lunedì 28 novembre 2011

Oggi vi fa gli auguri Renata Tebaldi



Più o meno lo stesso effetto che fa Alberto Sordi in Venezia, la Luna e tu... :) E così ricordiamo la Tebaldi senza ricorrere a uno dei suoi cavalli di battaglia strappalacrime...

domenica 27 novembre 2011

Oggi vi fa gli auguri John Eliot Gardiner!

Saremo delle blogger diaboliche, ma sotto sotto sia anche delle pie donne! Ed eccoci qua. Natale si avvicina e oggi inizia l'avvento, quindi abbiamo approntato un calendario dell'avvento tutto nostro. Ogni giorno apriremo assieme una casellina, che non conterrà i tradizionali dolciumi, bensì dei brani musicali. Le domeniche saranno dedicate a brani sacri, mentre gli altri giorni ci daremo al profano cercando di essere il più varie possibile (e ci siamo sforzate, se avessimo seguito l'impulso, questo calendario sarebbe diventato una monografia su un autore, eseguito da 3 o 4 cantanti XD).

Buon ascolto e buona domenica!

mercoledì 23 novembre 2011

Sena Jurinac ci ha lasciati

Odio i necrologi, quindi lascio la parola alla musica, che è sempre il miglior oratore.

martedì 22 novembre 2011

Ah qual colpo inaspettato. Atto terzo, recensione e conclusione

Io e Aspasia. A Milano. Sole e abbandonate in questo popoloso deserto. Senza genitori a fermarci. Senza fratelli rompiscatole a cui badare. Galvanizzate dalla serata appena trascorsa e dalla splendida colazione a buffet. Favorite dalla giornata di sole. Con una macchina fotografica che pesa quanto una guglia del Duomo...
Avevamo vissuto, a modo nostro, una notte brava. Adesso ci attendeva la dolce vita. Ci avremmo rimesso il patrimonio, poco ma sicuro.
Fingendo che non ci interessassero i negozi di libri e cd, per differire l'ineluttabile momento in cui avremmo aperto il portafogli per mai più richiuderlo, ci siamo dedicate a una mattinata culturale al Castello Sforzesco
al cui ingresso ci attendeva un sosia mascherato di Antonino Siragusa


e escursione al Duomo.



Ovviamente, al Castello Sforzesco non potevamo esimerci dal visitare la collezione di strumenti musicali, non scoraggiandoci nemmeno dopo esserci quasi perse quelle tre o quattro volte ed essendo entrate, per gentile concessione della guardia, dalla porta sbagliata...
In effetti, il sito del Castello non è propriamente di facile orientamento per un forestiero; anzi, pare che si siano divertiti a ingarbugliare le cose. La cosa buona è che l'ingresso non è caro e che per i giovani è addirittura gratuito.
Pranzo a degustazione rapida e via, di nuovo a far danni! Mentre Aspasia si è data alla beneficienza in favore della Ricordi, io ho finanziato le già pingui casse della mia libreria preferita, in cui la parte al piano di sotto è dedicata ai libri nuovi, mentre il ballatoio al piano di sopra è una riserva dei MIEI libri, i fuori catalogo. Così, se ho onorato la storia recuperando l'ennesimo dall'Oglio, sui Medici (un giorno aprirò una lunga parentesi su questa casa editrice che solo apparentemente non ha niente a che spartire col repertorio musicale), ho anche pensato alla musica, allungando gli artigli sulla pseudo-biografia di Mozart a cui accennavo.
Intanto, le generalità:

Stendhal, Vita di Mozart, Passigli Editori, 1982.

