una registrazione, per quanto a volte avesse un piglio un po’ diverso da quello che io immagino per questo personaggio: termina Pura siccome un angelo (che aveva iniziato con un tempo suo, ma per fortuna poi tutto è andato apposto) con un non voglia il vostro cor no, no, volutamente imperioso piuttosto che supplichevole, atteggiamento che sta bene in un uomo preoccupato ma che non avevo mai contemplato come eventuale interpretazione... Ma con Violetta se lo può permettere, non è donna che lo prenda a calci.
Comprimari fra il disperato e il gradevole, con menzione di lode alla Flora di Giuseppina Bridelli, che aveva il giusto andazzo.

Credo di aver concluso con le cose importanti. Adesso vengo a quelli che, in dialetto, si chiamano babezzi... la lingua nazionale non può rendere bene questo termine che, grossomodo, posso tradurvi con “pettegolezzi”. Insomma, avevo giurato che, Violetta o non Violetta, me la sarei spassata e tutti (e dico tutti) mi hanno dato manforte.
Parte prima. Forse vi ricordate dalla recensione di Cenerentola che io e Aspasia abbiamo un debole per i sospiri del Michele, che puntellano costantemente qualunque sua direzione. Solo che stavolta, se avessi deciso di partire a ridere come l’altra volta, probabilmente il signore anziano seduto vicino a me mi avrebbe preso per matta... O forse non se ne sarebbe proprio accorto, visto che aveva scambiato il librone da quattrocento pagine sulla regina Elisabetta che stavo leggendo nell’intervallo (con tanto di faccia della regina impressa sulla copertina... Come ha potuto scambiarla con Verdi???) per il libretto dell’opera, che forse arriva a dieci.
Insomma, parlavo dei sospiri. Stavolta, però, la prima a sospirare, corrucciata, sono stata io, quando l'eroe si è presentato in frac. Di pomeriggio??? Orrore e raccapriccio! Mi è partita in mente la risatazza del Gattopardo, quando don Calogero se ne arriva al ricevimento pomeridiano del principe con altrettanto degno vestito... Lo stesso discorso si può fare per le scarpe (qui ho fatto le veci di Aspasia, visto che di solito quella che guarda le scarpe è lei), ovviamente in tono l'abito, ovviamente lucide, ovviamente inappropriate... Santa Radegonda, aiutaci tu!

Per quanto riguarda i sospiri più propriamente detti, non ci sono state grandi cose, quindi io non ho corso il rischio di farmi espellere dal Comunale vita natural durante per una risatazza inappropriata. Solo a Così alla meschina, ch’è un dì caduta ad un certo punto si è sentito un “tipitipitipi”. Sulle prime, avevo pensato che fossero i topi. Invece, indovinate chi era?
Parte seconda. Il mio vicino era accompagnato da una signora, che è venuta a salutarlo nell’intervallo fra primo e secondo atto, e stavano animatamente ricordando che questa era la stessa produzione di un anno e mezzo fa. La signora parlava tutta compiaciuta dell’Amami Alfredo e, ad un tratto, si sporge a guardare l’orchestra. Dopo accurata ispezione, si volge trionfante al suo amico ed esclama “Eh, il Mariotti ha voluto i tamburi grandi per fare lo stesso effetto dell’altra volta!” “Davvero?” domanda il signore, tutto trillante. “Sì! Sono tamburi grandiiiiiiiiissimi!” e si sbraccia tracciando un enorme cerchio.
Non sono espertissima di strumenti musicali, per cui potrei sbagliarmi, ma ho visto sempre tamburi delle stesse dimensioni, più o meno, e non so se la grandezza può determinare maggiore o minore acustica (forse sì per un effetto di cassa di risonanza, ma, come ho detto, ci vado cauta).
Essendo però un po’ curiosa di vedere questi benedetti tamburi, alzo discretamente la testa dal mio libro e li guardo. Regolarissimi, di dimensioni cristiane. A sentire parlare questa, sembrava che dovesse esserci chissà che razza di gong!
Parte terza. Il preludio del terzo atto era partito magnificamente, poeticissimo, quand’ecco levarsi un’infinita eco di starnuti, più o meno catarrosi, più o meno nitidi, che ci ha accompagnati finché la musica è cessata. Presumo che in sala i simpatizzanti di Violetta pullulassero e hanno voluto dimostrarglielo. Spero però che non diventi una bizzarra tradizione...
Avrei potuto sorvolare (vista l’età media di quelli che mi circondavano, c’è poco da stupirsi di un simile lazzaretto...) se a guastare la magia non fosse intervenuto, provvidenziale, il sipario trasparente, che si era incastrato mentre saliva, e si è liberato con uno SLACK! sonoro.
Tutto ciò sarà avvenuto per colpa mia, chissà. Io con le opere serie non ci so fare. Tuttavia, caro Beppo, se anche la prossima volta mi accoglierai tanto calorosamente, sappi che ti sei guadagnato una fan.

lunedì 30 gennaio 2012

Una voce poco fa: Impresa solitaria Gli enigmi sono tre: fante, cavallo e re (Turandot, 29 Gennaio 2012)



