Visualizzazione post con etichetta La donna del lago. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta La donna del lago. Mostra tutti i post
venerdì 16 febbraio 2018
MTV: La donna del lago
Oggi voglio proporvi uno dei miei titoli rossiniani preferiti: La donna del lago!
venerdì 14 dicembre 2012
giovedì 17 novembre 2011
Una voce poco fa: Ah qual colpo inaspettato. Atto secondo
A me la parte goliardica, adesso! Uno spettacolo che si rispetti, con noi in sala, non può, non POTREBBE essere serio, mai e poi mai.
Un rapido appunto tecnico (e spero di concludere qui la parte noiosa): dalla mia posizione, non vedevo metà del palco, quindi possono essermi sfuggiti particolari significativi. Comunque il materiale a mia disposizione abbonda.
Anzitutto, l’allestimento. Ormai è talmente difficile trovare un allestimento di senso compiuto che mi sono quasi venute le lacrime agli occhi quando ho visto un semicerchio a logge rischiarate da quattro o cinque lampadari che pendevano dal soffitto. A seconda delle necessità, poi, il semicerchio si apriva a metà e lasciava intravedere scorci alpini vari ed eventuali.
Il punto è che i lampadari, di cristallo, sarebbero stati carini se non fossero stati tanti. Così assumevano un aspetto kitsch che fa gridare allo scandalo in una reggia.
Confesso ora di non capire a cosa servisse che, su questi loggiati, si muovessero i doppi dei protagonisti. Ormai la moda del doppio impazza e a noi non resta che sorbircela...
Il coro. Finalmente questi poveri coristi non sono stati conciati in modi bislacchi, ma vestivano eleganti frac e abiti da sera. In particolare, mi sono innamorata di un vestito verde acqua di uno dei contralti, che da lontano pareva essere di velluto. Poi, però, compaiono sulla scena i protagonisti, abbigliati in tutt’altro stile, che non saprei attribuire a un’epoca precisa ma in deciso contrasto con l’abbigliamento del coro. La scelta di vestire gli uni in un modo e gli altri in un altro, per quanto i vestiti fossero belli e curati, non mi è piaciuta; in effetti, ci stava come i cavoli a merenda...
L’altra cosa che mi ha messo ansia è stata proprio all’inizio dello spettacolo, quando il coro si presenta in scena vestito come abbiamo detto e con dei calici in mano.
«Ho sbagliato opera!» ho pensato. «Adesso attaccano il brindisi della Traviata! Numi, pietà!»
No, niente Traviata, il Gioak per una volta ha avuto la meglio sul compositore preferito e sull’opera preferita di oggigiorno...
I cantanti. La parte tecnica è stata esaurientemente dibattuta da Aspasia, io mi occupo delle questioni collaterali (di quelle che Petrarca definirebbe nugae, cioè bazzecole). Vorrei solo puntualizzare che, dopo quest’assaggio di vocalità rossiniana, siamo apposto con le voci fino alla prossima generazione, perché i migliori erano tutti scherati lì per noi.
Partiamo con... le scarpe di Florez. Il nostro passerà alla storia per tante belle qualità, ma non per innalzare la soglia di altezza del tenore medio, visto che calzava un paio di stivali con palese rialzo (la moda dei tacchi lanciata da Luigi XIV, ometto piccino checché possa parere dai quadri, non è stata dimenticata). La cosa ancora più triste era che la Barcellona, le cui calzature erano rasoterra, era comunque più alta di lui. Il trucco permette guadagno fino ad un certo punto...
Proseguiamo con... le minacce di Florez (poi con te ho finito, povero...). Qui prendiamo le mosse un po’ da lontano, perché le disquisizioni mie e di Aspasia sul suo modo affatto convincente di minacciare sono iniziate dai tempi di gloria degli ormai mitici Puritani di Bologna (anno di grazia 2009), che prima ci siamo gustate dalla registrazione dalla radio e poi, già che amiamo perseverare, dal DVD completo. Ciò che era emerso dall’audio (e che il video ha confermato) è che il nostro non sa minacciare, gli manca lo stampo. Un tenore che minaccia è di per sé ridicolo, per moltissime ragioni: in primis, di solito si accapiglia con un baritono/basso che lo sovrasta di tutta la testa e quindi la faccenda assume un risvolto tragi-comico. In secundis, i tenori sono i personaggi eroici per definizione, quindi è facile che vogliano strafare e che finiscano male. Insomma, all’ascoltatore non resta che gridare “Togliete la spada di mano a quel pazzo!”
Nella Donna del lago, per fortuna, nulla di tutto questo accade. Terzetto del secondo atto: il Diego stavolta ci era sembrato scatenato sul serio, a differenza dei Puritani. La spiegazione è semplice: stavolta un tenore si scontra con... un altro tenore, cioè Florez si scontra con Osborn. Diciamo la verità, il Diego sapeva già che se lo sarebbe mangiato con tutta la spada, che quando c’è in giro lui tutti gli altri tenori si dileguano! In effetti, il nostro era talmente lanciato che, allontanandosi per duellare con lo sfidante (per una volta alla sua altezza), ha fatto anche un gesto imperioso e spazientito.
