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martedì 5 dicembre 2017

La prima alla Scala: Titoli ed autori nei secoli

Con l'inaugurazione della stagione 2017/2018 del teatro alla Scala ormai in vista ho pensato di proporvi una piccola riflessione/analisi sui titoli proposti come prime  nel corso della storia.




mercoledì 3 agosto 2016

Il compleanno della Scala!

Oggi ricorre il 238° (sì, è proprio così: duecentotrentottesimo) anniversario dell'inaugurazione del Teatro alla Scala di Milano e, per celebrare degnamente l'evento, voglio proporvi "prima la musica, poi le parole", come dicevano in altri tempi l'abate Casti e Antonio Salieri.

lunedì 7 dicembre 2015

Il Grammofono: Giovanna d'Arco

Come ogni anno, cari lettori, vi propongo le mie opinioni sulla trasmissione televisiva (mi domando perché dalla Scala non sia ancora arrivato un invito per le tenutari di questo blog che ci porti ad illuminare con al nostra frizzante presenza la serata... :P) di quello che, piaccia o no, è l'evento legato all'opera lirica di maggior prestigio e interesse, sia per i cultori che per quelli che si avvicinano al genere solo in rare occasioni.

sabato 7 dicembre 2013

Il Grammofono: Traviata, dalla Russia con pallore

Inizio dalla fine, i fischi e i "buuu" sacrosanti con cui è stata battezzata questa regia. Sì, perché Dmitri Tcherniakov, alla sua uscita alla ribalta a fine spettacolo, è stato investito da delle sacrosante (a mio avviso) manifestazioni di dissenso da parte del pubblico. Cosa ha fatto di male? Beh, questo allestimento è stato caratterizzato dalle idee, si trattasse di idee bislacche, o dalla mancanza delle stesse. Idee che si possono riassumere con una sola parola: pallore.


Signori di fuori son già i suonatori: Traviata

Oggi è San'Ambrogio e, come da tradizione, alla Scala di Milano si inaugura la stagione di lirica e balletto. Come vi ho ha già anticipato nel mio post sulla stagione 2013/14, si apre con La Traviata.


giovedì 5 dicembre 2013

Signori di fuori son già i suonatori: Scala 2013/14, la stagione ristretta

Avvicinandosi a grandi passi la prima, oggi mi accingo ad esprimere le mie impressioni sul cartellone per la stagione 2013/2014 del teatro alla Scala.


sabato 8 dicembre 2012

Il grammofono: Lo Hobbit... ehm... Lohengrin

Apriamo con una nota di colore (perché oggi mi manca la fantasia e temo che questa recensione sarà noiosa come poche, quindi cercherò di essere breve... Chissà se ci riuscirò...):  a metà primo atto, la cara Armida mi ha spedito il seguente sms: "pensa che strano vedere un'opera in diretta sulla rai. Per quello nevica!" (aggiornamento meteo, Casa Aspasia e dintorni sono ricoperti da un soffice strato di neve fresca e non sembra che la nevicata dia segno di volersi fermare a breve: le magie dell'opera).



domenica 25 novembre 2012

Signori di fuori son già i suonatori: Scala 2012/13 ossia la fantasia in trionfo...

Ormai manca poco al 7 dicembre, la tradizionale data dell'inaugurazione della stagione del Teatro alla Scala. 
Diciamoci la verità, ci si lamenta sempre dell'attuale livello artistico di questo teatro. La Scala è scaduta, non è più quella di una volta, non è più una grande ribalta internazionale, la Scala di qua, la Scala di la, ma alla fine, ogni anno, il 7 dicembre, tutti gli appassionati, in un modo o nell'altro, un'ascoltatina alla diretta la danno, e l'indomani cercando sui giornali o in rete qualche commento (che, possibilmente, non parli solo di chi c'era in platea e di come era vestito). Ebbene, visto che l'inizio della stagione si avvicina, perché non dare un'occhiata a quello che il teatro milanese ci proporrà quest'anno?


venerdì 17 febbraio 2012

Signori di fuori son già i suonatori: prossimamente Milano, Londra e New York

Deve esserci qualcosa nell'aria. Forse il freddo ha dato alla testa a qualcuno! 
Infatti, abbandonando la tradizionale omertà superstiziosa che di solito accompagna la gente di teatro, negli ultimi giorni non uno, ma ben due pezzi grossi dell'opera europea ci hanno messi al corrente di alcuni degli eventi che ci stanno preparando per il prossimo futuro.


