lunedì 30 gennaio 2012

Una voce poco fa: Impresa solitaria Gli enigmi sono tre: fante, cavallo e re (Turandot, 29 Gennaio 2012)



Ieri è stata una giornata strana. L’unico mio momento di gloria è stato imprecare contro il tempo che minacciava diluvio. Poi, per farmi dispetto, di pioggia non ce n’è stata. Non ci sono stati neanche libri, e sì che ero a Bologna. Per non tornare a casa a mani vuote, ho comprato il programma di sala (pregevole perché pone a confronto alcuni punti-chiave col testo di Gozzi), che avrà il benemerito onore di essere uno dei miei primi libri stampati in questo secolo (di solito io cerco quelli fuori catalogo da trent’anni)...
Insomma, ero in un particolare stato di grazia; troppo particolare, troppa grazia. Quella morigerata giovincella che aspettava ordinatamente il proprio turno fuori dal teatro, in mezzo alle befane impellicciate e stuccate come dive del cinema, non ero io. Non potevo essere io! Ero troppo tranquilla, troppo ordinata, troppo intonata all’ambiente. ERO UNA CARICATURA!!!
Poco male, ho di che consolarmi con questa recensione, in cui spero di prendermi una rivincita (rivincita sancita fin dal titolo, che magari mi costerà la testa ma che è un affettuoso omaggio alla mia amata briscola).
Come da buona tradizione felsinea, il secondo cast era destinato a surclassare il primo (che ho sentito alla radio con momenti di raccapriccio). Ed ecco qui gli intrepidi interpreti:

Turandot, Elena Pankratova
Calaf, Francesco Anile
Liù, Virginia Wagner
Timur, Alessandro Guerzoni
Ping, Marcello Rosiello
Pong, Stefano Pisani
Pang, Mario Alves
Altoum, Stefano Consolini
Un Mandarino, Nicolò Ceriani
Principe di Persia, Martino Fullone
Due ancelle, Maria Adele Magnelli e Marie-Luce Erard

Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Coro di Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna
Maestro del coro, Lorenzo Fratini
Preparatore del coro di voci bianche, Alhambra Superchi
direttore, Fabio Mastrangelo
regia, Roberto De Simone

Una volta tanto, posso volgermi alla regia con un sospiro di sollievo, perché ciò che ho visto eguagliava la bellezza della musica: l’allestimento di De Simone, che aveva già inaugurato la riapertura del Petruzzelli poco più di due anni fa, era davvero ambientato “a Pechino, al tempo delle favole” ed era composto da una lunga scalinata su cui si disponevano i coristi abbigliati come i soldati dell’esercito di terracotta. Un tocco estremamente suggestivo. Alcune maschere di mostri (a seconda delle necessità, boia, aguzzini, carnefice di Lo-u-ling, di cui si assiste allo scempio mentre Turandot racconta la sua triste vicenda) e delle visioni nei momenti salienti hanno completato la coreografia. Commovente l’accento messo sulla giovinezza e la purezza del giovanissimo principe di Persia, circondato da una luce bianca al momento del supplizio.
In cima alla scalinata, era situato il trono dell’imperatore. Durante la scena degli enigmi, Turandot (che compare quasi per incanto da dietro un telo in movimento) canta fra dei guerrieri finti che, a mano a mano che Calaf indovina, sprofondano come a dimostrare che la principessa sta perdendo il suo potere. Nell’ultimo atto, invece, la scena si svolge presso la tomba di Lo-u-ling e l’opera si conclude proprio con lo spirito dell’ava che conduce con sé l’esanime Liù dopo aver porto a Turandot un fiore, simbolo della prossima riconciliazione con Calaf.
La scelta più discutibile forse è proprio questa, di interrompere l’opera nel punto in cui termina la musica di Puccini. Ascoltando i commenti all’uscita (no, non ho origliato. Erano gli altri a parlare a voce alta...), alcuni hanno apprezzato quest’idea, trovando corretto non proseguire oltre la scrittura dell’autore. Sinceramente, io non saprei decidermi: tagliando il finale, si perde il senso della storia, ma è anche vero che il lieto fine mi è sempre sembrato stiracchiato molto più che in altre opere. Un bacio è un po’ poco per piegare una principessa ieratica, e come me la pensa anche il regista (come si legge al programma di sala, pagg. 76-77), che ricorda che, nel mito originale, “la Principessa crudele è vittima di un incantesimo di possessione” da parte di uno spirito maligno, quello dell’antenata. Tutto questo, però, non è ripreso nel libretto di Adami e Simoni ed è un aspetto della trama che mi lascia profondamente insoddisfatta, così come (ma questo è un mio parere personale. Prendetelo per quello che vale) non sopporto il personaggio di Calaf, talmente preso dalla sua ossessione per Turandot da dimenticare il padre, che affida a Liù senza un minimo di rimpianto, e da liquidare con appena un misero accenno il sacrificio della schiava, a cui tanto dovrebbe...
La direzione di Mastrangelo è stata guastafeste e si è risolta in una corsa a perdifiato: sgraziata e frenetica (ogni tanto gli strumenti gemevano alla “Numi, pietà!” e come dar loro torto). Come dice Aspasia in questi casi “Si vede che aveva le scarpe strette e non vedeva l’ora di cambiarle”. L’unico tratto che assolverei è la caratterizzazione delle tre maschere, in cui il lato istrionico ha attenuato le altre carenze. Quanto al resto, era marcatissima l’indulgenza per le chiuse secche e i fortissimi, che hanno non poco menomato le prestazioni dei cantanti: all’arrivo in scena di Calaf, Liù e Timur, non si è udita una parola e così si è proseguito per gran parte dell’opera. In sostanza, un danno su tutta la linea...
I cantanti hanno fatto del loro meglio, visto che erano abbandonati a loro stessi, e si sono destreggiati fra il mediocre e il buono, con sporadiche punte di eccellenza. Andrò in ordine di apparizione.
Il mandarino Nicolò Ceriani non ha dato una prestazione brillante, con gli acuti volutamente calcati (per darsi maggiore autorità, ma diventando estremamente pesante) e la voce traballante. Per Timur non posso esprimere un giudizio, poiché era quasi completamente coperto dalla direzione. Apprezzabile la Liù di Virginia Wagner, in difficoltà nell’acuto e nell’estremo grave, ma ha dato un’idea di dolcezza e di remissione toccanti nell’aria del terzo atto, particolarmente importante in questo allestimento, in cui conclude l’opera.
Giudizio contrastante suscita invece il Calaf di Francesco Anile, che si era portato abbastanza bene per i primi due atti, salvo collassare completamente sotto il peso di Nessun dorma, in cui era calantissimo. L’emozione? La paura per il banco di prova? Si sono levati applausi ma anche fischi e non so quanto sia stata buona l’idea di interrompere il fluire della musica per dare modo al pubblico di esternare i suoi umori contraddittori.
Le tre grazie, Ping, Pong e Pang, abbigliati con tuniche rosse, gialle e verdi che gridavano semaforo, hanno dato buona prova di loro, fuorché qualche nota spoggiata di Pong. Fra i tre c’erano una bella commistione di voci che li rendeva irresistibili (soprattutto per chi come me ha un debole per i personaggi votati allo sketch, nonostante in questo caso si tratti di umorismo macabro).
L’imperatore Altoum era impietosamente ridicolo, con una vocina stentata, quasi impaurita, a tratti caprina.
Per la Turandot di Elena Pankratova si assiste a un’evoluzione inversa a quella descritta per il tenore: In questa reggia tremava d’ansia, la voce aveva un sibilo piuttosto stridulo, ma già verso la fine dell’aria la cantante ha preso un po’ di coraggio e anche la voce si è abbellita, nonostante ci restassero alcune note un po’ troppo sparate e imprecise. Gli enigmi, pur nella loro “staticità”, sono stati ben sciorinati, senza grossi difetti di pronuncia (ogni tanto arrivava qualche doppia non richiesta). Il personaggio manteneva intatta la sua proverbiale freddezza. Rimane una bella interpretazione e confido che, prossimamente, potrò risentire questa cantante con una maggiore sicurezza, perché può dare molto.
Il pubblico ha dimostrato di apprezzare, coronando la recita con dieci minuti di applausi (è stato necessario riaprire il sipario), benché non siano mancate contestazioni al tenore e al direttore, quasi completamente coperte dall’esultanza generale. Nel complesso, sono soddisfatta anch’io, che conto come il due a briscola fuori dalle pagine di questo blog... ma non bisogna dimenticare che talora basta il due a vincere una partita: per un punto Martin perse la capa. Turandot deve aver avuto un po’ di pratica con questo gioco.