Ieri è stata una giornata strana. L’unico mio momento di gloria è stato imprecare contro il tempo che minacciava diluvio. Poi, per farmi dispetto, di pioggia non ce n’è stata. Non ci sono stati neanche libri, e sì che ero a Bologna. Per non tornare a casa a mani vuote, ho comprato il programma di sala (pregevole perché pone a confronto alcuni punti-chiave col testo di Gozzi), che avrà il benemerito onore di essere uno dei miei primi libri stampati in questo secolo (di solito io cerco quelli fuori catalogo da trent’anni)...
Insomma, ero in un particolare stato di grazia; troppo particolare, troppa grazia. Quella morigerata giovincella che aspettava ordinatamente il proprio turno fuori dal teatro, in mezzo alle befane impellicciate e stuccate come dive del cinema, non ero io. Non potevo essere io! Ero troppo tranquilla, troppo ordinata, troppo intonata all’ambiente. ERO UNA CARICATURA!!!
Poco male, ho di che consolarmi con questa recensione, in cui spero di prendermi una rivincita (rivincita sancita fin dal titolo, che magari mi costerà la testa ma che è un affettuoso omaggio alla mia amata briscola).
Come da buona tradizione felsinea, il secondo cast era destinato a surclassare il primo (che ho sentito alla radio con momenti di raccapriccio). Ed ecco qui gli intrepidi interpreti:

Turandot, Elena Pankratova
Calaf, Francesco Anile
Liù, Virginia Wagner
Timur, Alessandro Guerzoni
Ping, Marcello Rosiello
Pong, Stefano Pisani
Pang, Mario Alves
Altoum, Stefano Consolini
Un Mandarino, Nicolò Ceriani
Principe di Persia, Martino Fullone
Due ancelle, Maria Adele Magnelli e Marie-Luce Erard

Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Coro di Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna
Maestro del coro, Lorenzo Fratini
Preparatore del coro di voci bianche, Alhambra Superchi
direttore, Fabio Mastrangelo
regia, Roberto De Simone

Una volta tanto, posso volgermi alla regia con un sospiro di sollievo, perché ciò che ho visto eguagliava la bellezza della musica: l’allestimento di De Simone, che aveva già inaugurato la riapertura del Petruzzelli poco più di due anni fa, era davvero ambientato “a Pechino, al tempo delle favole” ed era composto da una lunga scalinata su cui si disponevano i coristi abbigliati come i soldati dell’esercito di terracotta. Un tocco estremamente suggestivo. Alcune maschere di mostri (a seconda delle necessità, boia, aguzzini, carnefice di Lo-u-ling, di cui si assiste allo scempio mentre Turandot racconta la sua triste vicenda) e delle visioni nei momenti salienti hanno completato la coreografia. Commovente l’accento messo sulla giovinezza e la purezza del giovanissimo principe di Persia, circondato da una luce bianca al momento del supplizio.
In cima alla scalinata, era situato il trono dell’imperatore. Durante la scena degli enigmi, Turandot (che compare quasi per incanto da dietro un telo in movimento) canta fra dei guerrieri finti che, a mano a mano che Calaf indovina, sprofondano come a dimostrare che la principessa sta perdendo il suo potere. Nell’ultimo atto, invece, la scena si svolge presso la tomba di Lo-u-ling e l’opera si conclude proprio con lo spirito dell’ava che conduce con sé l’esanime Liù dopo aver porto a Turandot un fiore, simbolo della prossima riconciliazione con Calaf.
La scelta più discutibile forse è proprio questa, di interrompere l’opera nel punto in cui termina la musica di Puccini. Ascoltando i commenti all’uscita (no, non ho origliato. Erano gli altri a parlare a voce alta...), alcuni hanno apprezzato quest’idea, trovando corretto non proseguire oltre la scrittura dell’autore. Sinceramente, io non saprei decidermi: tagliando il finale, si perde il senso della storia, ma è anche vero che il lieto fine mi è sempre sembrato stiracchiato molto più che in altre opere. Un bacio è un po’ poco per piegare una principessa ieratica, e come me la pensa anche il regista (come si legge al programma di sala, pagg. 76-77), che ricorda che, nel mito originale, “la Principessa crudele è vittima di un incantesimo di possessione” da parte di uno spirito maligno, quello dell’antenata. Tutto questo, però, non è ripreso nel libretto di Adami e Simoni ed è un aspetto della trama che mi lascia profondamente insoddisfatta, così come (ma questo è un mio parere personale. Prendetelo per quello che vale) non sopporto il personaggio di Calaf, talmente preso dalla sua ossessione per Turandot da dimenticare il padre, che affida a Liù senza un minimo di rimpianto, e da liquidare con appena un misero accenno il sacrificio della schiava, a cui tanto dovrebbe...
La direzione di Mastrangelo è stata guastafeste e si è risolta in una corsa a perdifiato: sgraziata e frenetica (ogni tanto gli strumenti gemevano alla “Numi, pietà!” e come dar loro torto). Come dice Aspasia in questi casi “Si vede che aveva le scarpe strette e non vedeva l’ora di cambiarle”. L’unico tratto che assolverei è la caratterizzazione delle tre maschere, in cui il lato istrionico ha attenuato le altre carenze. Quanto al resto, era marcatissima l’indulgenza per le chiuse secche e i fortissimi, che hanno non poco menomato le prestazioni dei cantanti: all’arrivo in scena di Calaf, Liù e Timur, non si è udita una parola e così si è proseguito per gran parte dell’opera. In sostanza, un danno su tutta la linea...
I cantanti hanno fatto del loro meglio, visto che erano abbandonati a loro stessi, e si sono destreggiati fra il mediocre e il buono, con sporadiche punte di eccellenza. Andrò in ordine di apparizione.
Il mandarino Nicolò Ceriani non ha dato una prestazione brillante, con gli acuti volutamente calcati (per darsi maggiore autorità, ma diventando estremamente pesante) e la voce traballante. Per Timur non posso esprimere un giudizio, poiché era quasi completamente coperto dalla direzione. Apprezzabile la Liù di Virginia Wagner, in difficoltà nell’acuto e nell’estremo grave, ma ha dato un’idea di dolcezza e di remissione toccanti nell’aria del terzo atto, particolarmente importante in questo allestimento, in cui conclude l’opera.
Giudizio contrastante suscita invece il Calaf di Francesco Anile, che si era portato abbastanza bene per i primi due atti, salvo collassare completamente sotto il peso di Nessun dorma, in cui era calantissimo. L’emozione? La paura per il banco di prova? Si sono levati applausi ma anche fischi e non so quanto sia stata buona l’idea di interrompere il fluire della musica per dare modo al pubblico di esternare i suoi umori contraddittori.
Le tre grazie, Ping, Pong e Pang, abbigliati con tuniche rosse, gialle e verdi che gridavano semaforo, hanno dato buona prova di loro, fuorché qualche nota spoggiata di Pong. Fra i tre c’erano una bella commistione di voci che li rendeva irresistibili (soprattutto per chi come me ha un debole per i personaggi votati allo sketch, nonostante in questo caso si tratti di umorismo macabro).
L’imperatore Altoum era impietosamente ridicolo, con una vocina stentata, quasi impaurita, a tratti caprina.
Per la Turandot di Elena Pankratova si assiste a un’evoluzione inversa a quella descritta per il tenore: In questa reggia tremava d’ansia, la voce aveva un sibilo piuttosto stridulo, ma già verso la fine dell’aria la cantante ha preso un po’ di coraggio e anche la voce si è abbellita, nonostante ci restassero alcune note un po’ troppo sparate e imprecise. Gli enigmi, pur nella loro “staticità”, sono stati ben sciorinati, senza grossi difetti di pronuncia (ogni tanto arrivava qualche doppia non richiesta). Il personaggio manteneva intatta la sua proverbiale freddezza. Rimane una bella interpretazione e confido che, prossimamente, potrò risentire questa cantante con una maggiore sicurezza, perché può dare molto.
Il pubblico ha dimostrato di apprezzare, coronando la recita con dieci minuti di applausi (è stato necessario riaprire il sipario), benché non siano mancate contestazioni al tenore e al direttore, quasi completamente coperte dall’esultanza generale. Nel complesso, sono soddisfatta anch’io, che conto come il due a briscola fuori dalle pagine di questo blog... ma non bisogna dimenticare che talora basta il due a vincere una partita: per un punto Martin perse la capa. Turandot deve aver avuto un po’ di pratica con questo gioco.