Partiamo dalla Scala. In conferenza stampa il sovrintendente Lissner ha annunciato quello che sarà il programma del teatro milanese da qui all'expo che si terrà, appunto, a Milano, nel 2015. 
Nel 2013 ricorrono ben due bicentenari di nascita, quelli di Giuseppe Verdi e di Richard Wagner. Ciò significa, era piuttosto facile prevederlo, una massiccia presenza (come se già non si vedesse troppo, e mi riferisco soprattutto al bussetano) di loro opere nei cartelloni. Da quello che vedo, dovrò sopportare (o meglio cercare di schivare, salvo cast entusiasmanti) una grandissima (Abnorme, ECCESSIVA!) quantità di titoli del compositore a me meno gradito (e per chi non l'avesse capito, mi sto riferendo al Peppino nazionale).
Coraggio, Aspasia! Il 2013 prima o poi finirà!
Schematizzo per semplificare la lettura (e perché ho una smodata passione per gli elenchi puntati XD) le principali novità per quanto riguarda Milano (fonte):
  • 7 dicembre 2012: Lohengrin con Kaufmann, Pape, Harteros, Barenboim a dirigere, Guth regista (e si sapeva). Inizio fin da ora le preghiere per trovare un biglietto (per una replica ovviamente, anche se dovrò sorbirmi Claus Guth, l'incubo delle vostre blogger)
  • 7 dicembre 2013: Traviata con Diana Damrau (che debutterà nel ruolo il prossimo settembre a Bilbao) diretta da Gatti. Nuovo allestimento di Tcherniakov
  • 7 dicembre 2014: Fidelio diretto da Barenboim con regia di Warner
  • giugno 2013: due Ring completi, ognuno nell'arco di una settimana,  con la regia di Guy Cassiers (Das Rheingold e Die Walküre sono già stati rappresentati, Siegfried si vedrà  ad ottobre, mentre Götterdämmerung dovrebbe essere presente nella prossima stagione)
  • 2013: Der fliegende Holländer con Bryn Terfel protagonista
  • 2013: ripresa di Don Carlo, direttore Luisi
  • 2013: ripresa di Aida, direttore Noseda
  • 2013: nuova produzione di Falstaff con Harding sul podio
  • 2013: nuovo Nabucco diretto da Luisotti
  • 2013: nuovo Oberto diretto da Battistoni
  • 2014: Trovatore diretto da Battistoni
  • 2015: Triologia popolare diretta da Battistoni
  • Macbeth, nuovo allestimento di Barberio Corsetti (quello della Zelmira pesarese di qualche anno fa, per intenderci)
  • Un ballo in maschera con la regia di Michieletto e Rustoni sul podio
  • Maggio 2015: Turandot con Nina Stemme diretta da Chailly (sembra si eseguirà il finale composto da Luciano Berio)


L'altra personalità che in questi giorni si è fatta loquace è il neobaronetto Antonio Pappano, direttore musicale della Royal Opera House di Londra. Stando ad un'intervista radiofonica, prossimamente il maestro dirigerà al Covent Garden (fonte) :
  • Król Roger con Mariusz  Kwiecien
  • Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny
  • Guillaume Tell, inciso nel 2010 (se non sbaglio) con i complessi dell'accademia di Santa Cecilia
  • Manon Lescaut, probabilmente nella stagione 2013/2014 con Harteros e Kaufmann
  • Andrea Chénier, sembra nella stagione 2014/2015 con Jonas Kaufmann nel ruolo eponimo
  • Cavalleria Rusticana / Pagliacci
Aggiungo di aver appreso da una fonte che al momento non ricordo, che a Londra ci sarà anche una ripresa della Donna del Lago vista in autunno alla Scala con un cast più o meno invariato (Florez, DiDonato e Barcellona nei ruoli principali) e Mariotti a dirigere, e Robert le diable di Meyerbeer (che io sentirei MOOOOLTO volentieri). Mesi fa avevo letto di Florez e della Damrau nei ruoli principali. Chi lo sa... E poi c'è la Norma della Netrebko di cui ho parlato qualche giorno addietro.