domenica 29 gennaio 2012

Una voce poco fa: Anna Bolena a Trieste

Andare alle prime, bardarsi di tutto punto e intrattenersi nei foyer coi i Vip fa molto chic. Ma è ancora più chic evitare l'evento mondano e la folla che vi si reca in favore di una replica. Le vostre diaboliche blogger, ovviamente, sono ULTRACHIC e giammai si abbasserebbero a presenziare ad una serata inaugurale, quindi per gustarci l'Anna Bolena che ha aperto la stagione del Teatro Verdi di Trieste, abbiamo atteso la replica di venerdì 27 gennaio, in cui si è esibito il seguente cast (lo stesso della prima):


Anna Bolena: Mariella Devia
Lord Riccardo Percy: Albert Casals
Giovanna di Seymour: Laura Polverelli
Enrico VIII: Luiz Ottavio Faria
Smeton: Elena Traversi
Lord Rochefort: Federico Benetti
Sir Hervey: Max Renè Cosotti


Direttore: Boris Brott


In origine, cioè quando ho acquistato i biglietti, era stato però annunciato un diverso direttore (Campanella) e soprattutto Celso Albelo nel ruolo di Percy (e sarebbe stato un debutto, se non sbaglio). 
Ma è destino che io Albelo lo possa ascoltare solo registrato o alla radio. La prima volta cercò di cantare Leicester in Maria Stuarda, ma dopo pochissimi minuti in scena rimase del tutto afono causa influenza e venne sostituito. Per Lucia di Lammermoor nemmeno si presentò (a causa di mai chiariti problemi contrattuali). Stavolta si è (sembra) ammalato durante le prove. Misera me...