giovedì 12 gennaio 2012

Signori di fuori son già i suonatori: Il lupo perde il pelo ma non il vizio

Di nuovo Bologna, di nuovo un'impresa, di nuovo biglietti. Anche quest'anno le vostre blogger di fiducia si sono assicurate la loro meritata dose d'opera nella città felsinea, città a cui mi sono particolarmente affezionata studiando il Rinascimento, perché tutti, volenti o nolenti, sono passati di lì, compreso l'imperatore Carlo V che, già che c'era, si è fatto addirittura incoronare.
Noi, ovviamente, queste preferenze non le possiamo soffrire (non per democrazia, ma per invidia, ma non occorre specificarlo, no? :) ), quindi non ci faremo mancare niente.
Ieri non avevo niente di meglio da fare e sono planata a Bologna con la compostezza di un cacciabombardiere, in cerca di biglietti e, eventualmente, di libri (come se mi mancassero...). Quest'anno, ho affilato le armi in maniera meno grossolana dell'anno scorso, per cui ero preparata a tutto: avevo la lista delle opere in tasca, la carta d'identità della mia socia per avere la riduzione e un ingente quantitativo di pecunia per ogni evenienza. Nulla, nulla, nulla poteva cogliermi di sorpresa...
O meglio, quasi nulla. Io respingo la semplicità e la semplicità disdegna me. Forse il mio è solo un esagerato sottovalutare il nemico, chissà. Fatto sta che anche anche stavolta i conti non mi sono tornati.
Il botteghino apre a mezzogiorno. Era l'11 Gennaio, era mezzogiorno e un quarto. Davo per scontato che non ci fossero altri matti a farmi concorrenza, che sarei stata l'unica e sola, che quindi non era il caso di piazzarmi fuori dalla biglietteria con tre ore d'anticipo, che potevo perdere un po' di tempo a guardare vetrine che mi lasciavano indifferente.
Arrivo a teatro, guardo oltre la porta a vetri solo pro forma, per sincerarmi che i vetri fossero ben puliti, perché mai e poi avrei scommesso che ci sarebbe stato qualcuno a quell'ora. Sì, magari giusto qualche pucciniano accanito in cerca dei biglietti per la prima di Turandot (e colgo l'occasione per informarvi che la daranno in diretta su Radio3 il 19), ma questo era quanto...
Il piccolo atrio, invece, era pieno come un uovo. Se ci fosse stata la possibilità di arrampicarsi su per il muro, credo che qualche Spiderman l'avrebbe colta. Io e gli sconosciuti che mi avevano involontariamente guastato la festa ci siamo guardati con fare a metà fra l'ostile e il perplesso per qualche istante, poi decido saggiamente (saggiamente? Fra poco vedremo...) di ritirarmi, di andare a cercare qualche bel libro su una via laterale e poi tornare, nella speranza che la folla fosse scemata.
Per farla breve, si può fingere che la pegola non esista ma non si può sconfiggerla. La libreria era chiusa. Non per riposo, per sempre. Dentro c'era giusto un tavolino. Molto triste. Torno a teatro, rassegnata, ma sempre speranzosa che nel frattempo la fila si fosse sfoltita.
Un corno, dottor Bartolo!
Anzi, i dipendenti si sono organizzati talmente bene nel prevedere un simile afflusso che sul tavolino c'era persino la lista di precedenza. E io che credevo di fare la diva! Guardo l'elenco di nominativi, sconsolata. Ero ventiquattresima. Al momento (cioè circa mezz'ora dopo l'apertura delle casse), era il turno del settimo. Si profilava davanti a me una lunga attesa. L'ho trascorsa in compagnia di un compiacente Cristoforo Colombo (al di fuori dell'ambito operistico, questa biografia di Granzotto è assai carina. Purtroppo è fuori catalogo, ma se la trovate fate un affare).
Ho passato così un'ora. Beh, mi è andata bene. Per il Trovatore che hanno dato a Trieste qualche anno fa ho aspettato fuori dal teatro e al freddo per due ore. Qui, almeno, ero al caldo. E poi, là ero alle prese coi biglietti last-minute, cioè gli avanzi degli avanzi. Qui la prevendita era aperta da una settimana; nonostante l'afflusso di gente, avrei trovato dei posti che facevano al caso mio!
Di nuovo sottovalutavo il nemico e ne ho avuta dimostrazione a quattro persone da me, per merito di un signore piuttosto anziano che ha pensato bene di tormentare la bigliettaia (e noi) facendosi spulciare tutta la stagione sul momento. Arrivato alle Nozze di Figaro, dopo aver fatto osservazioni sugli orari scomodi e altre varie ed eventuali, esclama qualcosa che mi fa domenticare di colpo il povero Colombo.
"Mi dispiace per queste Nozze" dice, "e mi dispiace ancora di più perché CI SONO POCHI POSTI!"
Ti pareva! Il colpo di scena! Giusto per tenere giovani le coronarie, presumo. A parte il resto, io mi ero fatta tutta la strada SOPRATTUTTO per prenotare quello spettacolo! Non potevano dirmi così a dieci minuti dal mio turno!
I dieci minuti sono passati. Il mio momento è arrivato.
Nonostante tutto, è andata bene. Il risultato è stato questo:
TURANDOT, 29 Gennaio;
TRAVIATA, 11 Marzo;
ITALIANA IN ALGERI 13 Maggio;
NOZZE DI FIGARO 24 Giugno (alla faccia di tutto, posti in prima fila!).
Aspasia sarà mia degna sodale alle Nozze, le altre saranno imprese solitarie.
Insomma, per quest'anno, le cronache sono assicurate (e ce ne saranno anche altre, ma non possiamo svelare tutto subito, no?).