Per concludere, visto che siamo in tema di programmazione futura, La Cieca ci annuncia quello che molto probabilmente si vedrà al Met nei prossimi anni come titolo d'apertura (i cast segnalati tra parentesi sono mie supposizioni o notizie apprese da fonti incerte):
  • 2012: L’elisir d’amore, con Netrebko, Polenzani, Kwiecien; direttore, Gavanelli; regista, Sher. [Sono proprio sicuri? La Netrebko Adina? Ormai sono passati gli anni buoni per il suo Elisir...]
  • 2013: Eugene Onegin, con Netrebko, Semenchuk, Beczala, Kwiecien; direttore, Gergiev [sarebbe la terza inaugurazione di fila con la Netrebko. Fantasia...]
  • 2014: Le nozze di Figaro, regia di Grandage, direzione di Levine [se ce la fa a riprendere, è da ormai qualche mese che manca dal podio] (Schrott come Conte, Pisaroni come Figaro, Isabel Leonard Cherubino e magari la quarta Netrebko di fila come Contessa...)
  • 2015: Der Rosenkavalier (DiDonato o Garanca come Octavian, Fleming per la Marescialla)
  • 2016: Tristan und Isolde (Netrebko O.O, più realisticamente la Stemme o la Dalayman ma potrebbe scapparci anche una Voigt con Kaufmann o Gould)
  • 2017: La forza del destino (Urmana o Harteros o Radvanovsky con Alvarez o Kaufmann)

venerdì 9 dicembre 2011

Dopo la Prima



Forse gli appassionati non saranno impazziti per le voci, forse fra qualche mese nessuno si ricorderà più l'allestimento, ma di certo qualcosa di buono questo Don Giovanni l'ha portato. Secondo quanto riporta Repubblica: 


"Il Don Giovanni diretto da Daniel Barenboim che ha aperto la stagione lirica della Scala di Milano ha fatto il boom anche su Rai5, che ha trasmesso l'opera in diretta. La media della trasmissione, iniziata alle 17.45, è stata di 428mila spettatori con uno share del 2.02 per cento. Il picco di ascolto è arrivato alle 21.38, alla fine dell'opera, con 554.731 telespettatori, mentre il picco di share è stato alle 18,06 con il 3.6 per cento. Rispetto alla media di rete - che nel prime time raggiunge i 77mila spettatori - si tratta di un incremento del 550 per cento."

Direi che i dati sono notevoli e a questo risultato vanno aggiunti anche gli spettatori che hanno seguito la diretta dai cinema!

Il grammofono: Don Giovanni o quello che era...

