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martedì 3 luglio 2012

Cara immagine ridente: Favole rossiniane

Una serata a cui tutti avremmo voluto partecipare (da spettatori, beninteso)

La domestica di casa Rossini annunciò, una sera, la visita di una signora, già venuta al mattino mentr'egli era andato a fare la solita passeggiata. Era una scozzese, giunta proprio allora a Parigi da Firenze, dove aveva preso lezioni di canto dal celebre maestro Pietro Romani. La sua idea fissa era quella di cantare in presenza del Rossini. Senza preamboli, apre il rotolo di carta che portava, ne trae la cavatina del Barbiere di Siviglia, la spiega sul pianoforte, si avvicina al Maestro e vuole trascinarlo verso l'istrumento per essere accompagnata da lui. Egli si scusa, propone uno degli astanti per renderle questo servigio, ma tutto è inutile. Le occorre il Rossini. La cosa diviene comica.
Il Maestro però tiene duro e manda al piano il giovane Stanzieri. La disgraziata, alla fine della cavatina, fu a punto di strozzarsi. Il Maestro stava impassibile come il Giove olimpico, mentre alcune signore presenti soffocavano dalle risa sotto i loro ventagli.

venerdì 4 maggio 2012

Cara immagine ridente: Favole rossiniane

Come comporre un'ouverture. Manuale pratico con parole e musica di Gioacchino Rossini (per cui, in teoria, dovrebbe trattarsi di un metodo affidabile)



Aspettate sino alla sera prima del giorno fissato per la rappresentazione. Nessuna cosa eccita più l'estro, come la necessità, la presenza di un copista che aspetta il vostro lavoro, e la ressa d'un impresario in angustie che si strappa a ciocche i capelli. A tempo mio in Italia, tutti gli impresari erano calvi a trent'anni. Ho composto l'ouverture dell'Otello in una cameretta del palazzo Barbaja, ove il più calvo ed il più feroce dei direttori mi aveva rinchiuso per forza, senz'altra cosa che un piatto di maccheroni, e con la minaccia di non poter lasciare la camera, vita durante, finché non avessi scritta l'ultima nota. Ho scritto l'ouverture della Gazza Ladra il giorno della prima rappresentazione, sotto il tetto della scala dove fui messo in prigione dal direttore, sorvegliato da quattro macchinisti che avevano l'ordine di gettare il mio testo dalla finestra, foglio a foglio, ai copisti, i quali l'aspettavano abbasso per trascriverlo. In difetto di carta da musica, avevano l'ordine di gettare me dalla finestra. Pel Barbiere feci meglio: non composi ouverture, ma ne presi una che destinavo ad un'opera semiseria, chiamata Elisabetta. Il pubblico fu arcicontento. Ho composto l'ouverture del Conte Ory stando a pesca, coi piedi nell'acqua, in compagnia del signor Aguado, mentre costui parlava di finanze spagnuole. Quella del Guglielmo Tell fu scritta in circostanze presso a poco simili. In quanto al Mosè, non ne feci alcuna.



E, come riporta la nota in calce nel mio volume delle Lettere del Gioak, questi consigli erano stati inviati a un artista esordiente dietro sua richiesta. Deve essere stato incoraggiante. :)

martedì 14 febbraio 2012

Cara immagine ridente: favole rossiniane



Fra poco sarà Carnevale. Per noi che ci muoviamo sempre col dovuto anticipo, il Carnevale è già arrivato. E allora, ecco qui:

Erano a Roma Paganini e Rossini: cantava la Liparini a Tor di Nona, e la sera mi ritrovavo spesse volte con loro e con altri matti coetanei. S'avvicinava Carnevale e si disse una sera: Combiniamo una mascherata.
Che cosa si fa? che cosa non si fa? Si decide alla fine di mascherarsi da ciechi e cantare, come usano per domandare l'elemosina. Si misero insieme subito quattro versacci che dicevano:
Siamo ciechi,
Siamo nati
Per campar
Di cortesia,
In giornata d'allegria
Non si nega carità.
Rossini li mette subito in musica, ce li fa provare e riprovare, e finalmente si fissa d'andare in scena il giovedì grasso. Il vestiario venne deciso che fosse di tutta eleganza di sotto e di sopra coperto di poveri panni rappezzati. Insomma una miseria apparente e pulita. Rossini e Paganini dovevano poi figurare l'orchestra, strimpellando due chitarre e pensarono di vestirsi da donna. Rossini ampliò le già sue abbondanti forme con viluppi di stoppa, ed era una cosa inumana! Paganini poi secco come un uscio, e con quel suo viso che pareva il manico del violino, vestito da donna, compariva secco e sgroppato il doppio.
Non fo per dire, ma si fece furore: prima in due o tre case dove s'andò a cantare, poi al Corso, poi la notte al festino.