Sì, lo so che esiste anche la ristampa più recente, ma questa ha due pregi: anzitutto, era scontata, e, secondariamente, si intona con gli altri volumi di questa collana che ho comprato, che sono tutto fuorché nuovi.
A parte ciò, non sono una sprovveduta, sapevo perfettamente che avrei comprato un mucchio di frottole con tanti abbellimenti. Tutti i biografi moderni di Mozart citano Stendhal ma storcono il naso. Il male, tuttavia, va sperimentato di persona e io non mi tiro mai indietro quando si tratta di leggere, chiunque sia l'autore e chiunque sia il protagonista.
In effetti, dal punto di vista storiografico, l'Ottocento (ma anche i primi decenni del Novecento) è stato un secolo poco illuminato. Le vite dei grandi sono state spesso trattate come favolette; per non uscire dal nostro e non abbandonare il soggetto (Mozart si prestava, suo malgrado, a deformazioni di ogni tipo che ancora oggi lasciano il segno...), citerò la "biografia" di Paolina Leopardi, piacevolissima come tutte le altre operette di questo tipo, coinvolgente e confezionata in modo elegante, ma guai a cercare verità storica: a parte la confusione che scombussola le date (non ultima quella di morte), l'autrice si permette di far sposare Leopold due volte. Che dobbiamo fare? Lo scopo di Paolina era dimostrare che il fratello Giacomo aveva affinità di vissuto con Mozart, entrambi in balia di un padre tiranno, e pazienza per i dati di fatto...
Il Novecento ha seguito questa falsariga: benché dotata di maggior rigore storico, anche la pietra miliare che è il Napoleone di Emil Ludwig (lo stesso autore dei Colloqui con Mussolini, per inciso) indulge nella libertà di movimento, per cui i pensieri del personaggio e quelli dell'autore si fondono al punto tale che non è più possbile distinguere gli uni dagli altri. Un prodotto della sua epoca: a quei tempi si usava così...
Il caposaldo di questo sistema che predilige il sentimento rimane, però (salta queste righe, Aspasia, hai già dato...) il Bellini dell'Aniante, melenso, stucchevole e lacrimoso, tant'è vero che meriterà un servizio a parte, uno di questi post.
Dopo questo cappello introduttivo che spero non vi abbia scoraggiato, veniamo a OGGI LE COMICHE. Mi limiterò a segnalare gli errori più pacchiani:
1) il paragrafo introduttivo al capitolo III (pag. 42) «A diciannove anni Mozart poteva dire di aver raggiunto il culmine della sua arte, come tutti gli ripetevano da Londra fino a Napoli. Quanto alla ricchezza e a una sua sistemazione, era padrone di scegliere fra tutte le capitali d'Europa. Sapeva per esperienza di poter contare sull'ammirazione generale».
Questo è forse l'esempio più palese di disinformazione. A parte che trovo assurdo affermare che "il culmine" della carriera sia stato raggiunto da Mozart a diciannove anni (e la trilogia? le grandi sinfonie? Ma giusto alla fine del capitolo precedente troviamo scritto «La parte più straordinaria della vita di Mozart è l'infanzia»), ciò che segue sarebbe ridicolo se non fosse spaventoso. Anzitutto, Mozart non era affatto libero di scegliere una collocazione fra le corti d'Europa, perché all'epoca i musicisti contavano quanto i domestici (tant'è vero che spesso ne condividevano la mensa) e Mozart era legato all'arcivescovo di Salisburgo Colloredo, uomo inflessibile e che riesce antipatico nel suo rigore. Quanto all'ammirazione generale, era svanita da un pezzo: il bambino prodigio era cresciuto, aveva annoiato. Ecco la ragione per cui Leopold Mozart, nei primi anni della vita del figlio-pupillo, aveva girato l'Europa come una trottola: sapeva che non poteva durare (quando la figlia Nannerl raggiunse un'età in cui era superata come bambina prodigio, il furbo padre la ringiovaniva apposta sui volantini pubblicitari per suscitare maggior ammirazione di pubblico). Aggiungo qui che le tournée fruttarono a Leopold un mucchio di soldi e che, nonostante molto tempo dopo avrebbe protestato presso il figlio perché, per farlo viaggiare, si era indebitato, ciò era una BALLA clamorosa, che gli serviva per tenere vivo in Wolfgang, che aveva scelto una strada diversa da quella da lui sognata, il senso di colpa.
2) a pag. 45 si legge «Ha lasciato diciassette sinfonie». DICIASSETTE? Ma se sono più di quaranta! E questo non lo dico io. Lo dice il Kochel!
3) «L'imperatore Giuseppe gli voleva bene e lo aveva nominato suo maestro di cappella» (pag. 57). FERMI! Sul fatto che l'imperatore "gli volesse bene" avanzerei più di una obiezione, visto che l'atteggiamento di Giuseppe II si può definire ambiguo, nel migliore dei casi. Nella famiglia imperiale regnava una certa diffidenza nei confronti di Mozart, a partire da Maria Teresa, che aveva dissuaso uno dei figli ad assumerlo alla sua corte perché non avevano bisogno di un mangiapane a ufo («Mi chiedi di prendere al tuo servizio il giovane salisburghese. Non so perché, visto che non credo tu abbia bisogno di un compositore o di gente inutile» [dalla lettera di Maria Teresa all'arciduca Ferdinando di Lombardia, 12 Dicembre 1771]). Nemmeno presso il successore di Giuseppe II, Leopoldo II, le cose migliorarono, perché Mozart fu escluso persino dal seguito dell'incoronazione a Francoforte, a cui invece parteciparono altri musicisti imperiali.
Quanto alla nomina, Maestro di cappella un piffero, per restare in ambito musicale! Nessuna nomina di questo tipo venne da parte dei sovrani, mentre Mozart divenne vice (VICE!) Maestro di cappella della cattedrale di Santo Stefano appena pochi mesi prima della morte (9 Maggio 1791, per essere fiscali) e per merito del Consiglio Municipale di Vienna. Era un posto non retribuito che però faceva balenare la speranza di uno stipendio di duemila fiorini, una volta defunto il vecchio Maestro di cappella. Caso volle che Mozart morisse prima, per cui non fu mai Maestro di cappella.
4) degli opinabili giudizi musicali (pag. 80-81 e nella Lettera a pag. 84):
sulle Nozze «Per restare nell'atmosfera della commedia, la musica avrebbe potuto essere scritta insieme da Cimarosa e da Paisiello. Solo Cimarosa avrebbe potuto dare a Figaro la brillante gaiezza e la sicurezza che gli conosciamo. [...] Inoltre la melodia di quest'aria [Non più andrai] è piuttosto comune e solo l'espressione che acquista a mano a mano la rende deliziosa»
sul Così fan tutte: «Il libretto del Così fan tutte era adatto a Cimarosa, non a Mozart. Egli non poteva scherzare con l'amore, ch'era sempre per lui o la felicità o l'infelicità della vita. Perciò non ha reso in quest'opera i lati teneri dei vari personaggi, fallendo del tutto in quello scherzo del vecchio e caustico capitano di vascello».
Non resta che chiedersi che opere abbia sentito e ricordare una lettera di Mozart al padre in cui l'amore viene accarezzato con una certa ironia (cito a memoria): "Se dovessi sposarmi con tutte le donne cui mi sono divertito, dovrei avere duecento mogli".
5) non sono riuscita a ritrovare il riferimento, ma Stendhal sovrappone Aloysia Weber, amore giovanile di Mozart e celebre virtuosa, con Constanze, sorella della prima e moglie di Mozart, attribuendo a lei le doti canore della sorella maggiore
6) varie ed eventuali leggende, in primis (te pareva!) quella del Requiem, poi quella dell'ouverture del Don Giovanni, scritta la sera prima della prima (pag. 54: Mozart si sarebbe fatto raccontare dalla moglie delle storielle per non farsi vincere dal sonno e «qualcuno ha preteso di riconoscere in questa ouverture i passaggi in cui Mozart sarebbe stato vinto dal sonno e quelli in cui si sarebbe svegliato di soprassalto». La sottigliezza rasenta il ridicolo!), qui variata rispetto alla versione che pretendeva che l'amico Wolferl avesse trascorso il tempo giocando a bocce.
7) degli errori nelle date delle opere (pag. 45): il Figaro composto nel 1787 (era dell'anno precedente) e Clemenza e Flauto magico nel 1792 (quindi addirittura postume!).