Oggi sono indiavolata come vuole il nostro titolo: son due giorni che rifletto su quella boiata che è stata la prima alla Scala di quest’anno e non riesco a trovare una definizione migliore che TRUFFA!
Già da un paio d’anni (dalla Carmen la cui regia era poco meglio di questa – più animata, per lo meno) il mio cavallo di battaglia è diventato: una volta non si entrava alla Scala se non ci si chiamava Maria Callas e adesso non ci entra se non ci si chiama Erwin Schrott. Riferimento non del tutto casuale visto che quest’anno ad inaugurare la stagione c’era sua moglie/amante/pubblica concubina (sono anni che ci chiediamo se Schrott e l’Annina Netrebko siano sposati o no. Un giorno, sospetto anche loro si chiederanno una volta per tutte se «Son tue cifre?»). Bando ai pettegolezzi, poiché del cast che ci hanno proposto salverei (ampiamente, aggiungo) solo il protagonista (cosa in cui il regista mi ha assecondata con una licenza clamorosa) e la Frittoli, sono piuttosto indignata per la scelta degli altri interpreti: non c’era nessuno di meglio? Un Masetto un po' più aggraziato? Un Commendatore distinto? Un Leporello che non sembrasse ubriaco (ma questo poveretto ha cantato con la Bartoli e non si esce immuni da esperienze del genere)? Una Zerlina che non facesse accapponare la pelle? Un don Ottavio con un minimo di coscienza? Una donna Anna che non cantasse dall’inizio alla fine come se masticasse chewing gum (stonando a piacere)?
Anche la direzione è stata al di sotto delle mie aspettative, con tempi da far invidia a una Ferrari, ma ho trovato esagerati i fischi rivolti alla fine a Baremboim, non fosse che per il fatto che sono stati più abbondanti per lui che per il regista, il vero delinquente. Suppongo che il povero Baremboim non ne potesse più neppure lui di questo scempio, perciò ha cercato di finirla il più alla svelta possibile.
Non sono abituata a fare paragoni fra produzioni, perché penso che ognuna dovrebbe essere presa in se stessa, che ognuna ha dei punti positivi e dei punti negativi. Tuttavia, il mio pensiero è andato con struggente malinconia alla prima del 1987: un innocuo Don Giovanni che seguiva pedissequamente (e gradevolissimamente) il libretto, con una donna Anna del calibro della Gruberova e Muti sul podio. In neanche venticinque anni siamo decaduti di brutto...
Anzitutto, questa storia del teatro nel teatro mi lascia alquanto perplessa: non è un’idea nuova e credo che ne abbiamo tutti le scatole piene... Almeno, se dobbiamo seguire la moda, seguiamola nel bene, non nel male. Tutto ciò che posso dire di questa regia è che è stata assolutamente triste e, per una che riverisce il compositore e il librettista prima di un qualunque regista pacchiano, sacrilega. Anzitutto, l’idea di considerare don Giovanni un innocente traviato è opinabile, soprattutto perché quest’innocenza si basa sull’assunto che le tre donne dell’opera, vipere insidiose, non lascino al protagonista altra scelta che agire come agisce. Vorrei sottolineare che, se lui non fosse andato a pestare loro la coda, non sarebbe accaduto niente e che la sua natura è chiaramente evidente dai recitativi con Leporello, un servo e perciò incapace di frenare il suo padrone, a cui oltretutto ammicca durante la mascherata con donna Elvira.
Esordio: un accattivante Leporello in tenuta dimessa si presenta sul retro di un teatro, come si nota dalla scena girata da comparse in tenuta da tecnici. Anziché imprecare contro i privilegi nobiliari che permettono al padrone di spassarsela, Leporello si sarebbe sentito più a suo agio criticando un sovrintendente.