(dalle Memorie di Massimo d'Azeglio)

martedì 10 gennaio 2012

Cara immagine ridente: Favole rossiniane

1. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI




Mi serviva una cavia per una nuova rubrica e


a) dopo aver riflettuto sui miei soliti intenti goliardici, e


b) avendo deciso di non aver disturbato ancora troppo le povere ossa di quella buonanima


la vittima sacrificale che mi si presentava più adatta è stata il Gioak. Ora, brevemente, a guisa d'introduzione, vi spiegherò perché. QUESTO è il perché:



Il Gioak si presentava bene, troppo bene, addirittura con un sorrisino sornione che faceva proprio al caso mio. Dopotutto, non potevo scegliere come mascotte qualcuno di QUESTO stampo:




o, peggio, QUEST'ALTRO ancora:





Niente contro di loro, poveretti, ma, immaginando che questi tre siano i nostri vicini di casa (e allora credo che la casa diventerebbe solo una piattaforma di lancio per andare ospite oggi dall'uno, domani dall'altro...), ma da chi preferiremmo trascorrere il pomeriggio? A scrivere domande e risposte sui quadernini di Beethoven? A sentire le lodi sperticate fatte a se medesimo da quel divo di Wagner? Scegliendo il Gioak, mal che vada, saremmo sicuri di tornare a casa con una fetta di torta nello stomaco.



Per cui, la scelta è stata facile.



2. LO SPIRITO DEL GIOAK:



Tanto per cambiare, anche il Gioak è passato per varie ed eventuali stilizzazioni che, come ha fatto notare un suo biografo con un'immagine coloristica, hanno ridotto il Cigno di Pesaro a svolazzare di qua e di là in cerca di inesauribili banchetti. Adesso, per rendergli giustizia, è iniziata una ricerca volta a dimostrare che, in realtà, il nostro aveva una psicologia più complessa, era una persona estremamente sensibile, negli ultimi anni rattristata da malattie nervose eccetera eccetera. In sostanza, la sua proverbiale ironia altro non sarebbe che la naturale difesa di chi conosce troppo bene la vita.



Insomma, anche il Gioak non era estraneo a questa valle di lacrime. L'ho scritto qui per chiarirlo una volta per tutte e non parlarne più, visto che non è il caso di spargere d'amaro pianto su qualunque cosa. Lascio le investigazioni sul lato oscuro del Gioak agli intellettuali seri che sono tanto più bravi (e musoni) di me.



Adesso quello che mi preme è citare su questo blog, di tanto in tanto, qualche facezia del Gioak, non per andare a frugare nella sua psiche i vari ed eventuali complessi che nascondeva (non sono Freud - il riferimento è dedicato ad una mia amica aspirante psicologa che tanto non leggerà mai queste righe. Io comunque ci provo :) ), ma perché, a leggere le sue battute in un momento di malumore, posso stare sicura di ritemprarmi. Per cui ecco perché ho pensato di condividerle.



3. FINALMENTE LE COSE SERIE:



Ecco qui il primo aneddoto (ripreso spudoratamente da una biografia scritta da Adriano Bassi e pubblicata da Franco Muzzio Editore):



"Si è affermato, e si continua ad affermare da alcuni, che il Rossini e il Meyerbeer si odiavano; ma persone degnissime di fede, intime dei due compositori, tra cui il maestro Méreaux e il Michotte, assicurano che non solo grandemente si stimavano, ma si amavano ancora. E' vero che, da un aneddoto narrato dal noto critico e storico Alessandro Biaggi, parrebbe che il Pesarese non credesse sincere le dimostrazioni di affetto del collega; ma io ritengo che l'aneddoto in parola non sia altro che una delle solite boutades burlesche, di cui tanto si compiaceva il Rossini.



"Passeggiando un giorno per le vie di Parigi in compagnia del Maestro, il Biaggi vide farsi avanti l'autore degli Ugonotti e chiedere premurosamente al Rossini notizie della sua salute. 'Non mi sento affatto bene', rispose questi serio serio, 'ho giramenti di capo, palpitazioni di cuore, un'infinità di malanni'. E, salutato in fretta il collega, proseguì la sua strada. 'Vada subito a casa, Maestro', disse allora il Biaggi, 'si abbia riguardo'. 'Non c'è bisogno', rispose ridendo il Rossini, 'mi sento benone; ma farebbe tanto piacere a quel caro Meyerbeer di sapere che domani io son crepato, che non ho voluto negargli oggi questa consolazione'".