Si trattava di una recita fuori abbonamento, quindi la fauna che popolava il teatro era più variegata del solito (tra l'altro ho anche notato una corriera proveniente da Lubiana), ma, incredibilmente, visto il cast e il titolo (non nazionalpopolare, ma nemmeno tanto desueto) assai scarsa numericamente. Non mi sono lanciata in stime improbabili (contare non è delle attività che mi riescono meglio...), ma posso affermare con una certa sicurezza che il teatro fosse pieno a metà, o anche meno, e che il loggione vedesse occupati circa un terzo dei posti disponibili. Neanche per il Tannhauser di un paio di anni fa ricordo un'affluenza così scarsa! Dopo la defezione di Albelo avevo saputo di varie persone, soprattutto di fuori regione, che non si sarebbero sobbarcate la trasferta, ma non credevo che il numero fosse così ampio, anche perché, quando ho acquistato il mio biglietto, in biglietteria mi era stato detto che quella recita era quasi completamente esaurita.
Sarebbe il caso di interrogarsi su questa scarsa affluenza di pubblico. Dovrebbe faro soprattutto chi il teatro lo gestisce...
Chi è rimasto a casa non si è di certo perso la serata del secolo (neanche dell'anno, se vogliamo...), ma comunque l'allestimento era fatto con un certo gusto (niente di straordinario, ma neanche di orribile, e soprattutto abbastanza rispettoso del libretto e delle esigenze del canto) e il cast, nonostante le defezioni, restava di un certo livello.
A dominarlo qualitativamente (guarda caso) l'intramontabile Mariella Devia. 
Ammetto di non essere una fan sfegata del soprano ligure, ma non sono di certo sorda. La sua è stata una prestazione in crescendo. Un inizio di primo atto un pò stentato, con voce flebile, ma udibile, nella zona centrograve e qualche acuto ghermito, più che emesso col garbo a cui ci ha abituati, ma agilità e intonazione sempre impeccabili. Soprattutto nel secondo atto le cose migliorano, con dei centri più presenti e acuti più sicuri, con tanto di puntatura sul finale di Coppia iniqua
Ad essere sincera, però, la Devia Bolena non mi ha mai convinto. 
Mi spiego. Anche se il ruolo, soprattutto in tempi recenti, è stato frequentato prevalentemente da soprani liricoleggeri, in realtà la scrittura del ruolo, almeno dal mio punto di vista, richiede, oltre all'abilità nel canto fiorito (che è presente, ma non in maniera massiccia, come in altri ruoli), un certo spessore per reggere i passaggi più squisitamente lirici e un buon registro grave. Visto che di drammatici d'agilità ne nasce uno ogni morte di Papa, ovviamente si è costretti a scegliere tra vocalità più  liriche, e altre più leggere. Per quanto mi riguarda, preferirei un bel soprano lirico , anche per evitare il rischio che la voce di Anna suoni troppo giovane. I liricoleggeri come la Devia, per costituzione, di solito hanno un timbro piuttosto chiaro, giovanile, adattissimo a giovani fanciulle come Amina, Giulietta, Elvira, ma meno per Anna che, stando ai libri di storia, morì a 29 anni. Per lo standard dell'epoca una donna ormai matura, soprattutto rispetto alle Giuliette ed Elvire di cui sopra, che avranno tutte più o meno 15 anni. Se per loro una voce molto chiara è accettabile, se non auspicabile, per Anna Bolena, che, tra l'altro, è moglie, madre, e soprattutto regina, si vorrebbe uno strumento più importante come peso e colore. In questo la Devia manca. Non per l'età, il discorso sarebbe stato il medesimo anche 20 anni fa, ma per costutuzione. Per questo la sua Bolena non convince. "Le note" ci sono tutte e sono quasi sempre vicine alla perfezione, ma manca la maestà della regina. E questo, a mio avviso, anche nella recitazione. La Devia è una splendida signora in scena, ma le manca quel tocco di "superbia" per renderla del tutto credibile come sovrana, in fin dei conti, orgogliosa. 
Detto questo Mariella Devia venerdì sera ci ha offerto una lezione di belcanto: con intelligenza e abilità ha ottenuto il massimo possibile dal suo strumento e l'ha messo a servizio di un'interpretazione interpretazione intensa e raffinata. 
Alla rivale Giovanna prestava la voce il mezzosoprano Laura Polverelli, la quale non dispone di una voce particolarmente bella dal punto di vista timbrico (tra l'altro mi è parsa anche molto chiara per essere un mezzo, seppur acuto) ma ben emessa e sufficientemente sonora. Fraseggia con gusto e recita con la giusta partecipazione. Peccato per per gli acuti (soprattutto quello finale) nell'aria Per questa fiamma indomita, purtroppo completamente steccati. A controbilanciare questo momento negativo, segnalo la splendida prestazione nel duetto con Anna Sul suo capo aggravi un Dio, in cui l'affiatamento con la Devia e la sua intensità nella resa di quella particolare situazione sono stati davvero encomiabili.
In tutto il primo atto il giovane tenore Albert Casals (Percy) mi ha impressionato per il bel colore e la buona consistenza del registro centrale, anche se già a  quel punto si notava qualche problema negli acuti estremi. Purtroppo questo problema si è ripresentato nella terribile Vivi tu, dove il cantante era messo in evidente difficoltà dalla scrittura del brano. Vista la sostituzione dell'ultimo momento e la giovane età del tenore, io avrei optato per il taglio dell'aria (anche se è una pratica che generalmente non approvo, soprattutto se il brano in questione rientra fra i miei preferiti...), visto che la sua resa ha tolto molto valore ad una prestazione che, fino a quel momento, si poteva dire discreta, con momenti molto interessanti.
Luiz Ottavio Faria (Enrico VIII) è stato un orso dall'inizio alla fine. Pur non avendo commesso particolari errori, la voce è parsa monolitica, non particolarmente sonora o di bel colore, e distante dalle esigenze del belcanto. Se si aggiunge un trucco sciagurato, che con le lui ne facevano sembrare la carnagione verdastra, posso concludere che non mi dispiacerà affatto scordare rapidamente questo Enrico.
Corretto il Rochefort di Federico Benetti, mentre lo Smeton di Elena Traversi, a causa di una voce "intubata" suonava un po' distante dal mio ideale di paggio.
Molto buono l'autorevole Sir Hervey di Max Renè Cosotti.
La direzione di Boris Brott si può riassumere con "ognuno per se, Dio per tutti". 
Per concludere segnalo che, durante il duetto del secondo atto tra Anna e Giovanna, la piattaforma rotante posta sulla scena ha avuto un guasto, per cui ha continuato a muoversi fino a sporgere di più di un metro sopra le teste degli orchestrali. Qualcuno degli strumentisti, giustamente preso dal panico per essersi visto passare sopra la testa un pezzo si scenografia, ha pensato bene di darsi alla fuga. Il brano è stato comunque portato a conclusione. Una volta uscite di scena le cantanti è stata annunciata una breve interruzione per poter risolvere il problema. La scenografia è stata fatta ruotare per tornare ad appoggiarsi completamente sula palco e lo spettacolo è proseguito senza ulteriori spostamenti, dando vita ad una rappresentazione sostanzialmente in forma semiscenica.

venerdì 27 gennaio 2012

Ne' giorni tuoi felici ricordati di me: L'opera incompiuta o sia Il rabbuffo del compleanno (in A...more maggiore)




Caro Wolfy, o Johannes Wolfgangus Theodorus Chrisostomus, o Wolfgang Amadè, o come preferisci (l'importante è che tu sappia chi sei...),



spero che sull'isola deserta di tua elezione per il tuo ritiro spirituale ti arrivi questa manifestazione di amore da parte delle tue scatenate blogger... E, visti i tempi che corrono e lo stato in cui è ridotta l'opera, ti conviene tenerci strette e non protestare quando troverai in allegato un brano da una tua opera incompiuta.



Non l'ho scelta per farti dispetto, non oserei mai inimicarmi il mio compositore preferito, non fosse che poi dovrei cambiare titolo a questo blog e sarebbe per me molto spiacevole modificare la presentazione e scegliermi un altro nume tutelare.



Piuttosto, ricorrere a questo pezzo dallo Sposo deluso in una ricorrenza particolare come quella che festeggiamo oggi (non capita tutti i giorni di compiere duecentocinquantasette anni e dico CCLVII), vuole essere un segno... come dire?



Di affetto?...



Di ringraziamento?...



Di simpatia?...



No! Colgo l'occasione per farti andare di traverso la torta che Jim Morrison o un altro dei tuoi compagni di solitudine ti ha cucinato per protestare! Avevi iniziato quest'opera così bene, cosa ti è saltato in testa di non finirla? Va bene che poi il Carli Ballola l'avrebbe definita uno dei "miserabili progetti di un effettivo teatro in musica, destinati, per sua e nostra fortuna, a rimanere allo stato embrionale", ma a me questa marcetta buffa iniziale piaceva. E mi piaceva ancora di più l'aria per tenore Dove mai trovar quel ciglio (che avrei voluto postare ai miei cinque alla seconda lettori ma che non ho potuto per motivi indipendenti dalla mia volontà. Per colpa della tecnologia, in sostanza). Insomma, visto che gli esordi erano di mio gradimento, avrei voluto vedere come sarebbe andata a finire. Invece, mi tocca accontentarmi dei cinque o sei pezzettini che ti sei degnato di scrivere prima di volgerti altrove. Ti perdono solo perché poi ci hai regalato le Nozze di Figaro.