Ovviamente, don Giovanni nel frattempo se ne sta a letto con donna Anna, che stavolta è più bendisposta delle precedenti. La Netrebko ha i capelli scuri arricciati in piega Marilyn Monroe e mi aspettavo che attaccasse da un momento all’altro Diamonds are a girl’s best friends (così forse avrebbe concluso qualcosa di buono?).
Il Commendatore arriva come un divo, infrachettato e con bastone da passeggio, e probabilmente si arrabbia con don Giovanni non perché stava seducendo sua figlia, ma perché adesso era costretto a sfidarlo e a rovinarsi una serata allegra.
Povera donna Elvira! Già nell’abominevole Don Giovanni di Trieste era entrata in impermeabile (copia esatta di quello che indossava la nostra professoressa di Greco quasi settantenne), ma quello manteneva una certa sobrietà. Questo propinato alla povera Frittoli era a quadretti. Si vede che donna Elvira aveva tanta fretta di inseguire don Giovanni da mettere la prima cosa che avesse trovato e precipitarsi fuori (infatti, toltasi il soprabito, rimane in sottoveste).
Ma in Ispagna son già mille e tre: il non picciol libro (attenzione, prego: non picciol, cioè in quarto, massimo in ottavo, e libro, oggetto di materiale cartaceo o pergameneaceo che si può agevolmente portare in una borsa) è diventato una gigantesca parete su cui le avventure amorose del don sono segnate con stanghette tagliate... Comodo, visto e considerato che questi due hanno girato mezza Europa.
Poi vengono Zerlina e Masetto, di bianco vestiti per appaiarli, così come donna Anna e don Ottavio sono in nero e donna Elvira e Leporello (nel secondo atto) sono in rosso. A parte questo richiamo, se mio marito lo sventurato giorno del nostro matrimonio si presentasse vestito di bianco credo che lo pianterei sull’altare. Ma è inutile cercare la creanza in un circo.
Alla fine del primo atto, tutti sono in rosso... Rosso passione, presumo. Belli i vestiti delle donne, che rimandavano quasi all’epoca dell’ambientazione originaria. Sbandamento di brevissima durata: per il finale, eccole riprendere le loro sottovesti chiare o scure.
Il secondo atto si apre con donna Elvira che sospira non da un normale balcone, ma da un pertugio nel sipario. Tutto il mondo è teatro, caro il mio Shakespeare... E infatti, dopo che la cameriera di donna Elvira a cui puntava don Giovanni è scesa da lui, i due si accomodano sul palco e seguono il resto dell’atto come spettatori (o meglio, visto che è don Giovanni a muovere la macchina, come un regista che si pasce dell’opera sua).
Il Commendatore è stato spedito a cantare da un cimitero al palco reale, con somma gioia delle due cariatidi che aveva ai fianchi, Monti e Napolitano. La domanda è: perché? Spieghiamo il regista la differenza fra palco reale e palcoscenico; ne avremo tutti dei vantaggi.
Con Aspasia, riflettevo su quanto fosse chic e al contempo strano, che un fantasma gironzoli in frac, ma lei mi ha fatto giustamente notare che alla prima alla Scala si va eleganti.
La cena. Niente orchestra sul palco, ingombrato da un’enorme tavola che raggiungeva le quinte. Visto che don Giovanni cenava solo soletto nel mezzo, il resto era tristemente vuoto... Finché non compare donna Elvira, improvvisata cubista, che balza sul tavolo e canta da lassù, tipo gli ubriachi in osteria. Olè!
Per non parlare del finale, drasticamente cambiato a favore di don Giovanni, che è l’unico che non precipita negli inferi! Non ci sono parole... E non ce ne sono perché non è il caso di spenderne per una stupidaggine che, discussa, assumerebbe maggior importanza di quella che ha. Meglio passarla sotto silenzio e avere pietà dei posteri, poiché dai registi noi non ne otterremo.