Questo è quanto. Confidando di non avervi annoiati, io e Aspasia attendiamo trepidanti il prossimo viaggio e i nostri due alla quinta lettori al ritorno.

giovedì 17 novembre 2011

Una voce poco fa: Ah qual colpo inaspettato. Atto secondo



A me la parte goliardica, adesso! Uno spettacolo che si rispetti, con noi in sala, non può, non POTREBBE essere serio, mai e poi mai.
Un rapido appunto tecnico (e spero di concludere qui la parte noiosa): dalla mia posizione, non vedevo metà del palco, quindi possono essermi sfuggiti particolari significativi. Comunque il materiale a mia disposizione abbonda.
Anzitutto, l’allestimento. Ormai è talmente difficile trovare un allestimento di senso compiuto che mi sono quasi venute le lacrime agli occhi quando ho visto un semicerchio a logge rischiarate da quattro o cinque lampadari che pendevano dal soffitto. A seconda delle necessità, poi, il semicerchio si apriva a metà e lasciava intravedere scorci alpini vari ed eventuali.
Il punto è che i lampadari, di cristallo, sarebbero stati carini se non fossero stati tanti. Così assumevano un aspetto kitsch che fa gridare allo scandalo in una reggia.
Confesso ora di non capire a cosa servisse che, su questi loggiati, si muovessero i doppi dei protagonisti. Ormai la moda del doppio impazza e a noi non resta che sorbircela...
Il coro. Finalmente questi poveri coristi non sono stati conciati in modi bislacchi, ma vestivano eleganti frac e abiti da sera. In particolare, mi sono innamorata di un vestito verde acqua di uno dei contralti, che da lontano pareva essere di velluto. Poi, però, compaiono sulla scena i protagonisti, abbigliati in tutt’altro stile, che non saprei attribuire a un’epoca precisa ma in deciso contrasto con l’abbigliamento del coro. La scelta di vestire gli uni in un modo e gli altri in un altro, per quanto i vestiti fossero belli e curati, non mi è piaciuta; in effetti, ci stava come i cavoli a merenda...
L’altra cosa che mi ha messo ansia è stata proprio all’inizio dello spettacolo, quando il coro si presenta in scena vestito come abbiamo detto e con dei calici in mano.
«Ho sbagliato opera!» ho pensato. «Adesso attaccano il brindisi della Traviata! Numi, pietà!»
No, niente Traviata, il Gioak per una volta ha avuto la meglio sul compositore preferito e sull’opera preferita di oggigiorno...
I cantanti. La parte tecnica è stata esaurientemente dibattuta da Aspasia, io mi occupo delle questioni collaterali (di quelle che Petrarca definirebbe nugae, cioè bazzecole). Vorrei solo puntualizzare che, dopo quest’assaggio di vocalità rossiniana, siamo apposto con le voci fino alla prossima generazione, perché i migliori erano tutti scherati lì per noi.
Partiamo con... le scarpe di Florez. Il nostro passerà alla storia per tante belle qualità, ma non per innalzare la soglia di altezza del tenore medio, visto che calzava un paio di stivali con palese rialzo (la moda dei tacchi lanciata da Luigi XIV, ometto piccino checché possa parere dai quadri, non è stata dimenticata). La cosa ancora più triste era che la Barcellona, le cui calzature erano rasoterra, era comunque più alta di lui. Il trucco permette guadagno fino ad un certo punto...
Proseguiamo con... le minacce di Florez (poi con te ho finito, povero...). Qui prendiamo le mosse un po’ da lontano, perché le disquisizioni mie e di Aspasia sul suo modo affatto convincente di minacciare sono iniziate dai tempi di gloria degli ormai mitici Puritani di Bologna (anno di grazia 2009), che prima ci siamo gustate dalla registrazione dalla radio e poi, già che amiamo perseverare, dal DVD completo. Ciò che era emerso dall’audio (e che il video ha confermato) è che il nostro non sa minacciare, gli manca lo stampo. Un tenore che minaccia è di per sé ridicolo, per moltissime ragioni: in primis, di solito si accapiglia con un baritono/basso che lo sovrasta di tutta la testa e quindi la faccenda assume un risvolto tragi-comico. In secundis, i tenori sono i personaggi eroici per definizione, quindi è facile che vogliano strafare e che finiscano male. Insomma, all’ascoltatore non resta che gridare “Togliete la spada di mano a quel pazzo!”
Nella Donna del lago, per fortuna, nulla di tutto questo accade. Terzetto del secondo atto: il Diego stavolta ci era sembrato scatenato sul serio, a differenza dei Puritani. La spiegazione è semplice: stavolta un tenore si scontra con... un altro tenore, cioè Florez si scontra con Osborn. Diciamo la verità, il Diego sapeva già che se lo sarebbe mangiato con tutta la spada, che quando c’è in giro lui tutti gli altri tenori si dileguano! In effetti, il nostro era talmente lanciato che, allontanandosi per duellare con lo sfidante (per una volta alla sua altezza), ha fatto anche un gesto imperioso e spazientito.
Finito col primouomo, passiamo al Vero Uomo, la Barcellona, con tanto di corazza, ormai suo simbolo distintivo (benché sia stata annunciata come Rosina a Trieste, l’anno prossimo). Non si sa bene perché, ma nell’ultima scena compare sul palco con tutt’altra divisa, in frac, come Douglas, evidentemente per appaiarli col coro, ma la domanda è: perché? Poverina, se sono talmente abituata alla corazza da poter dire che le dona, così conciata era ridicola! Non si possono fare cose del genere, soprattutto senza alcun motivo apparente... E domandare spiegazioni a un regista mi ha sempre messo addosso una certa ansia, sarà che sono prevenuta...