Nonostante tutto ciò, io continuo a volerti bene, nella speranza che questo messaggio giunga fino a te, ti faccia riflettere (non si sa mai che, per uno scatto d'orgoglio, domani mattina busserai alla mia porta per mettermi in mano lo spartito completo e concluso) e ti faccia considerare che sarebbe ora di finirla di lasciare in giro tutti questi abbozzi tipo il Requiem, a cui devi il tuo mito, ma che a me dispiacciono perché non sapremo mai quale sarebbe stata la tua ultima parola...



Dopo averti strigliato per bene (questa possibilità viene una volta all'anno e devo approfittarne), cambio immediatamente registro e invio i miei migliori auguri per un ameno genetliaco al Maestro De Mozartini, o Trazom o chi più ne ha più ne metta... E ti impacchetto un regalo che spero ti sarà gradito... non fosse che è roba tua.



AUGURI!!!


mercoledì 25 gennaio 2012

Il grammofono: The Enchanted Island in HD ossia l'esperimento riuscito




Anzitutto, vi rifilo qui gli interpreti così il grosso del lavoro è fatto:
Joyce DiDonato, Sycorax
David Daniels, Prospero
Luca Pisaroni, Caliban
Danielle de Niese, Ariel
Lisette Oropesa, Miranda
Anthony Roth Costanzo, Ferdinando
Plácido Domingo, Neptune
Layla Claire, Helena 
Elizabeth DeShong, Hermia
Paul Appleby, Demetrius
Elliot Madore, Lysander


Metropolitan Opera House Orchestra & Chorus
direttore, William Christie


Insomma, ieri sera è andata in onda la trasmissione dell'Enchanted Island, prima mondiale di un pastiche barocco su musiche di Rameau, Vivaldi, Handel e chi più ne ha più ne metta. Essendo questa una prima mondiale, non ce la potevamo perdere, anche perché io, se continuo su questa pessima strada del "non mi va bene niente", difficilmente potrò assistere a un'altra prima di qualcosa che mi vada a genio...


... e forse che io non intervenga alle prime è un bene, chissà. L'ultima volta, per Le nozze di Figaro che il Luca cantava al Festival di Salisburgo due anni e mezzo fa, sono arrivata in teatro a dieci minuti dall'inizio, masticando una Wiener schitzel (Aspasia non me ne voglia se l'ho scritto scorretto) trangugiata in fretta e furia perché l'omino del chiosco ce l'aveva fritta sul momento, annullando il largo anticipo che ci eravamo prese. Non contenta di questo, avevo anche in mano una bottiglia di Coca Cola, mentre intorno a me tutte le befaniche dive teutoniche bardate a dovere si facevano immortalare da doviziose schiere di fotografi. Io, dal canto mio, avevo il mio bel daffare a schivarli...

Anche stavolta, c'era il Luca a consolarmi dalle disavventure preoperistiche (avevo litigato di nuovo col passaggio a livello di cui al Don Giovanni)... Un momento, Ho detto il Luca! Chi diavolo è quel tizio in divisa scimpanzé, la faccia pesantemente truccata di bianco e giallo e la folta chioma di rasta? E poi, andiamo, è troppo basso per essere il Luca! Con l'andazzo caracollante e gobbo che ha tenuto per tutta l'opera (per non mettere in soggezione i comprimari con la sua altezza, presumo) chi l'avrebbe riconosciuto? Poi, per fortuna, ha aperto bocca per cantare e tutto è andato in ordine. Era lui, proprio il nostro melodioso Luca che continua ad incantare quando fa il cattivo.


Perché fa il cattivo? Beh, povero, aveva i suoi buoni motivi per essere arrabbiato: Prospero, che in passato aveva amato e abbandonato sua madre, Sicorax, si era impossessato della sua isola e anche dello spiritello Ariel, loro servo. Sedici anni dopo questo tradimento, Prospero ordisce un piano per assicurare la felicità di sua figlia Miranda e fuggire dall'isola. Il piano consiste nel far naufragare la nave della famiglia reale (fra cui c'è il giovane principe Ferdinando, destinato ad amare Miranda) sulla costa dell'isola.


A causa di uno scambio di pozioni, però, la tempesta colpisce la nave sbagliata e porta sull'isola due coppie di innamorati, che si perdono di vista dando luogo ad equivoci con Calibano e Miranda. Che poi, diciamola tutta. Questi quattro (di cui uno si chiama Lysander, l'altra Hermia e solo per una sfacciata fortuna gli altri due rispondono ai più banali nomi di Elena e Demetrius) si presentano in scena su una barchetta che, se avete visto Amadeus, somiglia a quella con cui Constanze e compagnia salpano alla fine del Ratto. Ma non è questo il punto. Il punto è che avevano dei costumi BELLISSIMI, soprattutto il completo celeste coi ricami bianchi del tenore. Fra me e me mi dicevo compiaciuta "Adesso si ragiona! Speriamo che stiano in scena a lungo!"


Non l'avessi pensato! Dopo aver finito il gioioso quartetto (Siamo la coppia più bella del mondo e ci dispiace per gli altri. Ovviamente sto scherzando), la nave si inabissa e loro scompaiono. Quando, uno per uno, ricompaiono in scena, i costumi sono sbrindellati a dovere come per un vero naufragio! NOOO! Addio, bel giacchino con le perle! Addio, scarpette col fiocchetto! Addio, bei cappellini! Addio, nastri, fronzoli e trine! Lascia ch'io pianga mia cruda sorte!


Intanto, la strega Sicorax ha preparato una pozione per riacquistare i poteri (e, già che c'è, la giovinezza) e rimpossessarsi dell'isola. Non pensa però solo a se stessa, perché, capitatale a tiro Elena, le fa un incantesimo perché si innamori di Caliban, con cui poi gironzolerà e si farà spiegare le meraviglie esotiche dell'isola (esilarante il recitativo del Luca in cui riassume così il loro idillio "Fra noi non era solo una questione di botanica... ma anche di chimica!").


Demetrius (quello della giaccia celeste) è intanto capitato a tiro di Ariel, che, convinta che si tratti di Ferdinando, lo fa innamorare di Miranda (e lei di lui) con un incantesimo. Per farla breve, si scopre che non si tratta di Ferdinando. Ariel va a cercarlo sperando di trovarlo. Trova Lysander. Gli fa l'incantesimo. Incanta anche Miranda, che si dimentica di Dimitri, che però è ancora innamorato di lei. Per celebrare l'evento, Ariel fa comparire dei palloncini e un drappo di benvenuto sul fondale, ma... Si scopre che anche quella volta Ferdinando l'ha fatta franca.
Ariel, decisa a rimediare al suo errore, scende negli abissi per invocare l'aiuto di Nettuno. E come ci scende! Con un costumino da palombaro! E come la accoglie il Nettuno-Topone? Dicendole che ormai è stanco e vecchio! Sturiamoci bene le orecchie, perché credo che sarà l'ultima volta che il Topone ammetterà di avere un'età (Sibillo decrepito!). Il riferimento non ha divertito solo me, perché il poco diplomatico (ma tanto alla mano) pubblico del Met si è sganasciato all'affermazione. Proprio come in un telefilm americano...





