Onde evitare che qualcuno di voi pensi che io sia in qualche modo ammiratrice dell'avvenente signora che vedete qui ritratta e che, diventata uno dei soprani più acclamati del secolo decimonono, rispondeva al celebrato nome di Adelina (al secolo, Adele Juana Maria) Patti, tengo a fare immediatamente presente che questo post è solo ufficialmente intitolato ad essa, perché ufficiosamente è dedicato ai gatti e a tutte le loro feline fusa.
Che c'entrano i gatti, mi chiederete voi, prima di arrivare a pensare che la vostra blogger sia finalmente impazzita del tutto, specie considerando che in questo modesto saggio (sì, ardisco chiamarlo "saggio") tratteremo della Patti come interprete mozartiana e non rossiniana, cosa che ci preclude l'usufrutto o meglio l'appropriazione indebita del celebre "duetto dei gatti" composto dall'adiposo cigno di Pesaro e che avrebbe messo apposto le cose.
Beh, innanzitutto, la Patti è stata notoriamente amica dell'ormai anzianotto Rossini e assidua frequentatrice del suo salotto parigino, quindi un sia pur pallido, esile, stiracchiatissmo collegamento coi gatti c'è - e, per il rotto della cuffia, c'è un nesso anche col duetto, visto che proporrò due ascolti in tutto. In secondo luogo, un critico meno velenoso e più competente di me aveva definito la Patti esattamente come "una gattina" ai tempi in l'ormai attempata diva aveva ardito tentare di cantare Carmen travisandone decisamente il personaggio. In terzo e ben più significativo luogo...
Avete mai ascoltato queste incisioni mozartiane della Patti??? Sono un continuo miagolio, e il miagolio di una di quelle povere bestie che devono aver mangiato un topo indigesto. Va bene, la signora era già avanti negli anni quando ha registrato queste due perle e certamente non era più possibile sperare che conservasse intatto uno strumento che aveva cominciato a perfezionare dall'età di sei anni e a usare in maniera più o meno continuativa a partire dagli otto. Esclusa un'interruzione fra il 1856 e il 1859 quando esordì, sedicenne, in Lucia di Lammermoor, il prodigioso soprano restò in attività fino al 1914, quindi era più che legittimo per l'encomiabile signora non essere più quella di una volta...
Ma insomma! Se proprio vogliamo far passare tutto, dalla smancerosa maniera di gorgheggiare perché ai tempi si cantava così alle imprecisioni di ogni genere perché ormai la Patti aveva un'età, almeno la d i z i o n e, che in altre circostanze sarebbe stata forse l'ultima cosa di cui mi sarei preoccupata, si sarebbe potuta curare un pochino. E invece, ciccia, per usare un termine scientifico. Non c'è da sperare che questa benedetta cantane scandisca con un linguaggio umano nemmeno le parole dell'aria di Zerlina, che - gatti a parte - fu uno dei suoi cavalli di battaglia e che, arrivata ai primi anni del Novecento, si poteva ben dire che avesse cantato da una vita riscuotendo peraltro l'ammirazione di pubblico e critica. E invece, tutto quello che le preziose parole di Da Ponte esprimono qui è una continua moina felina, dove solo di tanto in tanto è possibile credere che la voce della Patti non fosse "potente, ma, nella sua dolcezza e pastosità, aveva un singolare potere d'espansione e, negli acuti, una sorta di penetrante luminosità" (cit. dalla Grande Enciclopedia dell'Opera, vol. III, p. 959).
Lo stesso discorso vale per questa, più o meno coeva, incisione dell'aria Voi, che sapete dalle Nozze di Figaro:
Ma ora, basta, dicono che non sia bello parlare male dei defunti, quindi concludo questo post confessando a voi tutti che forse sono stata dura con la Patti solo perché sono anche io una di quelle - purtroppo - non rare persone che predicano bene e razzolano male. Sì, perché sono orgogliosamente proprietaria di un mio personale esemplare di Adelina Patti: si chiama (banalmente) Micia, ha dodici anni e prende bellamente il sole nel mio giardino. E quando miagola non pretende mai di cantare. MAI.
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