P. S. So che in questa foto sembra minuta, ma in realtà non è vero.

Dovrebbe essere finita qui, e invece no, perché vorrei soffermarmi su una certa voce, che pretendeva che in sala ci fossero degli autoparlanti e che gli applausi e i “Bravo!” fossero precedentemente registrati. SMENTISCO! Testimonio che io non ho visto niente del genere e non per il fatto che sono palesemente venduta a Florez e che perciò ho gli occhi foderati di prosciutto e non ho visto per non vedere (anche perché, da brava ingorda, quel prosciutto piuttosto che metterlo sugli occhi lo metterei nello stomaco). Non li ho visti perché, ovviamente, non c’erano. E poi, diciamola tutta! Chi può pensare a sangue freddo un «Sei splendido!» per una registrazione? Queste sono cose che si fanno per ispirazione del momento, sono impensabili senza una vera emozione di sostrato, come dimostra la trasfigurazione del tranquillo pensionato in un tifoso d’assalto allo stadio (scusate il paragone blasfemo, ma rende il concetto).

Dovrebbe essere di nuovo finita qui, e invece no, perché dopo quella serata io e Aspasia avevamo un giorno intero da passare in gozzoviglie, per cui ci sarà una quarta parte, con (Udite, tutti udite! Le orecchie spalancate!) la recensione di una pseudo-biografia di Mozart (poi giustificherò lo "pseudo") che ho avuto la malaugurata idea di comprare. Dopotutto, da quando abbiamo aperto il blog abbiamo parlato praticamente solo del Gioak. È ora che il nostro compositore preferito si faccia sentire...

martedì 15 novembre 2011

Una voce poco fa: Ah, qual colpo inaspettato! (Milano, 8-9 Novembre 2011). Primo atto





Ancora rapita e in estasi dopo aver presenziato alla rappresentazione di martedì 8 novembre de La donna del lago mi accingo a riportare alcune mie impressioni. 
A dirla tutta, lasciata la parte ludica ad Armida, mi sono ritrovata con quella più difficile. Infatti quando le cose vanno male le dita sembrano andare da sole sulla tastiera. Quando invece è stato (quasi) tutto positivo, la fantasia va a farsi friggere, quindi scusatemi se sarò noiosa ;).
Parlavo di serata positiva. Beh, la definizione "positiva" è infinitamente lontana dalla realtà. Potrei insultarmi da sola per la sua scarsissima efficacia. In realtà la serata è stata semplicemente straordinaria: tutt'altro che una recita qualsiasi di una produzione qualsiasi. Credo che in molti, a teatro, quella sera, si siano resi conto di star assistendo ad un momento storico. Chissà. Magari fra 20 o 30 anni noi presenti racconteremo di quelle recite come fanno adesso quelli che parlano di spettacoli leggendari, con la Callas, o Pavarotti, o altri miti. Lo so che molti non concorderanno con queste mie affermazioni ribattendo col solito "non si canta più come una volta", "i bei tempi sono passati", "l'opera è morta" o altre frasi del genere, ma per me la sera dell'8 novembre è stata la prova che l'opera, pur coi suoi problemi, è ancora viva e in grado di fornirci momenti di pura estasi artistica (senti come scrivo stasera XD).
Veniamo finalmente a quello che più ci interessa: le voci.


Il ruolo di Elena è stato ricoperto da Joyce DiDonato. Se devo dire la verità, a me non convince tanto la recente abitudine di affidare i ruoli che Rossini ha scritto per Isabella Colbran a dei mezzosoprani. La scrittura piuttosto centrale della parte effettivamente sembra lasciare spazio a questo tipo di scelta perché effettivamente le note scritte da Rossini sono fattibili per dei mezzi, ma si corrono diversi rischi: il mezzo in questione potrebbe voler "fare il soprano", forzano quindi il proprio strumento, oppure potrebbe finire per assomigliare troppo a Malcon (personaggio maschile, creato però per una voce di mezzosoprano) e quindi avere in scena dei doppio (una coppia di innamorati, per giunta). Effettivamente, nonostante la Rossini renaissance abbia fatto molto per definire la prassi esecutiva del pesarese, la vocalità adatta a risolvere le parti scritte per la Colbran sembra ancora un punto irrisolto. Dall'alto della mia infinita sapienza musicale (ridete pure, io lo sto facendo), io certamente opterei per un soprano. Non un soprano leggero puro, Elena infatti non si può risolvere solo con variazioni sovracute e puntature. Certo, gli acuti ci stanno bene, soprattutto nel rondò finale, che trarrebbe grande giovamento espressivo da dei "fuochi d'artificio" ben emessi, ma non sono l'unica caratteristica necessaria. Se si può fare a meno di un grave corposo, è invece necessario un cento abbastanza sonoro e di bel colore. Non dovrebbero, inoltre, mancare le agilità (anche in zona centrale). 
Niente di più facile XD. Se ripensiamo ad interpreti passate di Elena, noteremo che a tutte manca sempre qualcosa: alla Caballè i sovracuti, alla Devia i centri (anche se, vista la scrittura della parte, trovo la Caballè, teoricamente, più adeguata). Volendo fare un po' la passatista, forse la Sutherland avrebbe trovato la quadratura del cerchio, ma purtroppo non lo sapremo mai. Quindi non discuto le doti della DiDonato in quanto cantante, ma chi le propone certi ruoli. 