Finito col primouomo, passiamo al Vero Uomo, la Barcellona, con tanto di corazza, ormai suo simbolo distintivo (benché sia stata annunciata come Rosina a Trieste, l’anno prossimo). Non si sa bene perché, ma nell’ultima scena compare sul palco con tutt’altra divisa, in frac, come Douglas, evidentemente per appaiarli col coro, ma la domanda è: perché? Poverina, se sono talmente abituata alla corazza da poter dire che le dona, così conciata era ridicola! Non si possono fare cose del genere, soprattutto senza alcun motivo apparente... E domandare spiegazioni a un regista mi ha sempre messo addosso una certa ansia, sarà che sono prevenuta...
Il coro. Finalmente questi poveri coristi non sono stati conciati in modi bislacchi, ma vestivano eleganti frac e abiti da sera. In particolare, mi sono innamorata di un vestito verde acqua di uno dei contralti, che da lontano pareva essere di velluto. Poi, però, compaiono sulla scena i protagonisti, abbigliati in tutt’altro stile, che non saprei attribuire a un’epoca precisa ma in deciso contrasto con l’abbigliamento del coro. La scelta di vestire gli uni in un modo e gli altri in un altro, per quanto i vestiti fossero belli e curati, non mi è piaciuta; in effetti, ci stava come i cavoli a merenda...
L’altra cosa che mi ha messo ansia è stata proprio all’inizio dello spettacolo, quando il coro si presenta in scena vestito come abbiamo detto e con dei calici in mano.
«Ho sbagliato opera!» ho pensato. «Adesso attaccano il brindisi della Traviata! Numi, pietà!»
No, niente Traviata, il Gioak per una volta ha avuto la meglio sul compositore preferito e sull’opera preferita di oggigiorno...
I cantanti. La parte tecnica è stata esaurientemente dibattuta da Aspasia, io mi occupo delle questioni collaterali (di quelle che Petrarca definirebbe nugae, cioè bazzecole). Vorrei solo puntualizzare che, dopo quest’assaggio di vocalità rossiniana, siamo apposto con le voci fino alla prossima generazione, perché i migliori erano tutti scherati lì per noi.
Partiamo con... le scarpe di Florez. Il nostro passerà alla storia per tante belle qualità, ma non per innalzare la soglia di altezza del tenore medio, visto che calzava un paio di stivali con palese rialzo (la moda dei tacchi lanciata da Luigi XIV, ometto piccino checché possa parere dai quadri, non è stata dimenticata). La cosa ancora più triste era che la Barcellona, le cui calzature erano rasoterra, era comunque più alta di lui. Il trucco permette guadagno fino ad un certo punto...
Proseguiamo con... le minacce di Florez (poi con te ho finito, povero...). Qui prendiamo le mosse un po’ da lontano, perché le disquisizioni mie e di Aspasia sul suo modo affatto convincente di minacciare sono iniziate dai tempi di gloria degli ormai mitici Puritani di Bologna (anno di grazia 2009), che prima ci siamo gustate dalla registrazione dalla radio e poi, già che amiamo perseverare, dal DVD completo. Ciò che era emerso dall’audio (e che il video ha confermato) è che il nostro non sa minacciare, gli manca lo stampo. Un tenore che minaccia è di per sé ridicolo, per moltissime ragioni: in primis, di solito si accapiglia con un baritono/basso che lo sovrasta di tutta la testa e quindi la faccenda assume un risvolto tragi-comico. In secundis, i tenori sono i personaggi eroici per definizione, quindi è facile che vogliano strafare e che finiscano male. Insomma, all’ascoltatore non resta che gridare “Togliete la spada di mano a quel pazzo!”
Nella Donna del lago, per fortuna, nulla di tutto questo accade. Terzetto del secondo atto: il Diego stavolta ci era sembrato scatenato sul serio, a differenza dei Puritani. La spiegazione è semplice: stavolta un tenore si scontra con... un altro tenore, cioè Florez si scontra con Osborn. Diciamo la verità, il Diego sapeva già che se lo sarebbe mangiato con tutta la spada, che quando c’è in giro lui tutti gli altri tenori si dileguano! In effetti, il nostro era talmente lanciato che, allontanandosi per duellare con lo sfidante (per una volta alla sua altezza), ha fatto anche un gesto imperioso e spazientito.
Finito col primouomo, passiamo al Vero Uomo, la Barcellona, con tanto di corazza, ormai suo simbolo distintivo (benché sia stata annunciata come Rosina a Trieste, l’anno prossimo). Non si sa bene perché, ma nell’ultima scena compare sul palco con tutt’altra divisa, in frac, come Douglas, evidentemente per appaiarli col coro, ma la domanda è: perché? Poverina, se sono talmente abituata alla corazza da poter dire che le dona, così conciata era ridicola! Non si possono fare cose del genere, soprattutto senza alcun motivo apparente... E domandare spiegazioni a un regista mi ha sempre messo addosso una certa ansia, sarà che sono prevenuta...