Il primo atto (sì, questo è soltanto il primo atto) si chiude con la delusione di Prospero.


Nel secondo atto le cose vanno lentamente apposto: Elena ritrova Hermia e rivede Demetrius, per cui abbandonda Caliban, che, disperato, evoca una visione (risolta con un coloratissimo balletto) per consolarsi, rischiando di esserne travolto. L'incantesimo è infranto da Prospero.
Ariel riesce a far sì che i quattro innamorati si ritrovino, ciascuno con lo sposo giusto e Miranda trova finalmente il suo Ferdinando, per cui non serve la magia: i due si innamorano a prima vista. In sostanza, ci hanno tenuti sulle spine per due ore e mezza per farla finire così! E no!

Come me deve averla pensata anche Sicorax, che compare per rivendicare i suoi diritti con un cappello da corsaro con le piume di fagiano e un mantello che grida Papagena Papagena Papageeeena! Difatti, sulle prime Prospero è poco disposto a trattare, ma poi arriva Nettuno e come resistere al Topone? Da parte sua, Sicorax perdonerà a Prospero i torti passati e Prospero assicurerà la libertà ad Ariel...
Fino a questo momento, Ariel aveva un costume color bronzo. Al momento della liberazione, compare in scena con un completo color oro... UGUALE, dico UGUALE, a quello del Re Sole nelle vesti di Apollo. Qui si copia...


L'allestimento era incorniciato da un arco fisso che, con le proiezioni, diventava un ingranaggio, un mostro e quant'altro per rendere più efficace la scena. Ai lati estremi, si collocavano il laboratorio di Prospero e la casa di Sicorax. La foresta era quanto più selvaggia possibile, con grovigli di rami, poca luce, animali mostruosi e tutto ciò che poteva dare l'idea di un mondo lontano e incontaminato. Il capolavoro, però, rimane il fondale marino, costruito su misura di Topone per farlo figurare con tutta la solennità possibile. Alcune delle sirene erano appese in aria per dare l'idea della profondità, la sala del trono prevedeva il trono rialzato al centro e i coristi disposti ai lati di esso, dietro delle sagome di sirene e tritoni da cui facevano capolino soltanto le teste.


Adesso due parole sui cantanti. In generale non ci sono grosse pecche da rilevare: la Sicorax di Joyce DiDonato, tecnicamente impeccabile, è stata convincente nell'evoluzione del personaggio, da vecchia decrepita a sfavillante giovane, in grado di trascinare il pubblico nella sua aria di vendetta e anche di intenerirlo mentre consola Caliban in preda agli spasimi per la delusione d'amore; Daniels ha reso con cura un Prospero malandato in salute ma ancora determinato a spuntarla, con punte di eccellenza nel malinconico finale del primo atto; il Luca ha saputo tratteggiare bene il suo personaggio "cavernicolo" ma in cerca di una tenerezza che il suo aspetto respinge; ben assortite anche le due coppie di innamorati.


Voluttuosa nota di biasimo, invece, per lo spiritello Ariel, creaturina che nelle intenzioni doveva essere simpatica e che invece è stata assegnata all'inqualificabile De Niese. E' stata una disperazione dall'inizio alla fine, con una voce di per sé spiacevole e estremamente sgraziata, che meriterebbe una sana revisione dall'acuto al grave, per non parlare delle sguaiatissime agilità che hanno fatto gridare "Vogliamo la Bartoli!" (non credevo l'avrei mai detto) al momento di Agitata da due venti (per l'occasione ribattezzata in altro modo, ma non ricordo le parole riadattate).


Ovviamente, l'eroe della serata non poteva che essere il Topone, ancora sulla cresta dell'onda (non a caso interpreta Nettuno) per quanti anni abbia. Salvo un paio di brevissime defaillance, ha dimostrato ancora una perfetta padronanza del suo strumento, tale da giustificare il caloroso applauso "in fiducia" al suo ingresso, non fosse che per lo splendore della scenografia e per la sigla della Champions League (scusa, Georg Friedrich, ma così è se vi pare...).


Bella la direzione di Christie, ben ordinata ed elegante, un tocco che ci voleva in quest'opera così particolare.


Insomma, io sono uscita soddisfatta dal cinema e con la sensazione di aver visto quasi quattro opere in una. Anche questa ha quel che di onirico proprio di tutte le opere barocche (onirico nel senso che si dà il buonanotte alla trama perché l'importante è vezzeggiare quelle benedette ugole d'oro), ma, a causa della trama intricata, ha riassunto in se stessa tutti gli elementi a noi noti.

martedì 24 gennaio 2012

Il grammofono: Don Carlo da Monaco

Metto le mani avanti: questa non sarà una recensione. Ho visto troppo poco e in maniera frammentaria per poter formulare un giudizio da pubblicare. Sarà piuttosto una riflessione.
In primo luogo, sono rimasta stupita dal vedere un allestimento di un teatro tedesco che finalmente si discosti dal trito e ritrito germanico teatro di regia. Non certo un'allestimento didascalico o ipersfarzoso, ma almeno la foresta di Fointanableu non era una balera anni '60 e la reggia di Filippo II la sede dirigenziale di un Kolchoz... Ma non ci siamo fatti comunque mancare la perla registica: il buon Reneè Pape (Filippo II) ha dovuto cantare "Ella giammai m'amò" a letto in camicia da notte con tanto di calzettoni arrotolati alle caviglie. Se l'obiettivo era rendere il re meno regale... ci sono riusciti! XD
Vorrei inoltre complimentarmi con la Bayerische Staatsoper per la splendida iniziativa. Lo streaming è certamente un mezzo molto valido per portare l'opera a chi, per vari motivi, non ci può andare. Inoltre, il fatto che si tratti di un servizio gratuito, potrebbe incentivare un maggior numero di persone almeno a dare un'occhiata. E poi, chi lo sa...
La qualità video mi è parsa molto buona, anche se, forse perché l'allestimento nasceva proprio così, il buio che regnava, per me (che sono cieca come una talpa), era un po' fastidioso. Anche l'audio non era male, anche se all'inizio mi pare di aver notato alcuni aggiustamenti in corsa (ma non ci metterei la mano sul fuoco).
Vorrei chiudere con un dato. La pagina dello streaming ha avuto circa 460.000 contatti da tutto il mondo. Un'enormità. Il precedente esperimento (per L'elisir d'amore), sempre della Staatsoper, si era fermato a circa 70.000. Una crescita notevole. 
A prescindere dal valore artistico di questa particolare produzione, sono dati che fanno riflettere: la domenica pomeriggio quasi mezzo milione di persone (ma anche di più, visto che davanti ad un computer possono sedersi più persone, come è successo a casa mia) ha assistito ad un spettacolo d'opera. Questo in concomitanza ad eventi sportivi, culturali, ma anche in un momento che solitamente si dedica allo shopping, o alle uscite con gli amici. Per me il dato è di assoluto rilievo, anche perché la fascia di età che più facilmente può essere venuta a sapere di quest'iniziativa (non so se in Germania ne abbiano parlato i giornali, ma nel resto del mondo, l'unico modo di apprendere la notizia era internet) è mediobassa, diciamo sotto i 45 anni. 
Speriamo che questi dati incentivino Monaco a continuare e che altri teatri prendano spunto: sarebbe un sistema eccellete per consentire agli appassionati di seguire i propri beniamini il più possibile, e per i neofiti per conoscere quest'arte e magari invogliarli ad andare a teatro.