mercoledì 7 dicembre 2011

Il grammofono: L'occasione sprecata ossia Don Giovanni

Eccoci qui. L'evento tanto atteso (ma anche no...) si è consumato e adesso sono qui a tirare le somme con le immagini della serata ancora fresche nella mia mente. 
Partiamo dalla regia, così mi tolgo qualche sassolino dalle scarpe: E' ORA DI FINIRLA!!!
Non ne posso più di questi registi pseudo geniali che spadroneggiano nei teatri d'opera neanche fossero degli dei discesi in terra ad aprire gli occhi a noi poveri spettatori imbecilli e ad imporre le loro visioni (nella maggior parte dei casi) assurde dei melodrammi ai cantanti. BASTA! Se Carsen (e con lui moltissimi colleghi) è convinto del fatto che Da Ponte spieghi male la vicenda di Don Giovanni nel suo libretto, ne scriva uno nuovo e la smetta di manipolare quello esistente! Dov'è il rispetto per l'autore?! Dov'è il rispetto per una costruzione geniale (e il libretto del Don Giovanni, con buona pace dei cari registi, lo è) che per secoli ha affascinato centinaia di migliaia di spettatori?!  Trovo inammissibile che al giorno d'oggi, per capire quello che sta succedendo in scena, il pubblico sia costretto a leggere pagine e pagine del programma di sala in cui il regista spiega la sua visione, che a suo avviso dovrebbe essere chiarificatrice! Se ha bisogno di ulteriori spiegazioni non è chiarificatrice per niente! Spesso ci si barrica dietro alla scusa che "la musica di Mozart (o dell'autore di turno) vada da un altra parte". Ebbene, se all'epoca ha deciso di adottarlo, si vede che libretto gli andava bene così...
Non starò qui ad elencare le trovate, alle volte assurde, alle volte del tutto inutili, che si sono susseguite sulla scena, darei troppo immeritato spazio a questi moderni despoti teatrali che fanno solo del male a quest'arte.
Veniamo ora al canto.
Anche da questo punto di vista la serata non è stata delle più esaltanti.
L'attesissima Anna Netrebko si è comportata bene, ma non benissimo. La voce è splendida, ma quando sale perde il suo smalto, ogni tanto (in particolare nel primo atto) l'intonazione oscilla e le prese di fiato sono un po' troppo frequenti, ma in generale, tiene. Cerca di sfumare e di interpetare: a volte ci riesce, altre va a vuoto e risulta monotona. L'indiscusso carisma la "salva" e le sua prova, a conti fatti, risulta discreta (ma da una delle primedonne del momento, obiettivamente, ci si aspetterebbe di più).
La cantante di casa, Barbara Frittoli si è dimostrata il miglior elemento del cast. La voce, di timbro piacevole e ben emessa, si piega ad una resa del personaggio (cavallo di battaglia del soprano) molto coinvolgente. L'unico appunto si potrebbe fare su qualche grave leggermente traballante, ma la prestazione resta comunque splendida (e in miglioramento rispetto alla comunque ottima prova offerta nell'HD dal Met, sempre in Donna Elvira).
Zerlina (Anna Prohaska) è stata decisamente la peggiore della serata. Batti, batti insipido e Vedrai carino pieno di errori: intonazione, gravi sguaiati, acuti metallici, recitativi parlati... Non ci siamo proprio...
Vocalmente molto buono il Don Giovanni di Peter Mattei che sfoggia una voce bella e calda e una buona emissione. La dizione è corretta e solo nella travolgente Fin ch'han dal vino perde leggermente il filo del discorso. Peccato però che il suo Don sembri poco un diabolico seduttore e molto di più un bonaccione, un Figaro rossiniano. Ciò nonostante i copiosi applausi ricevuti sono stati più che meritati.
Terfel, presta a Leporello una voce arida di colori, a tratti con suoni fissi, e la definizione del personaggio non mi convince del tutto (ma forse la colpa non è del tutto sua). Ricordo sue interpretazioni precedenti più di mio gusto: forse Mozart non rientra più nel suo repertorio ideale.
Masetto (Štefan Kocán), pur meno disastroso, è degno compagno dell'amata Zerlina. Dovrebbe essere un GIOVANE sposo, non un'orco con voce cavernosa.
Giuseppe Filianoti fatica enormenente nei panni di Don Ottavio. La voce è tirata, gli acuti  sono rigidi e fibrosi e l'intonazione sembra un miraggio; mancano la nobilà e l'eleganza del personaggio. Se Dalla sua pace non brilla per intensità, Il mio tesoro è un vero e propro calvario. A sua parziale discolpa va detto che Baremboim adotta adotta un tempo forsennato che lo manda letteralmente in crisi nelle agilità.  
Molto buono, infine, il Commendatore di Kwangchul Youn.
Baremboim arriva in fondo abbastanza bene, ma con scarsissima ispirazione.