P. S. So che in questa foto sembra minuta, ma in realtà non è vero.
Dovrebbe essere finita qui, e invece no, perché vorrei soffermarmi su una certa voce, che pretendeva che in sala ci fossero degli autoparlanti e che gli applausi e i “Bravo!” fossero precedentemente registrati. SMENTISCO! Testimonio che io non ho visto niente del genere e non per il fatto che sono palesemente venduta a Florez e che perciò ho gli occhi foderati di prosciutto e non ho visto per non vedere (anche perché, da brava ingorda, quel prosciutto piuttosto che metterlo sugli occhi lo metterei nello stomaco). Non li ho visti perché, ovviamente, non c’erano. E poi, diciamola tutta! Chi può pensare a sangue freddo un «Sei splendido!» per una registrazione? Queste sono cose che si fanno per ispirazione del momento, sono impensabili senza una vera emozione di sostrato, come dimostra la trasfigurazione del tranquillo pensionato in un tifoso d’assalto allo stadio (scusate il paragone blasfemo, ma rende il concetto).
Dovrebbe essere di nuovo finita qui, e invece no, perché dopo quella serata io e Aspasia avevamo un giorno intero da passare in gozzoviglie, per cui ci sarà una quarta parte, con (Udite, tutti udite! Le orecchie spalancate!) la recensione di una pseudo-biografia di Mozart (poi giustificherò lo "pseudo") che ho avuto la malaugurata idea di comprare. Dopotutto, da quando abbiamo aperto il blog abbiamo parlato praticamente solo del Gioak. È ora che il nostro compositore preferito si faccia sentire...
Dovrebbe essere finita qui, e invece no, perché vorrei soffermarmi su una certa voce, che pretendeva che in sala ci fossero degli autoparlanti e che gli applausi e i “Bravo!” fossero precedentemente registrati. SMENTISCO! Testimonio che io non ho visto niente del genere e non per il fatto che sono palesemente venduta a Florez e che perciò ho gli occhi foderati di prosciutto e non ho visto per non vedere (anche perché, da brava ingorda, quel prosciutto piuttosto che metterlo sugli occhi lo metterei nello stomaco). Non li ho visti perché, ovviamente, non c’erano. E poi, diciamola tutta! Chi può pensare a sangue freddo un «Sei splendido!» per una registrazione? Queste sono cose che si fanno per ispirazione del momento, sono impensabili senza una vera emozione di sostrato, come dimostra la trasfigurazione del tranquillo pensionato in un tifoso d’assalto allo stadio (scusate il paragone blasfemo, ma rende il concetto).
Dovrebbe essere di nuovo finita qui, e invece no, perché dopo quella serata io e Aspasia avevamo un giorno intero da passare in gozzoviglie, per cui ci sarà una quarta parte, con (Udite, tutti udite! Le orecchie spalancate!) la recensione di una pseudo-biografia di Mozart (poi giustificherò lo "pseudo") che ho avuto la malaugurata idea di comprare. Dopotutto, da quando abbiamo aperto il blog abbiamo parlato praticamente solo del Gioak. È ora che il nostro compositore preferito si faccia sentire...
martedì 15 novembre 2011
Una voce poco fa: Ah, qual colpo inaspettato! (Milano, 8-9 Novembre 2011). Primo atto
Ancora rapita e in estasi dopo aver presenziato alla rappresentazione di martedì 8 novembre de La donna del lago mi accingo a riportare alcune mie impressioni.
A dirla tutta, lasciata la parte ludica ad Armida, mi sono ritrovata con quella più difficile. Infatti quando le cose vanno male le dita sembrano andare da sole sulla tastiera. Quando invece è stato (quasi) tutto positivo, la fantasia va a farsi friggere, quindi scusatemi se sarò noiosa ;).
Parlavo di serata positiva. Beh, la definizione "positiva" è infinitamente lontana dalla realtà. Potrei insultarmi da sola per la sua scarsissima efficacia. In realtà la serata è stata semplicemente straordinaria: tutt'altro che una recita qualsiasi di una produzione qualsiasi. Credo che in molti, a teatro, quella sera, si siano resi conto di star assistendo ad un momento storico. Chissà. Magari fra 20 o 30 anni noi presenti racconteremo di quelle recite come fanno adesso quelli che parlano di spettacoli leggendari, con la Callas, o Pavarotti, o altri miti. Lo so che molti non concorderanno con queste mie affermazioni ribattendo col solito "non si canta più come una volta", "i bei tempi sono passati", "l'opera è morta" o altre frasi del genere, ma per me la sera dell'8 novembre è stata la prova che l'opera, pur coi suoi problemi, è ancora viva e in grado di fornirci momenti di pura estasi artistica (senti come scrivo stasera XD).
Veniamo finalmente a quello che più ci interessa: le voci.