Prescindendo da queste considerazioni (mi sono accorta di aver scritto un poema) devo dire che Joyce ha chiaramente dimostrato di meritare la considerazione che ha attualmente nel mondo dell'opera. Fraseggio accurato e sentito, agilità pulite, estremo acuto che ogni tanto pare al limite e fa sentire la "fibra della voce " (e qui torna il discorso del mezzo che "vuole fare" il soprano), ma comunque efficace, bei centri e voce che corre molto bene. Al terminde del rondò finale le viene tributato un sonorissimo applauso più che meritato (anche se, volendo cercare proprio il pelo nell'uovo di una serata eccellente, devo dice che io non ho gradito particolarmente la cadenza posta tra la fine di Tanti affetti e l'inizio di Tra il padre: quella sequenza di trilli era proprio bruttina e fuori contesto).
Daniela Barcellona (Malcom), annunciata indisposta (ma si faticava a notarlo, se non in alcuni passaggi in cui la voce perdeva un po' di vigore e alcune prese di fiato, che parevano affannose) ha ricoperto splendidamente il ruolo del cavaliere innamorato di Elena: coraggioso e appassionato ma delicato, il suo Malcom si è espresso mediante un timbro caldo e fascinoso, un'ottima coloratura, con padronanza su tutta l'estensione e accento partecipe: una prestazione da incorniciare.
Sul nostro amatissimo Juan Diego potrei iniziare un panegirico di proporzioni mastodontiche, ma siccome sono magnanima e non voglio tediavi vi dirò semplicemente una cosa: per come l'ha cantata quella sera, la parte di Giacomo V sembra una passeggiata. Dopo O fiamma soave si è scatenato un delirio di applausi e grida di "Bravo". Uno spettatore, dotato di voce molto ben proiettata, ha svettato sulla massa con uno stentoreo "sei splendido!" Non posso fare a meno che concordare.




Diverso il discorso per John Osborn (Rodrigo), il quale ci ha fatto percepire quanto il suo ruolo fosse difficile: l'estensione non gli manca, anche se i sovracuti si stimbrano e spesso sono imprecisi e in odore di falsettone (il confronto con Florez nel terzetto del secondo atto è impietoso). Nel tentativo di darsi un maggiore peso drammatico forza eccessivamente la sua voce di natura sostanzialmente leggera con il risultato di renderla traballante in alcune frasi centrali. Nonostante questo tratteggia encomiabilmente il personaggio e, pur un  gradino sotto ai tre colleghi precedentemente citati, offre una performance di livello assoluto. 
Il Douglas di Simon Orfilia, pur senza particolari errori (salvo alcuni transitori problemi di intonazione), è positivo, ma non lascia il segno. Benché canti Rossini con una certa frequenza e da qualche anno, da la sensazione che il Cigno non sia il suo forte.
Josè Maria Lo Monaco, che in altri teatri ricopre ruoli da protagonista, è un'Albina di lusso.
Buoni Jaeheui Kwon (Serano, che migliora nettamente rispetto alla disastrosa prima) e Jihan Shin.
Roberto Abbado dirige con mestiere e buon gusto, ma la sua non è un'interpretazione che ci ha fatto saltare sulla sedia.
Coro e orchestra, mi spiace dirlo, per niente all'altezza della compagnia di canto. Per quanto riguarda l'orchestra, gli elementi peggiori sono stati i fiati, segnatamente gli ottoni, che in più di un'occasione hanno "spernacchiato"; il coro (in particolare le sezioni maschili) ha avuto un rendimenti discontinuo, alternando passaggi suggestivi a momenti censurabili e del tutto inadeguati all'autore che stavano cantando.

domenica 13 novembre 2011

Una voce poco fa: Ah, qual colpo inaspettato! (Milano, 8-9 Novembre 2011). Antefatto




Quest’operazione, come avrete notato, non è intitolata con un nome in codice come le precedenti, ma ciò non è dovuto a una improvvisa mancanza di fantasia, ma a un fatto semplicissimo: io, in tutto questo (come in molto altro...), non avrei dovuto centrare un tubo.
Il piano originario prevedeva che Aspasia si recasse alla Scala in compagnia di sua madre e che io restassi a casa a fare la calza e trepidare per la sugosa cronistoria al loro ritorno. Invece, per cause di forza maggiore, è stata necessaria una sostituzione dell’ultimo minuto... e quando dico ultimo minuto, intendo proprio ultimo minuto, cioè le sette di sera di Lunedì 7, con la partenza fissata alle dieci di mattina di Martedì 8.
«Miserere!» ho pensato, dopo che Aspasia, al telefono, mi aveva spiegato il corso degli eventi, «Niente di pronto, non ho neanche un vestito da sera invernale! La valigia sarà in chissà quale nicchia del garage! Adesso sono via, prima delle nove non sarò a casa! E domani mattina dovrei trovarmi in stazione bella e pronta? Santa Radegonda! Come posso dire di sì?»
«Accetto» ho risposto invece, convinta come don Camillo quando, appena tornato dalla Russia dove si era recato sotto mentite spoglie, deve ripartire per l'America su richiesta del vescovo.
Figurarsi se avessi risposto di no: le partenze all’ultimo, gli imprevisti, i colpi di scena sono il mio mestiere, pazienza per i bagagli da preparare e il vestito da comprare! Non mi scompongo per lo scompiglio, semmai lo incoraggio.
Caso voleva che fossi in un centro commerciale e che avessi davanti a me valanghe di vestitini graziosi... Ho fatto talmente in fretta a trovarne uno che ho mi è avanzato tempo anche per un bel paio di scarpe.

PRONTI, PARTENZA, VIA! Martedì 8 Novembre dell’anno di grazia 2011, siamo puntualmente partite alla volta di Milano coi potenti mezzi Trenitalia.
L’albergo. Bel posticino, in sito centrale ma non trafficato: il quartiere era talmente carino che ruminavamo fra noi «WOW! Non sembra nemmeno Milano!» Né io né Aspasia siamo patite di quella grigia città (benché un insistente coniglio che pubblicizzava un insipido risotto allo zafferano e affisso ad ogni cantone ostendesse il piatto esclamando “E poi dicono che Milano è grigia!”), quindi l’esclamazione tornava ad onore della via.