domenica 4 settembre 2011

Per lui che adoro: Florez e l'acqua di mare

L'altro giorno avevo annunciato la defezione di Florez per i Puritani  Nippofelsinei, pur non conoscendone la ragione ufficiale.
Oggi l'ho scoperta:
Dear Friends and Fans,

sadly, I have to communicate you that I won't be able to participate in the I Puritani production with the Teatro Comunale di Bologna in Japan in September due to medical reasons. Due to a strong single cough after swallowing some sea water, I have broken a small blood vessel on my cord. It is nothing serious, but you can't sing with this condition, being necessary some days of rest. I was so much looking forward to visit Japan after some years of absence, and meet with loving fans and friends again there. On the other hand, I was looking forward to sing I Puritani again, an opera so dear to me. 

I have been in Japan many times and I have only beautiful memories that I treasure in my heart, and I can't wait for another opportunity to visit you again.

With thanks for your understanding,

Juan Diego Flórez
Fonte:  
http://www.juandiegoflorez.com/news/

Io l'ho sempre detto che il mare fa male...

Deliri musical-cinematografici


Dopo il tris di tenori, al Comunale è venuto a mancare anche il sostegno del baritono, proprio all'ultimo momento. La prima cosa che mi è venuta in mente quando Aspasia, che è la mia gazzetta musicale in tempo reale(imbranata come sono, è meglio che non mi metta a cercare notizie su internet. Potrei smarrirmi in una selva oscura...), la prima cosa che mi è venuta in mente, dicevo, non è stata "Questa tournée non s'ha da fare", con buona pace del mio amatissimo Manzoni. La mia citazione invece è stata A qualcuno piace caldo: trovarsi all'ultimo momento a sostituire il baritono e l'ultimo tenore superstite altro non può essere che un remake del celebre film con Marilyn, Tony Curtis e Jack Lemmon... Solo che poi la mia mente speculativamente instabile ha aggiunto di suo: se Albelo (che sostituirà Florez) e il baritono sostitutivo (non mi è ancora giunto il suo nome) sono i novelli Lemmon e Curtis, il ruolo di Marilyn potrebbe spettare a Mariotti...

Comunque sia, quella storia finiva bene, nonostante ci fossero anche lì dei cattivi da sfuggire (solo che nel caso del Comunale non si tratta di mafiosi ma di radiazioni. Non so quale dei due sia il più pericoloso...).
BUONA FORTUNA AL COMUNALE!

giovedì 1 settembre 2011

Questa tournée non s'ha da fare...


Sto parlando della trasferta in Giappone dei complessi del Teatro Comunale di Bologna.
Tre titolo previsti, I Puritani, Carmen ed Ernani. Tre tenori protagonisti, Juan Diego Florez, Jonas Kaufmann e Salvatore Licitra.
Prima Kaufmann annuncia la cancellazione dei prossimi impegni (stando al suo sito dovrebbe riprendere il 10 ottobre) per potersi sottoporre ad un intervento chirurgico per l'asportazione di un nodulo al petto, poi si sparge la notizia dell'incidente stradale in cui Licitra è stato gravemente ferito (auguriamo ad entrambi il meglio, anche se, a quanto si legge in rete, le condizioni del tenore italiano sembrano essere critiche).
Già in blog e forum si ironizzava sullo stato d'animo di Florez, il quale, vista la cattiva aria che tirava sui tenori coinvolti in questo progetto, forse avrebbe fatto bene a restarsene a casa anche lui.
Detto, fatto.
Oggi in rete è comparsa la notizia, confermata da Ernesto Palacio, agente di Florez, che anche lui non sarebbe andato in Giappone.
Tre su tre.
Per i primi due casi non si tratta di divismo, ma di disgrazie. Incalcolabili.
Prima di accusare Florez di "eccessiva scaramanzia" attenderemo la motivazione ufficiale della sua cancellazione (fosse anche la paura per le radiazioni, condivisibilissima, dal mio punto di vista, ma, in questo caso, sarebbe stato meglio se si fosse svegliato prima).
Di una cosa però siamo certi: il terremoto, lo tsunami, le radiazioni, tre tenori che cancellano (e, notizia dell'ultim'ora, forse anche il baritono Gazale)...
Le coincidenze non cominciano ad essere troppe?