Il ruolo di Elena è stato ricoperto da Joyce DiDonato. Se devo dire la verità, a me non convince tanto la recente abitudine di affidare i ruoli che Rossini ha scritto per Isabella Colbran a dei mezzosoprani. La scrittura piuttosto centrale della parte effettivamente sembra lasciare spazio a questo tipo di scelta perché effettivamente le note scritte da Rossini sono fattibili per dei mezzi, ma si corrono diversi rischi: il mezzo in questione potrebbe voler "fare il soprano", forzano quindi il proprio strumento, oppure potrebbe finire per assomigliare troppo a Malcon (personaggio maschile, creato però per una voce di mezzosoprano) e quindi avere in scena dei doppio (una coppia di innamorati, per giunta). Effettivamente, nonostante la Rossini renaissance abbia fatto molto per definire la prassi esecutiva del pesarese, la vocalità adatta a risolvere le parti scritte per la Colbran sembra ancora un punto irrisolto. Dall'alto della mia infinita sapienza musicale (ridete pure, io lo sto facendo), io certamente opterei per un soprano. Non un soprano leggero puro, Elena infatti non si può risolvere solo con variazioni sovracute e puntature. Certo, gli acuti ci stanno bene, soprattutto nel rondò finale, che trarrebbe grande giovamento espressivo da dei "fuochi d'artificio" ben emessi, ma non sono l'unica caratteristica necessaria. Se si può fare a meno di un grave corposo, è invece necessario un cento abbastanza sonoro e di bel colore. Non dovrebbero, inoltre, mancare le agilità (anche in zona centrale).
Niente di più facile XD. Se ripensiamo ad interpreti passate di Elena, noteremo che a tutte manca sempre qualcosa: alla Caballè i sovracuti, alla Devia i centri (anche se, vista la scrittura della parte, trovo la Caballè, teoricamente, più adeguata). Volendo fare un po' la passatista, forse la Sutherland avrebbe trovato la quadratura del cerchio, ma purtroppo non lo sapremo mai. Quindi non discuto le doti della DiDonato in quanto cantante, ma chi le propone certi ruoli.
Prescindendo da queste considerazioni (mi sono accorta di aver scritto un poema) devo dire che Joyce ha chiaramente dimostrato di meritare la considerazione che ha attualmente nel mondo dell'opera. Fraseggio accurato e sentito, agilità pulite, estremo acuto che ogni tanto pare al limite e fa sentire la "fibra della voce " (e qui torna il discorso del mezzo che "vuole fare" il soprano), ma comunque efficace, bei centri e voce che corre molto bene. Al terminde del rondò finale le viene tributato un sonorissimo applauso più che meritato (anche se, volendo cercare proprio il pelo nell'uovo di una serata eccellente, devo dice che io non ho gradito particolarmente la cadenza posta tra la fine di Tanti affetti e l'inizio di Tra il padre: quella sequenza di trilli era proprio bruttina e fuori contesto).
Daniela Barcellona (Malcom), annunciata indisposta (ma si faticava a notarlo, se non in alcuni passaggi in cui la voce perdeva un po' di vigore e alcune prese di fiato, che parevano affannose) ha ricoperto splendidamente il ruolo del cavaliere innamorato di Elena: coraggioso e appassionato ma delicato, il suo Malcom si è espresso mediante un timbro caldo e fascinoso, un'ottima coloratura, con padronanza su tutta l'estensione e accento partecipe: una prestazione da incorniciare.
Sul nostro amatissimo Juan Diego potrei iniziare un panegirico di proporzioni mastodontiche, ma siccome sono magnanima e non voglio tediavi vi dirò semplicemente una cosa: per come l'ha cantata quella sera, la parte di Giacomo V sembra una passeggiata. Dopo O fiamma soave si è scatenato un delirio di applausi e grida di "Bravo". Uno spettatore, dotato di voce molto ben proiettata, ha svettato sulla massa con uno stentoreo "sei splendido!" Non posso fare a meno che concordare.
Diverso il discorso per John Osborn (Rodrigo), il quale ci ha fatto percepire quanto il suo ruolo fosse difficile: l'estensione non gli manca, anche se i sovracuti si stimbrano e spesso sono imprecisi e in odore di falsettone (il confronto con Florez nel terzetto del secondo atto è impietoso). Nel tentativo di darsi un maggiore peso drammatico forza eccessivamente la sua voce di natura sostanzialmente leggera con il risultato di renderla traballante in alcune frasi centrali. Nonostante questo tratteggia encomiabilmente il personaggio e, pur un gradino sotto ai tre colleghi precedentemente citati, offre una performance di livello assoluto.
Il Douglas di Simon Orfilia, pur senza particolari errori (salvo alcuni transitori problemi di intonazione), è positivo, ma non lascia il segno. Benché canti Rossini con una certa frequenza e da qualche anno, da la sensazione che il Cigno non sia il suo forte.
Josè Maria Lo Monaco, che in altri teatri ricopre ruoli da protagonista, è un'Albina di lusso.
Buoni Jaeheui Kwon (Serano, che migliora nettamente rispetto alla disastrosa prima) e Jihan Shin.