Il centro. Riposte le valige, fuori a far baldoria! Foto d’uopo davanti al manifesto affisso fuori dalla Scala, guardando intorno semmai uno dei nostri eroi avesse la sciagurata idea di incrociare la nostra strada, arpionarlo per un autografo e dimostrare al malcapitato cosa possono essere due fans isteriche, perlustrazione di Piazza Duomo e giretto per la Rinascente, centro commerciale d’impianto simile all’Harrods di estiva memoria, un po’ meno kitsch e con tanto di dolci carissimi e bellissimi all’ultimo piano (c’erano anche delle invitanti scarpe tacco dodici e borsetta coordinata al cioccolato. La stessa idea l’hanno avuta a Venezia col Murano, ma preferisco la variante milanese...). Uscite da lì e proseguendo sotto il portico, ci siamo imbattute in una via che non avremmo mai creduto di trovare, dedicata a una santa che credevo dimenticata e che, suo malgrado, è diventata la patrona di questo blog:


Aggiungendo che vicino all’albergo c’era poi quest’altra via, di un altro santo altrettanto famoso:


siamo giunte alla conclusione che i Milanesi condividono la mia stessa predilezione per i santi bizzarri.
Tempo scaduto! Rientro in albergo per i grandi preparativi. Due primedonne hanno bisogno della debita calma per prepararsi a dovere:

Qual mattutina stella
bella vogl’io brillare,
del crin le molli anella
mi giova ad aggraziar.

Onde evitare incresciosi incidenti coi tacchi e non arrivare a teatro provate come se avessimo scalato l’Everest, abbiamo chiamato un taxi. Avrei omesso questa notizia se il nome del taxi non fosse stato rilevante: Lima, altamente evocativo visto che alla Scala ci attendeva nientemeno che l’adorato Juan Diego. Con l’intercessione della nostra patrona e l’approvazione del Perù, la serata, che prometteva bene di suo, sarebbe andata a gonfie vele.
Palco, il secondo del quart’ordine. Arriviamo, salutiamo le due signore olandesi nostre vicine, ci immortaliamo sul luogo del misfatto e ci sediamo, Aspasia davanti e io dietro. Mi alzo di scatto: dal mio posto non si vedeva che un lembo estremo del sipario...

Mi sovvenne, emergendo dalle nebbie del tempo, la bella Salisburgo, il Festspiele di due anni fa, in cui trovammo i posti per miracolo, ma per disgrazia erano posti in piedi. Non eravamo provviste nemmeno di un comodo puff su cui accomodarci per dare breve sollievo ai piedi costretti nelle scarpe coi tacchi...
A spettacolo concluso, avevamo avuto bisogno di una rigenerante
Coca Cola per riprenderci (non mi interessa di quello che ne pensano i salutisti: è stata un vero toccasana e la ricorderò con amore finché non scoprirò con che intrugli la preparano) e ancora non sapevamo che l’ultimo autobus era già passato e dovevamo tornare in ostello a piedi, alle undici e mezza della sera, in riva all’umida Salzach.
Lato positivo: avevamo sentito il Luca dal vivo. Ad avercelo chiesto, l’avremmo rifatto. Il Luca val bene una Salzach.

Ecco accontentato, due anni dopo, il mio spirito d’abnegazione. Guardavo il mio piccolo sgabello che sembrava ancora più piccolo e ancora più sgabello in considerazione delle tre ore di opera che avevamo davanti a noi. Il comodo soglio di Aspasia mi sembrava ancora più comodo e ancora più soglio...
In ogni cosa ci vuol filosofia, sosteneva don Alfonso, personaggio antipatico quant’altri mai ma che alla fine ha ragione. Hai ragione due volte, caro don: sono alla Scala, c’è Florez, c’è la DiDonato, c’è la Barcellona (che è quasi nostra vicina di casa, visto che abita a Trieste) e c’è il Gioak. Fosse stato Verdi, ti saresti potuta ben lamentare, ma, mettendola su questo piano, vuoi guastarti la festa per un insulso sgabello (foderato con un delizioso raso rosso, che mi sarei volentieri portata a casa per le sedie del soggiorno: il Rosso Scala fa sempre effetto)?
Chissenefrega, come disse la Scotto: il Diego val bene uno scranno!

NELLA PROSSIMA PUNTATA: la recensione della serata.

sabato 5 novembre 2011

Il grammofono: In nome dell'opera sovrana

Sollevata dall’incombenza di raccontarvi ciò che abbiamo sentito dalla più che esauriente cronaca di Aspasia (che peraltro nelle linee-guida coincide con le mie impressioni), voglio comunque metterci il becco, giusto per qualche puntualizzazione.
L'ambiente. Ho sottolineato più volte il mio sospetto per qualunque cosa valichi i confini del secolo Decimonono, ma devo dire che questa trovata del cinema non mi è dispiaciuta affatto, sarà che i fratelli Lumière hanno messo a punto la loro invenzione giusto al limitare di quel secolo (si sono salvati per un pelo, in pratica).
La direzione. Sono d'accordo con Aspasia sulla direzione abbastanza piatta, che in realtà mi aveva fatto sperare in qualcosa di meglio dopo l'ouverture in cui il direttore aveva enfatizzato la tensione. Poi ci siamo un po' addormentati sugli allori, purtroppo...
I cantanti. Ritengo che il miglioramento del Leporello del nostro beneamato Luca sia dovuta soprattutto ai tempi meno frenetici rispetto a quelli della registrazione di Glyndebourne, in cui il direttore aveva come unico scopo quello di finirla, il più alla svelta possibile e si salvi chi può. Insomma, era un indemoniato. Qui, per fortuna, Leporello ha avuto modo di esprimersi meglio, con una resa meravigliosa. VAI, LUCA!
Per quanto riguarda gli altri uomini, sono sostanzialmente d'accordo con Aspasia, anche se tengo a sottolineare le facce da osteria di Masetto, che spesso e volentieri sembrava avvinazzato. Pazienza, un po' di sketch. :)
Le donne. Barbara Frittoli si conferma fra le mie cantanti preferite con questa magnifica interpretazione di Donna Elvira, più che coinvolgente, travolgente. Marina Rebeka, sebbene non mi sia dispiaciuta in generale, ha purtroppo una voce stridula che su Non mi dir bell'idol mio l'avrebbe penalizzata non poco se non si fosse aiutata con la tecnica. A parte questo, non è stata un'esecuzione esecrabile.
Zerlina... Beh, Zerlina pazienza. E' peggiorata dalla Zaide che avevamo ascoltato in un lontano pomeriggio operistico (con la regia di quel criminale di Guth, che ha costretto i cantanti, non si sa bene per quale motivo, a impiastricciarsi di ketchup!) e per di più aveva una gonna che sembrava una di quelle coperte di patchwork...