Ps. A breve vi forniremo un dettagliato resoconto delle nostre scorribande in terra inglese. Armida sta scrivendo le recensioni!

martedì 23 agosto 2011

Una voce poco fa: Operazione Miei rampolli femminini (Bologna, 12 Giugno 2011) Parte seconda – L’impresa

Finalmente, 12 Giugno! Io e Aspasia ci siamo lanciate, trepidanti, alla volta di Bologna. Siamo arrivate alle undici e, visto che l'opera iniziava alle tre e mezza, avevamo un po' di tempo per fare baldoria. Ovviamente, io avevo già adocchiato da mesi il libro del giorno, che però non aveva nulla di musicale: la Regina Margherita, che non avevo comprato nelle mie precedenti escursioni perché di prezzo lievemente superiore alla mia media e mia madre, che era sempre stata con me, avrebbe un po' storto il naso (eufemismo). In realtà, ho talmente tanti libri che i miei stanno cercando di porre un embargo, considerati i cronici problemi di spazio...
Sfogliato il nuovo pupillo e rifocillateci, siamo passate alla parte propedeutica all'opera, cioè la ricerca della casa del Gioak e del Museo della Musica, due luoghi che mi sono sempre stati a cuore ma che non sono mai riuscita a trovare. L’unica cosa che sapevo, per un vago sentito dire, è che sono ubicati a poca distanza l’uno dall’altro.
Anzitutto, la casa del Gioak, impresa nell'impresa perché sulla mia guida non figura e, anche quando mi sono affidata, nonostante la riluttanza, a Google Maps, la ricerca non ha dato esiti. Capite perché di internet non me ne facevo granché, prima di aprire il blog?
Non più tardi di qualche mese fa, sono venuta in possesso di un libro sul Gioak corredato da alcune immagini di luoghi rossiniani fondamentali quali la cappelletta dove sposò Olympe Péllissier (che Aspasia, con mia completa approvazione, definì "stalla" date le sue forme antiestetiche). A parte questi siti di rilevanza relativa, l'autore mi ha fatto il dono di una fotografia della modesta casetta a Bologna, ovviamente senza specificare, per mettere alla prova la mia scarsa pazienza, che è ubicata in Strada Maggiore. L'ho scoperto perché, nella fotografia, si stagliava sullo sfondo la Torre degli Asinelli.
Ora. La libreria che ho depredato a Febbraio era ubicata dirimpetto alla Torre! Per anni mi sono fermata a cinquecento metri di distanza! Figuratevi la mia morigerata reazione...
Era d'uopo farci un pellegrinaggio alla prima occasione, nonostante non ci fosse granché da vedere. Dopo una vita spesa in infruttuose ricerche, mi pareva bella come le Porte del Paradiso.
Pochi metri oltre la casa del Gioak, abbiamo trovato il Museo della Musica, sempre andando a lume di naso... E ovviamente ci siamo precipitate dentro, nonostante fosse l'una e mezza di Domenica pomeriggio. A onor del vero, i custodi hanno attaccato subito bottone, felici di avere due primedonne tutte per loro e abbastanza giovani da poter essere istruite senza correre il rischio di sembrare molesti. Noi, docili e obbedienti, ci siamo lasciate reggere, ci siamo fatte guidare... Ma.
Gli improvvisati zii ci avevano decantato le meraviglie del museo e la sua importanza. E noi ci avevamo creduto, finché non siamo capitate davanti a una teca con alcuni oggetti appartenuti al Gioak. In primo piano spiccava... il suo parrucchino!
L'abbiamo guardato, basite e incredule.
"Fu vision!” abbiamo pensato.
Abbiamo riguardato.
"E' desso!"
Come potevamo reagire di fronte a cotanta gloria? L'abbiamo onorata facendole festa con una fragorosa risata, che ha dissacrato le sacre volte del sacro museo! Il Gioak, che per fortuna era un bonaccione, ci sorrideva di rimando dal suo quadro giovanile appeso sopra la teca. Probabilmente, anche lui avrà pensato "Guarda se sono cose da esporre!"
La goliardia regnava dunque sovrana e col beneplacito del compositore del giorno, allorché ci siamo presentate, diligenti, di fronte al Comunale, con più di mezz'ora di anticipo.

Finalmente, si sono spalancati i battenti.

Oh cielo, in qual estasi
rapir mi sento
d'inesprimibile,
dolce contento!


Siamo entrate.

Bel raggio lusinghier,
di speme e di piacer,
alfin per me brillò!


Ci siamo guardate bene intorno perché ancora non ci pareva vero di essere lì.

Qui tutto è calma,
delizia, amor;
qui trova un'alma
scampo al dolor.


Abbiamo preso posto.

Di piacer mi balza il cor
ah, bramar di più non so!


Per tramandare il momento solenne ai posteri, ci siamo adeguatamente fotografate (avevo portato, da zelante maniaca delle foto, il cosiddetto "canón", così definito non per la marca, perché è un modello della concorrenza, ma per l'obiettivo pronunciato).