Roberto Abbado dirige con mestiere e buon gusto, ma la sua non è un'interpretazione che ci ha fatto saltare sulla sedia.
Coro e orchestra, mi spiace dirlo, per niente all'altezza della compagnia di canto. Per quanto riguarda l'orchestra, gli elementi peggiori sono stati i fiati, segnatamente gli ottoni, che in più di un'occasione hanno "spernacchiato"; il coro (in particolare le sezioni maschili) ha avuto un rendimenti discontinuo, alternando passaggi suggestivi a momenti censurabili e del tutto inadeguati all'autore che stavano cantando.
Etichette:
Daniela Barcellona,
Gioacchino Rossini,
John Osborn,
Joyce DiDonato,
Juan Diego Florez,
La donna del lago,
Roberto Abbado,
Simon Orfila,
Teatro alla Scala
domenica 13 novembre 2011
Una voce poco fa: Ah, qual colpo inaspettato! (Milano, 8-9 Novembre 2011). Antefatto
Quest’operazione, come avrete notato, non è intitolata con un nome in codice come le precedenti, ma ciò non è dovuto a una improvvisa mancanza di fantasia, ma a un fatto semplicissimo: io, in tutto questo (come in molto altro...), non avrei dovuto centrare un tubo.
Il piano originario prevedeva che Aspasia si recasse alla Scala in compagnia di sua madre e che io restassi a casa a fare la calza e trepidare per la sugosa cronistoria al loro ritorno. Invece, per cause di forza maggiore, è stata necessaria una sostituzione dell’ultimo minuto... e quando dico ultimo minuto, intendo proprio ultimo minuto, cioè le sette di sera di Lunedì 7, con la partenza fissata alle dieci di mattina di Martedì 8.
«Miserere!» ho pensato, dopo che Aspasia, al telefono, mi aveva spiegato il corso degli eventi, «Niente di pronto, non ho neanche un vestito da sera invernale! La valigia sarà in chissà quale nicchia del garage! Adesso sono via, prima delle nove non sarò a casa! E domani mattina dovrei trovarmi in stazione bella e pronta? Santa Radegonda! Come posso dire di sì?»
«Accetto» ho risposto invece, convinta come don Camillo quando, appena tornato dalla Russia dove si era recato sotto mentite spoglie, deve ripartire per l'America su richiesta del vescovo.
Figurarsi se avessi risposto di no: le partenze all’ultimo, gli imprevisti, i colpi di scena sono il mio mestiere, pazienza per i bagagli da preparare e il vestito da comprare! Non mi scompongo per lo scompiglio, semmai lo incoraggio.
Caso voleva che fossi in un centro commerciale e che avessi davanti a me valanghe di vestitini graziosi... Ho fatto talmente in fretta a trovarne uno che ho mi è avanzato tempo anche per un bel paio di scarpe.
PRONTI, PARTENZA, VIA! Martedì 8 Novembre dell’anno di grazia 2011, siamo puntualmente partite alla volta di Milano coi potenti mezzi Trenitalia.
L’albergo. Bel posticino, in sito centrale ma non trafficato: il quartiere era talmente carino che ruminavamo fra noi «WOW! Non sembra nemmeno Milano!» Né io né Aspasia siamo patite di quella grigia città (benché un insistente coniglio che pubblicizzava un insipido risotto allo zafferano e affisso ad ogni cantone ostendesse il piatto esclamando “E poi dicono che Milano è grigia!”), quindi l’esclamazione tornava ad onore della via.
Il piano originario prevedeva che Aspasia si recasse alla Scala in compagnia di sua madre e che io restassi a casa a fare la calza e trepidare per la sugosa cronistoria al loro ritorno. Invece, per cause di forza maggiore, è stata necessaria una sostituzione dell’ultimo minuto... e quando dico ultimo minuto, intendo proprio ultimo minuto, cioè le sette di sera di Lunedì 7, con la partenza fissata alle dieci di mattina di Martedì 8.
«Miserere!» ho pensato, dopo che Aspasia, al telefono, mi aveva spiegato il corso degli eventi, «Niente di pronto, non ho neanche un vestito da sera invernale! La valigia sarà in chissà quale nicchia del garage! Adesso sono via, prima delle nove non sarò a casa! E domani mattina dovrei trovarmi in stazione bella e pronta? Santa Radegonda! Come posso dire di sì?»
«Accetto» ho risposto invece, convinta come don Camillo quando, appena tornato dalla Russia dove si era recato sotto mentite spoglie, deve ripartire per l'America su richiesta del vescovo.
Figurarsi se avessi risposto di no: le partenze all’ultimo, gli imprevisti, i colpi di scena sono il mio mestiere, pazienza per i bagagli da preparare e il vestito da comprare! Non mi scompongo per lo scompiglio, semmai lo incoraggio.
Caso voleva che fossi in un centro commerciale e che avessi davanti a me valanghe di vestitini graziosi... Ho fatto talmente in fretta a trovarne uno che ho mi è avanzato tempo anche per un bel paio di scarpe.