Mi incarico ora di raccontarvi le mie peripezie prima e dopo l’opera.
Anzitutto, le peripezie in questa nuova vicenda musicale non erano contemplate: si profilava una serata tranquilla, senza i soliti colpi di scena alla Armida&Aspasia Inc. e senza la solita frenesia, perché, anche se avessimo gridato, in preda a un delirio contemplativo, “Bravo, Luca!”, il Luca non ci avrebbe udite, lungi da noi, oltreoceano addirittura! E men che meno eravamo in pensiero per i biglietti, perché davamo per scontato che saremmo stati in pochi (ben ventidue in una sala che ha una capienza più di cinque volte superiore...).
In effetti, partendo di casa avevo quasi un groppo alla gola, mentre riflettevo fra me e me che non avrei avuto grandi retroscena da raccontare, disdicevole per una che si è messa in testa di superare in follie le più accanite primedonne.
Non avevo calcolato IL nemico per eccellenza, il passaggio a livello. Questo dannato prodotto del progresso è ubicato a circa cinquecento metri da casa mia e non esagero quando dichiaro che è l’infrastruttura più odiata della regione: il disgraziato se ne sta bello e chiuso anche per venti minuti di fila, pur di far dispetto all’automobilista disperato che geme e piagnucola davanti a lui, implorandolo di sollevare quelle maledette sbarre. Solo allorché l’automobilista disperato decide di fare inversione e prendere la strada parallela, più scomoda e più lunga, il passaggio a livello decide che è ora di far passare i viandanti, ma sempre dopo che l’automobilista disperato è arrivato già a metà della via.
Io ho avuto l’onore di averlo come ostacolo privilegiato per raggiungere la fermata dell’autobus ai tempi del Liceo, per andare a giocare con le amiche, addirittura per recarmi al Tempio e ancora ogni tanto decide di perseguitarmi. L’altra sera, però, l’ha fatta grossa.
Mi ero preparata per tempo, davo per scontato che il passaggio a livello non mi avrebbe dato noie perché non c’erano treni di passaggio a quell’ora, mi sentivo orgogliosa perché prevedevo, per una volta, di arrivare in dorato anticipo... La superbia è peccato capitale, insegna un nostro caro amico fiorentino, che coi superbi aveva un certo feeling perché si considerava superbo anche lui.
Io ho scontato la superbia l’altra sera, non camminando sotto un pondo, ma mordendo il volante nella disperata attesa che quel maledetto passaggio a livello ci facesse passare, perché qualcuno che per il suo bene è meglio che resti anonimo aveva deciso di far passare proprio in quel momento un imprevedibile treno merci! E, nella mia fortuna, non potevo neanche girare la macchina e andare dall’altra parte perché ero stretta fra due vetture...

Tutte nel cor vi sento
Furie del crudo Averno
lunge a sì gran tormento
amor, mercé, piètà.

Volevo qualcosa da raccontare e l’ho avuto eppure, chissà perché, non ero granché contenta sul momento...
Alla fine, dopo aver marciato a spron battuto per paesini dimenticati come Nogaredo, Trivignano, Buttrio (chi li ha mai sentiti, questi nomi?), e ringraziando mio malgrado il fratello bocciofilo, grazie ai cui allenamenti ho imparato la strada (non tutti i fratelli vengono per nuocere), sono arrivata sulla statale.
“Adesso andrà tutto bene” pensavo.
Macché, adesso veniva appena la fila chilometrica, con tanto di deviazione da montagna russa!

CENSURA [imprecazioni in Uzbekistano antico]

Alla fine, grazie all’intercessione di Santa Radegonda, sono arrivata in tempo (talmente in tempo che ho preso persino il gelato).

Credevo che fosse finita qui: IN GLORIA, che meglio di così si muore. E invece, manca ancora una parte.
Tornata a casa, mi godo il sonno del giusto. Cos’è accaduto? Beh, che il Commendatore mi ha teso un agguato.
Ho sognato che io e Aspasia eravamo andate in viaggio a Vienna (e dove, altrimenti? In uno dei luoghi mozartiani per eccellenza!) e ce ne stavamo belle belle ad ammirare gli eleganti edifici. Ad un tratto, ci chiama una voce da oltretomba, ci giriamo e ci troviamo al cospetto del Commendatore, truccato e abbigliato proprio come nella produzione del Met.
Il buon vecchio si avvicina a noi, per nulla intimorite, e ci chiede se avessimo visto passare don Giovanni e, eventualmente, da che parte si fosse diretto. Noi, cordiali, gli facciamo segno che “è andato per di là”, indicando la fine della via. Il Commendatore ringrazia e si dirige dalla parte che gli abbiamo indicato.
Vuoi vedere che, prima di andare a cena da don Giovanni, il Commendatore ha davvero sbagliato strada ed è stato per merito mio e di Aspasia se alla fine ha fatto giustizia?