Di sì felice innesto
serbiam memoria eterna.


Scoccano le tre e mezza. È giunta l'ora!

Oh, come il cor di giubilo
esulta in questo istante!


Si spengono le luci.

Io smorzo la lanterna,
qui più non ho che far.


L'orchestra accorda.

Llllllllllllllllllaaaaaaaaaaaaaaaaaa.

Finalmente, è entrato il Michele che, come da copione, ha sorriso al pubblico che lo applaudiva con trasporto, probabilmente (visto che non era ancora vibrata una nota) perché ha del prodigioso che qualcuno riesca a passare attraverso lo schieramento di violini senza contundersi o contundere.
Spento l’applauso, inizia l’ouverture.
Fin qui, cioè per il primo minuto scarso, io e Aspasia siamo rimaste distinte e posate. Per le successive tre ore, l'aplomb è andato a farsi benedire. Non che l'avessimo trattenuto combattendo con le unghie e coi denti, in effetti...
Tuttavia, giusto per continuare a propagandare ragione anche quando si è nel torto, la colpa non è nostra. La colpa è del Michele. Il nostro ha l'abitudine di sospirare e canticchiare e, essendo state noi a due metri da lui (avevamo posti centrali di prima fila in platea), l’abbiamo sentito che era un piacere.
Il Maestro attaccò quindi l'ouverture col primo sospiro. L'orchestra inizia a suonare, e brava l'orchestra! Noi due, invece, scoppiamo a ridere, trattenendoci a stento da una risata fragorosa... E brave anche noi due, ma nel senso manzoniano del termine...
"Se va avanti così per tutta l'opera" (cosa che effettivamente poi ha fatto) "siamo rovinate!" ho bisbigliato all'orecchio di Aspasia, mentre entrambe eravamo ancora sghignazzanti.
Per fortuna, dopo il primo impatto, il fluire della musica ci ha ricondotte alla ragione (si fa per dire) e abbiamo evitato di farci buttare fuori con tutti gli onori del caso. Va bene la gloria, ma non a qualunque costo...
Adesso che ho esaurito l'analessi ludica, vengo a ciò che tutti aspettano da un atto e mezzo, cioè lo spettacolo vero e proprio.
Iniziamo col Michele che, ora che dovrei fingere un po' di competenza e distacco critico (MA VA LÀ!), potrei cominciare a chiamare Maestro Mariotti. Cosa c'è da dire? Mi profonderei un lungo, lunghissimo, sterminato panegirico. Non ho mai sentito quest'opera diretta così bene (il vertice è stato il “nodo avviluppato”: un meccanismo perfetto) e sinceramente non riesco ad approvare le lamentele di coloro che sostengono che questa direzione abbia fatto acqua da tutte le parti. Per quello che mi riguarda, una volta terminato lo spettacolo, l’avrei volentieri ricominciato daccapo...
Il cast, precisamente il secondo cast, così abbiamo avuto il bene di poter fare il raffronto con quello sentito alla radio (e averlo trovato di molto superiore), si componeva di:

Cenerentola Chiara Amarù
Don Ramiro Enea Scala
Dandini Eugene Chan
Don Magnifico Marco Filippo Romano
Alidoro Luca Tittolo
Clorinda Zuzana Marcovà
Tisbe Giuseppina Bridelli

Onore al merito di Chiara Amarù ed Enea Scala, che sono risultati molto più gradevoli dei due colleghi del primo cast (Laura Polverelli e Michael Spyres). Per quanto riguarda la Amarù, si è rivelata un’interprete di tutto rispetto, che ha saputo rendere molto bene le sfumature del suo delicato personaggio. Sicura negli acuti e di bel fraseggio. Ammirevole soprattutto nel rondò finale, di meritatissimi applausi. È una cantante che può crescere molto e regalarci così altre belle esecuzioni.
Enea Scala ha bella voce e buona tecnica (anche se la differenza nel passaggio dal centro all'acuto è ancora troppo marcata: la voce cambia totalmente). L'ho trovato leggermente manierato nel fraseggio e non del tutto disinvolto nella recitazione, ma è giovane, il tempo è dalla sua parte. Comunque una prestazione più che positiva.
Eugene Chan gestisce benissimo la caratterizzazione del personaggio, un po' meno la voce, che a tratti è inudibile (e noi eravamo in sedute in prima fila)...
Marco Filippo Romano ha reso molto bene Don Magnifico, sottolineandone sia il lato comico che quello ostile e orgoglioso. Devo dire, però, che ho temuto per lui quando, per la scena X del I atto, si è dovuto arrampicare su dei tavolini instabili e continuare a declamare con nonchalance Noi don Magnifico. Possibile che uno vada a teatro per divertirsi e debba invece preoccuparsi dell’incolumità dei cantanti? La povera Aspasia, che soffre di vertigini, ha rischiato un attacco di panico!
Notevole anche l’Alidoro di Luca Tittoto che, ci ha offerto “Là nel ciel” cantato con solo delle trascurabili imperfezioni, che gli condoniamo vista la difficoltà di quest’aria.
Infine, le sorellastre (non io e Aspasia, ma quelle vere!), che sono le stesse del primo cast. Se la Tisbe di Giuseppina Bridelli è stata accettabile, assolutamente negativa è risultata la Clorinda di Zuzana Markovà. Questa volta, ribadisco che ero in prima fila non per vanteria, ma per far meglio intendere il mio orrore allorché, fin dall’esordio, ho fatto fatica a sentirla! Non oso immaginare cosa sia arrivato agli spettatori nelle ultime file...
Per quanto riguarda regia e allestimento, ho tirato un sospiro di sollievo constatando che la scena si apriva con una cucina, tristissima e modesta, ma di forma compiuta, e che la storia seguiva fedelmente il libretto. Tengo a sottolinearlo perché, alcuni anni fa, abbiamo avuto il (dis)piacere di assistere a un Don Giovanni a Trieste, sempre firmato da Daniele Abbado, la cui scenografia consisteva in un informe parallelepipedo che girava su se stesso...