PRONTI, PARTENZA, VIA! Martedì 8 Novembre dell’anno di grazia 2011, siamo puntualmente partite alla volta di Milano coi potenti mezzi Trenitalia.
L’albergo. Bel posticino, in sito centrale ma non trafficato: il quartiere era talmente carino che ruminavamo fra noi «WOW! Non sembra nemmeno Milano!» Né io né Aspasia siamo patite di quella grigia città (benché un insistente coniglio che pubblicizzava un insipido risotto allo zafferano e affisso ad ogni cantone ostendesse il piatto esclamando “E poi dicono che Milano è grigia!”), quindi l’esclamazione tornava ad onore della via.
Il centro. Riposte le valige, fuori a far baldoria! Foto d’uopo davanti al manifesto affisso fuori dalla Scala, guardando intorno semmai uno dei nostri eroi avesse la sciagurata idea di incrociare la nostra strada, arpionarlo per un autografo e dimostrare al malcapitato cosa possono essere due fans isteriche, perlustrazione di Piazza Duomo e giretto per la Rinascente, centro commerciale d’impianto simile all’Harrods di estiva memoria, un po’ meno kitsch e con tanto di dolci carissimi e bellissimi all’ultimo piano (c’erano anche delle invitanti scarpe tacco dodici e borsetta coordinata al cioccolato. La stessa idea l’hanno avuta a Venezia col Murano, ma preferisco la variante milanese...). Uscite da lì e proseguendo sotto il portico, ci siamo imbattute in una via che non avremmo mai creduto di trovare, dedicata a una santa che credevo dimenticata e che, suo malgrado, è diventata la patrona di questo blog:
Aggiungendo che vicino all’albergo c’era poi quest’altra via, di un altro santo altrettanto famoso:
siamo giunte alla conclusione che i Milanesi condividono la mia stessa predilezione per i santi bizzarri.
Tempo scaduto! Rientro in albergo per i grandi preparativi. Due primedonne hanno bisogno della debita calma per prepararsi a dovere:
Qual mattutina stella
bella vogl’io brillare,
del crin le molli anella
mi giova ad aggraziar.
Onde evitare incresciosi incidenti coi tacchi e non arrivare a teatro provate come se avessimo scalato l’Everest, abbiamo chiamato un taxi. Avrei omesso questa notizia se il nome del taxi non fosse stato rilevante: Lima, altamente evocativo visto che alla Scala ci attendeva nientemeno che l’adorato Juan Diego. Con l’intercessione della nostra patrona e l’approvazione del Perù, la serata, che prometteva bene di suo, sarebbe andata a gonfie vele.
Palco, il secondo del quart’ordine. Arriviamo, salutiamo le due signore olandesi nostre vicine, ci immortaliamo sul luogo del misfatto e ci sediamo, Aspasia davanti e io dietro. Mi alzo di scatto: dal mio posto non si vedeva che un lembo estremo del sipario...
Mi sovvenne, emergendo dalle nebbie del tempo, la bella Salisburgo, il Festspiele di due anni fa, in cui trovammo i posti per miracolo, ma per disgrazia erano posti in piedi. Non eravamo provviste nemmeno di un comodo puff su cui accomodarci per dare breve sollievo ai piedi costretti nelle scarpe coi tacchi...
A spettacolo concluso, avevamo avuto bisogno di una rigenerante Coca Cola per riprenderci (non mi interessa di quello che ne pensano i salutisti: è stata un vero toccasana e la ricorderò con amore finché non scoprirò con che intrugli la preparano) e ancora non sapevamo che l’ultimo autobus era già passato e dovevamo tornare in ostello a piedi, alle undici e mezza della sera, in riva all’umida Salzach.
Lato positivo: avevamo sentito il Luca dal vivo. Ad avercelo chiesto, l’avremmo rifatto. Il Luca val bene una Salzach.
Ecco accontentato, due anni dopo, il mio spirito d’abnegazione. Guardavo il mio piccolo sgabello che sembrava ancora più piccolo e ancora più sgabello in considerazione delle tre ore di opera che avevamo davanti a noi. Il comodo soglio di Aspasia mi sembrava ancora più comodo e ancora più soglio...
In ogni cosa ci vuol filosofia, sosteneva don Alfonso, personaggio antipatico quant’altri mai ma che alla fine ha ragione. Hai ragione due volte, caro don: sono alla Scala, c’è Florez, c’è la DiDonato, c’è la Barcellona (che è quasi nostra vicina di casa, visto che abita a Trieste) e c’è il Gioak. Fosse stato Verdi, ti saresti potuta ben lamentare, ma, mettendola su questo piano, vuoi guastarti la festa per un insulso sgabello (foderato con un delizioso raso rosso, che mi sarei volentieri portata a casa per le sedie del soggiorno: il Rosso Scala fa sempre effetto)?
Chissenefrega, come disse la Scotto: il Diego val bene uno scranno!
NELLA PROSSIMA PUNTATA: la recensione della serata.
giovedì 27 ottobre 2011
Il grammofono: La donna del lago
Visto e considerato che avrò occasione di assistere dal vivo a questo spettacolo, recensire accuratamente la diretta radiofonica mi pare poco sensato, quindi vi riporterò solo alcune impressioni risultanti dall'ascolto di ieri sera.