Questo è un altro peccato di superbia, però. Al prossimo passaggio a livello!

venerdì 4 novembre 2011

Il grammofono: Don Giovanni live in HD



Un moto di gioia mi sento nel petto...
Sarà scontato, visto che parlo dell'amato Wolfy, ma questo verso esprime in modo esauriente il mio stato d'animo all'uscita dal cinema dove io e Armida abbiamo assistito alla proiezione di Don Giovanni.
Onestamente ero partita con non poche riserve. Insomma... il cinema... Di certo non è un luogo che comunemente si associa all'opera. Certo. Non è come andare a teatro, manca l'atmosfera unica che si ha entrando in questi "templi" della musica, il contatto "diretto" con gli esecutori e così via. Ciò nonostante ho trovato l'esperimento (per me, visto che in realtà questa è tutt'altro che la prima esperienza di trasmissione) molto interessante. Innanzitutto l'aspetto visivo. L'alta definizione ci consente di apprezzare dettagli, come i costumi o le espressioni dei volti, che in teatro solitamente sfuggono (e anche la bellezza soprattutto della Frittoli e della Rebeka). Certamente ci sono ancora difetti, qualche primo piano di troppo e cambi di inquadratura un po' "spiazzanti", ma il complesso mi pare assolutamente soddisfacente. 
Discorso leggermente diverso per l'audio. Certamente è un mio problema, ma io non sopporto un volume troppo forte, indipendentemente dal tipo di musica. Per il mio gusto personale quello di ieri sera era un po' troppo alto. A parte questo il suono (anche se non sono un'esperta) mi è sembrato di ottima qualità. Certo, non si coglie il volume delle voci, ma questo vale anche per dischi e trasmissioni radiofoniche.

Veniamo allo spettacolo.
In un periodo di allestimenti perlopiù orribili, quello visto ieri sera mi è parso attraente come un'oasi nel deserto.
Sullo sfondo la facciata, a dire il vero un po' scolorita, di un palazzo con balconi e finestre da cui uscivano i personaggi che in certe occasioni si apriva per mostrare scene d'interno. Libretto sostanzialmente rispettato, costumi SPLENDIDI.
La direzione di Luisi non mi ha entusiasmato; a parte delle imprecisioni di coordinazione tra buca e palco, la mia impressione generale è stata di scarsa fantasia: siamo arrivati tranquilli alla fine, ma senza particolari emozioni. Molto buona la prestazione di Marina Rebeka (Donna Anna): bella presenza scenica (forse un tantino fredda, ma Da Ponte non ha lasciato intendere molto di diverso) , timbro piacevole anche se un po' "aguzzo", padronanza dell'estensione e fraseggio adeguato. La Donna Elvira di Barbara Frittoli è stata molto coinvolgente, anche se leggermente forzata in acuto. La peggiore delle donne è stata senza dubbio Mojca Erdmann (Zerlina), soprano dal timbro non particolarmente piacevole, fraseggio inesistente, dizione migliorabile e insufficiente resa del personaggio. In altre parole, ieri l'ho sentita, domani la dimentico.
Fra gli uomini spicca la prova del nostro amato Luca Pisaroni. Se devo dirla tutta, il suo Leporello dello scorso anno a Glyndebourne non mi aveva del tutto convinta, invece questa prova mi ha letteralmente conquistata. E' stato senza dubbio il mattatore della serata, sia scenicamente che vocalmente, senza scadere in caratterizzazioni volgari che vanno di moda tra certi suoi colleghi...
Un po' meno brillante Kwiecien (Don Giovanni). Ottimo nella recitazione, ma meno fascinoso vocalmente: canta quasi tutto correttamente me non brilla.
Come Don Ottavio Vargas ha dimostrato belle intenzioni nel cercare di tratteggiare un personaggio nobile, anche se non sempre la voce ha risposto adeguatamente.
Non particolarmente significativi, ma corretti, Joshua Bloom (Masetto) e Stefan Kocan (il commendatore).

Un piccola nota. Quello che negli Usa e in altri paesi è stato trasmesso in diretta, da noi è arrivato in differita.  Tenuto conto di questo, i 15 euro pagati mi sembrano un po' troppi. Visto che si trattava di una novità, sarebbe stato interessante tenere i prezzi più bassi per incentivare l'affluenza di pubblico, a dire il vero scarsina, eravamo in 26, magari convincendo qualcuno che di solito non frequenta i teatri. Aggiungo anche che l'iniziativa è stata scarsissimamente pubblicizzata. Io, per venirne a conoscenza, ho dovuto tenere d'occhio il sito della catena che distribuiva l'evento in Italia, a sua volta scoperto navigando su quello nel MET...
Ho detto pubblico scarso, ma comunque presente (un trafiletto sui giornali secondo me avrebbe fatto molto, ma accontentiamoci) e soprattutto attento e variegato. In sala erano rappresentate tutte le fasce d'età (salvo i bambini) con una rilevante presenza di giovani. Cogliendo i commenti all'uscita dalla sala (che si è svuotata solo al termine della proiezione, che ha mostrato anche le uscite alla ribalta e una buona dose di applausi) mi è parso di capire che regnasse una generale soddisfazione con punte di entusiasmo. La distribuzione, all'uscita, di sconti per una delle prossime proiezioni credo che incentiverà ulteriormente i presenti a tornare, e magari anche a spargere la voce e a portarsi dietro qualche amico. Io lo farò di certo!

Ps. Il pubblico newyorkese è noto per ridere a sproposito. L'ha fatto anche ieri. Finale Ah dov'è il perfido. Alla frase di Donna Anna
Lascia, o caro, un anno ancora
allo sfogo del mio cor
è partita la risatazza. Fossi stata la Rebeka avrei tirato una granata sulla platea XD.


Dal blog di Amfortas potrete evincere un'altra versione dei fatti