L’opera è finita, andate in pace. Come disse la compagna Nadia nel Compagno don Camillo «L’unico rimpianto è che è stato troppo breve». Malinconia di breve durata, comunque, visto che io e la mia socia eravamo fin troppo galvanizzate e avevamo progettato, già durante il lungo viaggio di ritorno, qualche scorribanda (o scorreria, a piacere) per l’anno venturo.
Stavolta, però, la crociata per i biglietti non si vestirà dei colori dell’epopea perché conosco i trucchi del mestiere e l’adorata libreria ha chiuso i battenti (questa volta a sospirare sono io, nostalgicamente...). Gli amanti del quieto vivere sgraneranno gli occhi se aggiungessi che mi dispiace questo eccesso di tranquillità...
Perbacco! Io sguazzo nello scompiglio!

N. B. Ringrazio sentitamente la cara Aspasia per le aggiunte ai commenti tecnici.

martedì 16 agosto 2011

Operazione Miei rampolli femminini (Bologna, 12 Giugno 2011). Parte prima: L'antefatto

Questa non sarà una succinta recensione, ma la doviziosa attestazione delle follie che due scalcinate melomani commettono per inseguire i propri idoli, perciò, più che soffermarmi su pecche e virtuosismi degli interpreti, parlerò dei fatti miei... Non per mia vanagloria, perché non brillo propriamente come una stella del firmamento, ma perché mi sono divertita e voglio rendere partecipi gli altri.
La narrazione sarà divisa in due puntate, per rendere giustizia alla modesta me stessa e non far addormentare i miei lettori di sasso. In questa, narrerò l'antefatto al 12 Giugno 2011, data in cui io e Aspasia ci siamo recate in quel di Bologna per assistere alla Cenerentola, che aveva stuzzicato la nostra attenzione perché diretta da uno dei nostri direttori preferiti, Michele Mariotti (povero sventurato! Che fan gli sono capitate!).
Ora, come ho scritto, questa benedetta opera è andata in scena in Giugno: io, che mi fascio sempre la testa con tempistico anticipo, ero sulle spine già dal Novembre dell'anno scorso, quando la mia mente emotivamente instabile ma onirica-mente evoluta mi ha regalato un piacevole sogno. Ecco perché il caro, vecchio Nap (Napoleone) soleva dormire poco e solo quando decideva lui: per evitare fantasticherie pericolose... Avevo sognato che io e Aspasia planavamo al Comunale alla stregua delle sorellastre (siamo troppo maligne per litigarci il ruolo di Cenerentola) per bearci di quest'opera.
A tutta prima, la mia idea sembrava destinata a non spiccare il volo, soprattutto perché io ero convinta che l'opera fosse in Gennaio e che ormai fosse tardi per procurarsi i biglietti. Che io confonda opere, date e, nei casi estremi, addirittura teatri, è perfettamente normale. Esempio: collocavo il Sigismondo che è andato in scena al ROF l'estate scorsa, nientemeno che a Madrid e con un mese d'anticipo. Aspasia, santa donna, mi ha guardato con fare sconsolato e mi ha prontamente rimessa in carreggiata.
Per la Cenerentola, invece, non le avevo menzionato né le mie intenzioni e men che meno il mio sogno, per cui sono arrivata alle soglie di Gennaio in vigile attesa dell'opera, con la speranza che la trasmettessero alla radio...
Dove vegliavo? Patetico e antiquato, sul televideo, sulla striminzita paginetta dedicata ai teatri lirici. Ahimè, io e la tecnologia abbiamo un rapporto paragonabile a quello di Luigi XVI con la ghigliottina, e io sono Luigi XVI, purtroppo... Volevo scrivere qualcosa di allegro e questa parentesi mi sta deprimendo, per cui la richiudo immediatamente.
Insomma, isolata dal mondo contemporaneo, c'è voluto un pezzo prima che riuscissi a controllare sul sito del Comunale PERCHÉ la Cenerentola desiderata fosse restia a comparire sul televideo. La spiegazione era banale: avevo preso, more solito, fischi per fiaschi. DANNAZIONE!
La vergogna e i dubbi sull'effettivo funzionamento delle mie esauste celluline grigie si sono dileguati di fronte a una prospettiva più accattivante di quelle di Palladio: c'era ancora tempo! Potevamo tentare una sortita!
Ho agguantato Aspasia a tradimento, cioè nel bel mezzo di un pranzo, e lei, resa incauta dal desiderio di andare a teatro e paralizzata dalla degustazione di un piatto di patatine fritte, non si è potuta permettere lunghe repliche e ha acconsentito.
Chi mi frena in tal momento? L'unica persona che poteva dissuadermi era dalla mia parte!
Tutto ciò accadeva alla fine di Gennaio. Nella settimana successiva, ho cercato di venire a patti col sito del Comunale per capire i prezzi dei biglietti e le modalità di acquisto. Disdetta, per ottenere la riduzione grazie alla quale, data la nostra giovane età, avremmo pagato la metà, non c'era alternativa che presentarsi fisicamente in biglietteria.
Seconda battuta d’arresto, che questa volta sarebbe risultata definitiva, se non mi fossi intestardita al punto da escogitare un'ambiziosa contromossa: fare una spedizione punitiva a Bologna, in barba alle quattro ore di treno all'andata e delle altrettante al ritorno, recuperare i biglietti ridotti, pagare poco e figurare molto, siccome due primedonne del nostro calibro pretendono o la platea o il palco...
Per chi non mi conosce (cioè tutti, ahimè! :( ), io sono la signora delle ferrovie, colei che, quando l'anno scorso è venuta la bufera che ha paralizzato i treni, è riuscita a sfruttare ritardi e disgrazie altrui e arrivare alla meta con venti minuti d'anticipo. Volete che mi scomponga per un viaggetto a Bologna, città comodamente raggiungibile grazie al collegamento diretto e che è annoverata fra le mie preferite perché dispensa inesauribile di libri?
I libri, per me, sono una passione che somiglia e si confonde alle ossessioni. Ne ho a bizzeffe, e ovviamente non di argomento leggero: prevalentemente storia e letteratura, storia e letteratura vera, intendo. Più un libro è "mattone" e più lo incenso. Purtroppo per le mie spiantate risorse finanziarie, i libri non sono mai sufficienti, anzitutto perché non mi accontento mai, e poi perché ne cerco di talmente strani che la scusa «In biblioteca non si trovano!» più che una scusa è la verità. Inoltre, per giustificare la sterminata bibliografia sul Nico (lo zar Nicola II), su Wolfy (Amadeus Mozart), sul Chico (re Enrico VIII), sulla Vic (la regina Vittoria) (sono talmente in simbiosi con la storia che ogni personaggio ha un soprannome), ricorro ad un’altra giustificazione plausibile «Ogni storico la racconta in modo diverso!» Quando qualcosa mi interessa, trovo una lucidità di pensiero che altrimenti si dovrebbe cercare col lanternino (invano).
Insomma, in data 5 Febbraio sono partita in quarta, ho raggiunto il teatro, mi sono avventurata in biglietteria, ho puntato i posti liberi in prima fila e, con gli occhietti scintillanti come davanti al regalo di Natale, ho chiesto due biglietti.
«Tutti e due ridotti?»
«Sì».