Partiamo da un dato non strettamente legato alla singola esecuzione: la musica di Rossini.
Purtroppo La donna del lago è una composizione che si vede abbastanza raramente in scena, rispetto ad altri lavori del pesarese. Un peccato!
Forse il libretto non sarà dei più ispirati (il buon vecchio Tottola non era proprio un fenomeno come librettista) e questo va a discapito della teatralità del dramma, ma il Gioak supplisce con una musica altamente ispirata che, a mio avviso, meriterebbe di essere sentita più spesso (magari al posto dell'ennesima, inutile Traviata XD ).
Tornando un attimo al libretto (tratto da Walter Scott), devo dire che la risoluzione della vicenda mi lascia un po' scontenta. Infatti la protagonista Elena non è contesa da due uomini (il solito dualismo baritono tenore, in cui di solito è quest'ultimo ad avere la meglio) ma addirittura da tre, due tenori e un contralto en travesti: Rodrigo (John Osborn), il promesso sposo di Elena, Malcom (Daniela Barcellona), l'amante della protagonista e Uberto (Juan Diego Florez) che dovrebbe essere un nemico per questioni politiche, ma anch'egli innamorato di Elena.
Ora. Mentre Rodrigo da subito riesce ampiamente antipatico e viene subito accantonato come trionfatore nel cuore di Elena (onde evitare un bel finale stile Lucia di Lammermoor), per come la sento io, musica e libretto sembrano nettamente volgere ad un prevalere di Uberto, che pare riamato dalla bella protagonista. Invece il finale ci lascia spiazzati perché Uberto, che poi si scopre essere il re Giacomo V di Scozia, dopo aver fatto di tutto per l'amata, liberandone addirittura il padre, condannato per tradimento, viene bellamente snobbato da Elena, che gli preferisce Malcom. Per cui ci ritroviamo ad ascoltare Elena che nel suo magnifico rondò conclusivo esprime la sua gioia per una felice risoluzione della vicenda, mentre noi (o almeno, io) nel frattempo restiamo amareggiati per il re, che alla fine viene fregato dal contralto XD (chissà quante generazioni di baritoni saranno morti d'invidia nei confronti di questo contralto che è riuscita dove loro hanno sempre avuto la peggio)!
Potrà sembrarvi un accostamento assurdo, ma a me questo finale ricorda incredibilmente quello della Clemenza di Tito Mozartiana in cui Tito perdona tutti e alla fine si ritrova solo (anche se il libretto di Mazzolà, tratto da Metastasio, si presta a varie interpretazioni, per cui più di un regista ha fatto in modo che risultasse che alla fine Vitellia preferisse l'imperatore a Sesto). Diciamoci la verità: chi di voi, ascoltano l'opera, non ha provato un po' di pena per il povero re?! :).
Andando brevissimamente all'esecuzione di ieri sera direi che i protagonisti si sono tutti comportati decisamente bene, salvo Osborn, che mi ha lasciata poco convinta a causa di una voce bruttina e, nel occasione, non molto ben emessa. Non mi ha convinta nemmeno Orfilia (Douglas, il padre di Elena), che pare essere anniluce lontano da Rossini. Malissimo Kwon (Serano), che doveva cantare dieci note e ne avrà indovinate due. Buono il coro, anche se con alcune sbavature, e bene anche la direzione di Roberto Abbado, anche se non ha brillato per originalità.
Partiamo da un dato non strettamente legato alla singola esecuzione: la musica di Rossini.
Purtroppo La donna del lago è una composizione che si vede abbastanza raramente in scena, rispetto ad altri lavori del pesarese. Un peccato!
Forse il libretto non sarà dei più ispirati (il buon vecchio Tottola non era proprio un fenomeno come librettista) e questo va a discapito della teatralità del dramma, ma il Gioak supplisce con una musica altamente ispirata che, a mio avviso, meriterebbe di essere sentita più spesso (magari al posto dell'ennesima, inutile Traviata XD ).
Ora. Mentre Rodrigo da subito riesce ampiamente antipatico e viene subito accantonato come trionfatore nel cuore di Elena (onde evitare un bel finale stile Lucia di Lammermoor), per come la sento io, musica e libretto sembrano nettamente volgere ad un prevalere di Uberto, che pare riamato dalla bella protagonista. Invece il finale ci lascia spiazzati perché Uberto, che poi si scopre essere il re Giacomo V di Scozia, dopo aver fatto di tutto per l'amata, liberandone addirittura il padre, condannato per tradimento, viene bellamente snobbato da Elena, che gli preferisce Malcom. Per cui ci ritroviamo ad ascoltare Elena che nel suo magnifico rondò conclusivo esprime la sua gioia per una felice risoluzione della vicenda, mentre noi (o almeno, io) nel frattempo restiamo amareggiati per il re, che alla fine viene fregato dal contralto XD (chissà quante generazioni di baritoni saranno morti d'invidia nei confronti di questo contralto che è riuscita dove loro hanno sempre avuto la peggio)!