lunedì 23 gennaio 2012

Signori di fuori son già i suonatori: The Enchanted Island al cinema in HD

Domani alle 19 nei cinema aderenti verrà trasmesso in differita del MET "The enchanted island", opera allestita a New York in prima mondiale. 
Sgombriamo subito il campo da eventuali dubbi: non si tratta di un'opera nuova. O meglio, è nuova nell'insieme, ma i brani in essa contenuti sono tutti tratti da composizioni del '700 già eseguite. La novità sta nel fatto di averle estrapolate dal loro contesto originario per riassemblarle sullo scheletro di un nuovo libretto in lingua inglese basato su "La tempesta" e "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare.
Diciamo che l'esperimento pare abbastanza ardito: mescolare autori (Handel, Vivaldi, Rameau, ecc...) relativamente vicini come epoche di attività, ma non certo affini come stile, e soprattuto adattare brani nati per altri scopi (alcuni provengono da composizioni sacre o Oratori) per creare un'opera unitaria a me suonava come un tentativo di compilare un "Greatest Hits" che potesse rendere l'opera barocca facilmente digeribile per un pubblico che in gran parte la ignora. Non discuto sui singoli brani (anche se traduzioni e trasposizioni di tonalità possono fare dei bei danni...) che di certo funzioneranno a dovere, ma non si tratta di un concerto, bensì di un opera in cui, si presume, si segua in filo logico e abbia una certa omogeneità. Onestamente sono un po' scettica, ma non pongo limiti allo provvidenza!
Un altra nota dolente potrebbe essere la trama: piuttosto contorta e con troppi personaggi principali. Temo che su questo versante Jeremy Sams (autore di libretto e "musica") abbia un tantino esagerato.
Ma ci sono, ovviamente, anche dei validissimi motivi che rendono, per me, questa trasmissione ghiottissima. L'allestimento pare essere sfarzoso, di carattere Disneyano, coloratissimo e molto movimentato. Ma quello che mi alletta di più è il cast in cui spiccano tre fra i cantanti più amati dalle vostre diaboliche blogger:

Miranda: Lisette Oropesa 

Sycorax: Joyce DiDonato 
Prospero: David Daniels 
Ferdinand: Anthony Roth Costanzo 
Neptune: Plácido Domingo 
Caliban: Luca Pisaroni

L'adorata e adorabile Joyce Di Donato illuminerà la scena con la sua proverbiale bravura nella coloratura e talento da attrice, l'inesauribile Topone debutterà nel miliardesimo ruolo della sua ormai millenaria carriera e IL Luca certamente non mancherà di fornirci argomenti validi per sghignazzare. Purtroppo per goderci loro dovremmo sopportare la sempre indigesta Danielle de Niese, ma purtroppo dovremmo farcene una ragione. Speriamo, inoltre, nell'esperta direzione di William Christie.

Sentiremo e riferiremo!

venerdì 20 gennaio 2012

Signori di fuori son già i suonatori: Don Carlo in streaming


Lo scrivo adesso, prima che me ne dimentichi per l'ennesima volta :).


Domenica 22 gennaio alle 16.45 la Bayerische Staatsoper trasmetterà in streaming in diretta una recita di Don Carlo (versione in 5 atti) con il seguente cast:


Philipp II, König von Spanien René Pape
Don Carlos, Infant von Spanien Jonas Kaufmann
Rodrigo, Marquis de Posa Boaz Daniel
Der Großinquistor Eric Halfvarson
Elisabeth von Valois
 Anja Harteros
Die Prinzessin Eboli Anna Smirnova



Conductor Asher Fisch




Da questi link si dovrebbe poter accedere allo streaming 
http://streaming.staatsoper.de/

martedì 17 gennaio 2012

Un miscuglio storico





Stamattina stavo leggendo uno dei miei soliti libriccini (Filippo II di David Lamb, ed. Dall'Oglio, 1964), quando, all'altezza di pagina 176, di mi è capitata sotto il naso una notizia che avrei potuto girarvi sulle pagine di questo blog. Magari qualcuno di voi la conosceva già. Comunque, eccola:




"[Filippo II] fece anche pubblicare le prime Messe del Palestrina e si sentì ampiamente ricompensato quando il compositore gli dedicò due opere".




Ovviamente, visto che non si tratta di un testo musicale, gli oggetti di tanta dedica non sono esplicitati. Prossimamente vedrò di informarmi a dovere. Questo fatto ha leggermente risollevato ai miei occhi questo sovrano umbratile e abbastanza discutibile, soprattutto per il fatto che gli ha dato maggior spessore come figura storica. Ammetto che era un lato del suo carattere che non conoscevo.




Poi il libro prosegue dandomi anche qualche notizia sulla leggendaria principessa d'Eboli, che finalmente ho scoperto rispondere al nome di Anna e, giusto per smontare fino alle fondamenta il Don Carlos di Verdi (non so del dramma di Schiller perché non è ancora fra il mio bagaglio di letture, ma presumo che valga anche per quello, visto che è stato la causa dell'ispirazione), costei non ha degnato d'uno sguardo l'infante Carlo (mezzo se non completamente matto, per cui la sua infatuazione per la matrigna Elisabetta sarebbe stata più simile alla morbosità di un matto piuttosto che un tenero idillio malamente cominciato e drammaticamente concluso) e fu in pessimi rapporti con Filippo II, con cui anzi era in rapporti talmente pessimi che lui decise, ad un certo punto, di arrestarla. Mi viene confermata invece la sua indiscutibile bellezza, che neppure la perdita di un occhio (nascosto con una benda) era riuscita ad affuscare.


http://www.youtube.com/watch?v=mGrXhAk6j9M

venerdì 13 gennaio 2012

Per lui che adoro: Buon compleanno Juan Diego!