Ah, che tutta in un momento
si cangiò la sorte mia...


«Hai un documento d'identità dell'altra persona? Altrimenti, non posso farti la riduzione...»

Non posso spiegarvi
la rabbia che ho in seno:
son tutto veleno,
son tutto furor.


AAAHHH!!! Sciagura! Questo non c'era scritto sul sito! Mi mancava la carta d'identità di Aspasia! AAAHHH!!!
Quando sarei tornata? Perché tornare era fuori discussione, a costo di arrivare in monopattino, ma quando??? Avevo un esame e dei turni di lavoro (ero assoldata per un paio di mesi nella biblioteca dell'Università) che mi trattenevano lontana per due settimane! E adesso non mi bastava andare, non mi bastava la platea! ESIGEVO la prima fila!
Incrociando le dita ed evocando tutti i santi a mia disposizione, compresa Santa Radegonda (perché l'esame era di Letteratura latina medievale e costei figurava in quanto protettrice del celeberrimo Venanzio Fortunato. Qui inizio e qui finisco), ho fissato il ritorno alla prima data utile: il 19 Febbraio.
Non vi dico la frenesia, tanto più che sono una persona irrequieta di suo. Mi consolava il fatto che, essendo Giugno lontano, non ci fossero tanti concorrenti pazzi in circolazione...
Come volevasi dimostrare, l'unica esaltata ero io: al mio ritorno, infatti, i posti c'erano ancora, nonostante lo scoramento iniziale perché non erano più verdi (cioè inappellabilmente liberi), ma gialli.
«Perché sono in vendita anche su internet. Se vuoi, controllo se sono ancora disponibili» mi ha rincuorato la bigliettaia.
«Sì sì sì! La prego!»
Per fortuna c'era un vetro in mezzo, altrimenti le sarei saltata al collo quando mi ha confermato «LIBERI!»

Un moto di gioia
mi sento nel petto
che annuncia diletto
in mezzo il timor!


Strano che non mi fossi librata in aria...
Biglietti alla mano e al colmo della felicità, mi sono lanciata nella mia libreria preferita per festeggiare degnamente il successo. E qui, devo registrare una notizia cattiva e una buona. La cattiva è che la libreria chiudeva per cessata attività. Mi si spezzava il cuore, visto che era una tappa obbligata di ogni mia peregrinazione a Bologna a partire dalla tenerissima infanzia. La buona notizia: tutto era in liquidazione! In condizioni normali i libri erano in vendita a metà prezzo, adesso erano in saldo a metà della metà!
Fra la gioia e l'esultar, ai biglietti, che erano già di loro una splendida refurtiva, si è aggiunto un ulteriore bottino di dieci libri, fra cui, visto che, salvo i lunghiiiiiiiiiiiiiiissimi momenti di autocompiacimento, non ho dimenticato che questo è un blog musicale, tengo a segnalarne due:
1. Libretti di Puccini in edizione Garzanti (curati da E. A. Ferrando, 2001);
2. Artisti sul Lario (di Piera Gatta Papavassiliou, ed. Libri Scheiwiller, 2000). Ed è stato un ritrovamento fortunato, perché ho notato questo libriccino sollevando la testa per caso. Io non mi distinguo per strategia... Tengo particolarmente a segnalare questo libro perché l'ho trovato di una lettura scorrevolissima. Se vi capita di trovarlo e volete trascorrere un ameno pomeriggio di lettura, questo è il libro giusto! Vi si narrano brevemente le vite di Stendhal, Rossini, Bellini, Liszt e Verdi, corredate da un bell'apparato iconografico.
Compiute le mie avventure operistiche e libresche, non mi restava che ricominciare a mordere il freno (stavolta per la data giusta, però), scandendo il tempo a ritmo d'esami...