Potrà sembrarvi un accostamento assurdo, ma a me questo finale ricorda incredibilmente quello della Clemenza di Tito Mozartiana in cui Tito perdona tutti e alla fine si ritrova solo (anche se il libretto di Mazzolà, tratto da Metastasio, si presta a varie interpretazioni, per cui più di un regista ha fatto in modo che risultasse che alla fine Vitellia preferisse l'imperatore a Sesto). Diciamoci la verità: chi di voi, ascoltano l'opera, non ha provato un po' di pena per il povero re?! :).
Andando brevissimamente all'esecuzione di ieri sera direi che i protagonisti si sono tutti comportati decisamente bene, salvo Osborn, che mi ha lasciata poco convinta a causa di una voce bruttina e, nel occasione, non molto ben emessa. Non mi ha convinta nemmeno Orfilia (Douglas, il padre di Elena), che pare essere anniluce lontano da Rossini. Malissimo Kwon (Serano), che doveva cantare dieci note e ne avrà indovinate due. Buono il coro, anche se con alcune sbavature, e bene anche la direzione di Roberto Abbado, anche se non ha brillato per originalità.
Etichette:
Daniela Barcellona,
Gioacchino Rossini,
Il grammofono,
John Osborn,
Joyce DiDonato,
Juan Diego Florez,
La donna del lago,
Roberto Abbado,
Teatro alla Scala
mercoledì 26 ottobre 2011
Per lui che adoro: Waiting for La donna del lago (e che waiting!)
Stasera, su Radio3, in diretta nientemeno che dalla Scala, il nostro adorato Juan Diego si cimenterà nella Donna del lago del Gioak.
Ecco un breve assaggio di quello che ci aspetta (la registrazione è quella di Pesaro con la Devia). Come noterete dopo la prima foto sobria, il nostro tenore preferito quando vuole non è affatto serio. Ringrazio Google immagini per la gentile collaborazione.
A stasera!
Ecco un breve assaggio di quello che ci aspetta (la registrazione è quella di Pesaro con la Devia). Come noterete dopo la prima foto sobria, il nostro tenore preferito quando vuole non è affatto serio. Ringrazio Google immagini per la gentile collaborazione.
A stasera!
Signori di fuori son già i suonatori: La donna del Lago
Stasera non prendete impegni. E se ne avete già, cancellateli!
No. Non voglio azzerare la vostra vita sociale per trarne un qualche perverso divertimento. Voglio piuttosto evitare che domani compiate gesti inconsulti per esservi accorti di aver mancato uno degli eventi musicali dell'anno. XD
Venendo ai fatti. Stasera Scala c'è la prima della Donna del lago dell'amato Gioak (Rossini, per chi ignora il gergo Aspasiarmidesco). Radio 3 la trasmetterà in diretta (Deo gratias!!!), mentre io degnerò Giovandiego & Co della mia presenza nella replica dell'8 novembre.
Questo il cast della prima:
Giacomo V, re di Scozia, sotto il nome del cavalier Uberto di Snowdon, Juan Diego Flórez
Douglas D'Angus, Simon Orfila
Rodrigo di Dhu, John Osborn
Elena, Joyce DiDonato
Malcom Groeme, Daniela Barcellona
Albina, Josè Maria Lo Monaco
Serano, Jaeheui Kwon
Bertram, Jihan Shin
Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano
direttore, Roberto Abbado
No. Non voglio azzerare la vostra vita sociale per trarne un qualche perverso divertimento. Voglio piuttosto evitare che domani compiate gesti inconsulti per esservi accorti di aver mancato uno degli eventi musicali dell'anno. XD
Venendo ai fatti. Stasera Scala c'è la prima della Donna del lago dell'amato Gioak (Rossini, per chi ignora il gergo Aspasiarmidesco). Radio 3 la trasmetterà in diretta (Deo gratias!!!), mentre io degnerò Giovandiego & Co della mia presenza nella replica dell'8 novembre.
Questo il cast della prima:
Giacomo V, re di Scozia, sotto il nome del cavalier Uberto di Snowdon, Juan Diego Flórez
Douglas D'Angus, Simon Orfila
Rodrigo di Dhu, John Osborn
Elena, Joyce DiDonato
Malcom Groeme, Daniela Barcellona
Albina, Josè Maria Lo Monaco
Serano, Jaeheui Kwon
Bertram, Jihan Shin
Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano
direttore, Roberto Abbado
Si prevedono fuochi d'artificio, sperando anche che la Joyce si sia ripresa dall'indisposizione che l'ha costretta a saltare la prova generale.
Diretta su Radio 3 dalle 19.45.
Buon ascolto!
Etichette:
Daniela Barcellona,
Gioacchino Rossini,
John Osborn,
Joyce DiDonato,
Juan Diego Florez,
La donna del lago,
Roberto Abbado,
Signori di fuori son già i suonatori,
Simon Orfila
Iscriviti a:
Post (Atom)