Armida aveva preparato un omaggio adeguato all'occasione, purtroppo, però, a causa di problema di connessione, non l'ha potuto pubblicare. Quindi vi dovete accontentare...

giovedì 12 gennaio 2012

Signori di fuori son già i suonatori: Il lupo perde il pelo ma non il vizio

Di nuovo Bologna, di nuovo un'impresa, di nuovo biglietti. Anche quest'anno le vostre blogger di fiducia si sono assicurate la loro meritata dose d'opera nella città felsinea, città a cui mi sono particolarmente affezionata studiando il Rinascimento, perché tutti, volenti o nolenti, sono passati di lì, compreso l'imperatore Carlo V che, già che c'era, si è fatto addirittura incoronare.
Noi, ovviamente, queste preferenze non le possiamo soffrire (non per democrazia, ma per invidia, ma non occorre specificarlo, no? :) ), quindi non ci faremo mancare niente.
Ieri non avevo niente di meglio da fare e sono planata a Bologna con la compostezza di un cacciabombardiere, in cerca di biglietti e, eventualmente, di libri (come se mi mancassero...). Quest'anno, ho affilato le armi in maniera meno grossolana dell'anno scorso, per cui ero preparata a tutto: avevo la lista delle opere in tasca, la carta d'identità della mia socia per avere la riduzione e un ingente quantitativo di pecunia per ogni evenienza. Nulla, nulla, nulla poteva cogliermi di sorpresa...
O meglio, quasi nulla. Io respingo la semplicità e la semplicità disdegna me. Forse il mio è solo un esagerato sottovalutare il nemico, chissà. Fatto sta che anche anche stavolta i conti non mi sono tornati.
Il botteghino apre a mezzogiorno. Era l'11 Gennaio, era mezzogiorno e un quarto. Davo per scontato che non ci fossero altri matti a farmi concorrenza, che sarei stata l'unica e sola, che quindi non era il caso di piazzarmi fuori dalla biglietteria con tre ore d'anticipo, che potevo perdere un po' di tempo a guardare vetrine che mi lasciavano indifferente.
Arrivo a teatro, guardo oltre la porta a vetri solo pro forma, per sincerarmi che i vetri fossero ben puliti, perché mai e poi avrei scommesso che ci sarebbe stato qualcuno a quell'ora. Sì, magari giusto qualche pucciniano accanito in cerca dei biglietti per la prima di Turandot (e colgo l'occasione per informarvi che la daranno in diretta su Radio3 il 19), ma questo era quanto...
Il piccolo atrio, invece, era pieno come un uovo. Se ci fosse stata la possibilità di arrampicarsi su per il muro, credo che qualche Spiderman l'avrebbe colta. Io e gli sconosciuti che mi avevano involontariamente guastato la festa ci siamo guardati con fare a metà fra l'ostile e il perplesso per qualche istante, poi decido saggiamente (saggiamente? Fra poco vedremo...) di ritirarmi, di andare a cercare qualche bel libro su una via laterale e poi tornare, nella speranza che la folla fosse scemata.
Per farla breve, si può fingere che la pegola non esista ma non si può sconfiggerla. La libreria era chiusa. Non per riposo, per sempre. Dentro c'era giusto un tavolino. Molto triste. Torno a teatro, rassegnata, ma sempre speranzosa che nel frattempo la fila si fosse sfoltita.
Un corno, dottor Bartolo!
Anzi, i dipendenti si sono organizzati talmente bene nel prevedere un simile afflusso che sul tavolino c'era persino la lista di precedenza. E io che credevo di fare la diva! Guardo l'elenco di nominativi, sconsolata. Ero ventiquattresima. Al momento (cioè circa mezz'ora dopo l'apertura delle casse), era il turno del settimo. Si profilava davanti a me una lunga attesa. L'ho trascorsa in compagnia di un compiacente Cristoforo Colombo (al di fuori dell'ambito operistico, questa biografia di Granzotto è assai carina. Purtroppo è fuori catalogo, ma se la trovate fate un affare).
Ho passato così un'ora. Beh, mi è andata bene. Per il Trovatore che hanno dato a Trieste qualche anno fa ho aspettato fuori dal teatro e al freddo per due ore. Qui, almeno, ero al caldo. E poi, là ero alle prese coi biglietti last-minute, cioè gli avanzi degli avanzi. Qui la prevendita era aperta da una settimana; nonostante l'afflusso di gente, avrei trovato dei posti che facevano al caso mio!
Di nuovo sottovalutavo il nemico e ne ho avuta dimostrazione a quattro persone da me, per merito di un signore piuttosto anziano che ha pensato bene di tormentare la bigliettaia (e noi) facendosi spulciare tutta la stagione sul momento. Arrivato alle Nozze di Figaro, dopo aver fatto osservazioni sugli orari scomodi e altre varie ed eventuali, esclama qualcosa che mi fa domenticare di colpo il povero Colombo.
"Mi dispiace per queste Nozze" dice, "e mi dispiace ancora di più perché CI SONO POCHI POSTI!"
Ti pareva! Il colpo di scena! Giusto per tenere giovani le coronarie, presumo. A parte il resto, io mi ero fatta tutta la strada SOPRATTUTTO per prenotare quello spettacolo! Non potevano dirmi così a dieci minuti dal mio turno!
I dieci minuti sono passati. Il mio momento è arrivato.
Nonostante tutto, è andata bene. Il risultato è stato questo:
TURANDOT, 29 Gennaio;
TRAVIATA, 11 Marzo;
ITALIANA IN ALGERI 13 Maggio;
NOZZE DI FIGARO 24 Giugno (alla faccia di tutto, posti in prima fila!).
Aspasia sarà mia degna sodale alle Nozze, le altre saranno imprese solitarie.
Insomma, per quest'anno, le cronache sono assicurate (e ce ne saranno anche altre, ma non possiamo svelare tutto subito, no?).

martedì 10 gennaio 2012

Cara immagine ridente: Favole rossiniane

1. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI




Mi serviva una cavia per una nuova rubrica e


a) dopo aver riflettuto sui miei soliti intenti goliardici, e


b) avendo deciso di non aver disturbato ancora troppo le povere ossa di quella buonanima


la vittima sacrificale che mi si presentava più adatta è stata il Gioak. Ora, brevemente, a guisa d'introduzione, vi spiegherò perché. QUESTO è il perché:



Il Gioak si presentava bene, troppo bene, addirittura con un sorrisino sornione che faceva proprio al caso mio. Dopotutto, non potevo scegliere come mascotte qualcuno di QUESTO stampo:




o, peggio, QUEST'ALTRO ancora:





Niente contro di loro, poveretti, ma, immaginando che questi tre siano i nostri vicini di casa (e allora credo che la casa diventerebbe solo una piattaforma di lancio per andare ospite oggi dall'uno, domani dall'altro...), ma da chi preferiremmo trascorrere il pomeriggio? A scrivere domande e risposte sui quadernini di Beethoven? A sentire le lodi sperticate fatte a se medesimo da quel divo di Wagner? Scegliendo il Gioak, mal che vada, saremmo sicuri di tornare a casa con una fetta di torta nello stomaco.



Per cui, la scelta è stata facile.



2. LO SPIRITO DEL GIOAK:



Tanto per cambiare, anche il Gioak è passato per varie ed eventuali stilizzazioni che, come ha fatto notare un suo biografo con un'immagine coloristica, hanno ridotto il Cigno di Pesaro a svolazzare di qua e di là in cerca di inesauribili banchetti. Adesso, per rendergli giustizia, è iniziata una ricerca volta a dimostrare che, in realtà, il nostro aveva una psicologia più complessa, era una persona estremamente sensibile, negli ultimi anni rattristata da malattie nervose eccetera eccetera. In sostanza, la sua proverbiale ironia altro non sarebbe che la naturale difesa di chi conosce troppo bene la vita.



Insomma, anche il Gioak non era estraneo a questa valle di lacrime. L'ho scritto qui per chiarirlo una volta per tutte e non parlarne più, visto che non è il caso di spargere d'amaro pianto su qualunque cosa. Lascio le investigazioni sul lato oscuro del Gioak agli intellettuali seri che sono tanto più bravi (e musoni) di me.



Adesso quello che mi preme è citare su questo blog, di tanto in tanto, qualche facezia del Gioak, non per andare a frugare nella sua psiche i vari ed eventuali complessi che nascondeva (non sono Freud - il riferimento è dedicato ad una mia amica aspirante psicologa che tanto non leggerà mai queste righe. Io comunque ci provo :) ), ma perché, a leggere le sue battute in un momento di malumore, posso stare sicura di ritemprarmi. Per cui ecco perché ho pensato di condividerle.



3. FINALMENTE LE COSE SERIE:



Ecco qui il primo aneddoto (ripreso spudoratamente da una biografia scritta da Adriano Bassi e pubblicata da Franco Muzzio Editore):



"Si è affermato, e si continua ad affermare da alcuni, che il Rossini e il Meyerbeer si odiavano; ma persone degnissime di fede, intime dei due compositori, tra cui il maestro Méreaux e il Michotte, assicurano che non solo grandemente si stimavano, ma si amavano ancora. E' vero che, da un aneddoto narrato dal noto critico e storico Alessandro Biaggi, parrebbe che il Pesarese non credesse sincere le dimostrazioni di affetto del collega; ma io ritengo che l'aneddoto in parola non sia altro che una delle solite boutades burlesche, di cui tanto si compiaceva il Rossini.



"Passeggiando un giorno per le vie di Parigi in compagnia del Maestro, il Biaggi vide farsi avanti l'autore degli Ugonotti e chiedere premurosamente al Rossini notizie della sua salute. 'Non mi sento affatto bene', rispose questi serio serio, 'ho giramenti di capo, palpitazioni di cuore, un'infinità di malanni'. E, salutato in fretta il collega, proseguì la sua strada. 'Vada subito a casa, Maestro', disse allora il Biaggi, 'si abbia riguardo'. 'Non c'è bisogno', rispose ridendo il Rossini, 'mi sento benone; ma farebbe tanto piacere a quel caro Meyerbeer di sapere che domani io son crepato, che non ho voluto negargli oggi questa consolazione'".

venerdì 6 gennaio 2012

Signori di fuori son già i suonatori: Olimpia

Ogni tanto, qualcuno si ricorda che non di solo Verdi vive l'uomo e che esiste anche qualche altro compositore (è proprio il caso di dirlo) degno di nota.

Stasera, puntualmente alle 21,00, sul quinto canale della filodiffusione ci viene proposto qualcosa di impegnativo, qualcosa per cui io, appena l'ho visto, ho quasi lanciato in aria la scodella della colazione... l'Olimpia di Spontini.

Trattandosi di un evento più unico che raro, vi consiglio di dare almeno una sbirciatina.


Eccovi il cast:

Olimpia: Pilar Lorengar, sopr; Statira: Fiorenza Cossotto, msopr; Cassandro: Franco Tagliavini, ten; Antigono: Giangiacomo Guelfi, br; il Sommo Sacerdote: Nicola Zaccaria, bs; Hermas: Silvio Majonica, bs; un Sacerdote: Alfredo Giacometti, bs; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano, dir. Francesco Molinari Pradelli (reg. dal vivo, 1966).

mercoledì 4 gennaio 2012

Per lui che adoro: SIR Antonio Pappano

Siamo lietissime di annunciare che il grande direttore d'orchestra Antonio Pappano è stato nominato Baronetto. 



Congratulazioni vivissime per il meritato riconoscimento!

martedì 3 gennaio 2012

Concerto di Capodanno Diabolico - Seconda parte


questo è da un Concerto di Vienna diretto da Muti




Die schöne Galathee (Offenbach), Moffo




Es lebt eine vilja (Die Lustige Witwe, Lehar), con la Popp



Fruelingsstimmen Walzer (Moffo)





Hofball-Tänze (Joseph Lanner, Danze per il ballo di corte), da un altro concerto di Vienna con Muti



Klänge der heimat (Die fledermaus, Strauss), con la Popp





Komm, Zigány (Kálmán, Gräfin Mariza), con Wunderlich



Niemals habe ich mich int'ressiert (Paganini, Lehar)




Wiener blut (con la Schwarzkopf)

lunedì 2 gennaio 2012

Concerto di Capodanno Diabolico - Prima parte

Lo so, siamo in ritardo, ma abbiamo ceduto l'onore di essere i primi a Venezia e a Vienna. Se avessimo pubblicato in concomitanza ai loro concerti, tutti si sarebbero attaccati al blog, facendo colare a picco i loro ascolti tv. Sarebbe stata un'onta troppo grande...

Bando alle ciance! Ecco una carrellata di brani che io e Armida abbiamo ritenuto adeguati per augurare buon anno ai nostri amati lettori:

(il video ha un piccolo difetto, per cui i primi secondi sono senza audio. Non vi preoccupate, dopo circa trenta secondi si aggiunge anche il suono).














FELICE 2012!!!