Per concludere, una piccola considerazione: la Scala si fregia, a torto o a ragione, di essere il più grande teatro d'opera al mondo. Quindi, l'inaugurazione della sua stagione dovrebbe portare in scena quanto di meglio offra il panorama operistico contemporaneo. Servono le grandi voci, una grande bacchetta, coro e orchestra tirati a lucido e un titolo che possa consentire agli interpreti di mettere in mostra il meglio di se. Stasera è successo questo? Non credo. Il titolo scelto non dimostra eccessiva fantasia (anche perché si è visto alla Scala poco più di un anno fa, se non sbaglio), ma non si può negare la presa che quest'opera ha sul pubblico. Abbiamo avuto una primadonna di grido, che forse, però, non è stata impiegata nel suo ruolo migliore ( in quel caso ci sarebbe voluta una scelta più "coraggiosa" e originale; ad esempio Iolanta...). Stesso discorso vale per il direttore. Si dirà che in origine era prevista un'altra opera (la Netrebko, anni fa, aveva firmato per Lucia di Lammermoor, salvo poi toglierla dal proprio repertorio), ma, visto che comunque per allestire questa non si è certo andati al risparmio, non si poteva fare qualcosa di meglio? E' quindi l'evento "prima alla Scala" ridotto alla sola mondanità? L'obiettivo non è più mostrare il teatro al massimo del suo splendore? E' questo il meglio possibile per la Scala? Io non credo proprio. Poche settimane fa sono stata alla Scala e ho assistito ad uno spettacolo che su queste pagine ho definito storico. QUELLO era un evento! Se ci si è riusciti in novembre, perché a dicembre è impossibile? Visto che le possibilità ci sono si poteva e si DOVEVA fare di meglio. 
Resta l'amaro in bocca.

giovedì 17 novembre 2011

Una voce poco fa: Ah qual colpo inaspettato. Atto secondo



A me la parte goliardica, adesso! Uno spettacolo che si rispetti, con noi in sala, non può, non POTREBBE essere serio, mai e poi mai.
Un rapido appunto tecnico (e spero di concludere qui la parte noiosa): dalla mia posizione, non vedevo metà del palco, quindi possono essermi sfuggiti particolari significativi. Comunque il materiale a mia disposizione abbonda.
Anzitutto, l’allestimento. Ormai è talmente difficile trovare un allestimento di senso compiuto che mi sono quasi venute le lacrime agli occhi quando ho visto un semicerchio a logge rischiarate da quattro o cinque lampadari che pendevano dal soffitto. A seconda delle necessità, poi, il semicerchio si apriva a metà e lasciava intravedere scorci alpini vari ed eventuali.
Il punto è che i lampadari, di cristallo, sarebbero stati carini se non fossero stati tanti. Così assumevano un aspetto kitsch che fa gridare allo scandalo in una reggia.
Confesso ora di non capire a cosa servisse che, su questi loggiati, si muovessero i doppi dei protagonisti. Ormai la moda del doppio impazza e a noi non resta che sorbircela...
Il coro. Finalmente questi poveri coristi non sono stati conciati in modi bislacchi, ma vestivano eleganti frac e abiti da sera. In particolare, mi sono innamorata di un vestito verde acqua di uno dei contralti, che da lontano pareva essere di velluto. Poi, però, compaiono sulla scena i protagonisti, abbigliati in tutt’altro stile, che non saprei attribuire a un’epoca precisa ma in deciso contrasto con l’abbigliamento del coro. La scelta di vestire gli uni in un modo e gli altri in un altro, per quanto i vestiti fossero belli e curati, non mi è piaciuta; in effetti, ci stava come i cavoli a merenda...
L’altra cosa che mi ha messo ansia è stata proprio all’inizio dello spettacolo, quando il coro si presenta in scena vestito come abbiamo detto e con dei calici in mano.
«Ho sbagliato opera!» ho pensato. «Adesso attaccano il brindisi della Traviata! Numi, pietà!»
No, niente Traviata, il Gioak per una volta ha avuto la meglio sul compositore preferito e sull’opera preferita di oggigiorno...
I cantanti. La parte tecnica è stata esaurientemente dibattuta da Aspasia, io mi occupo delle questioni collaterali (di quelle che Petrarca definirebbe nugae, cioè bazzecole). Vorrei solo puntualizzare che, dopo quest’assaggio di vocalità rossiniana, siamo apposto con le voci fino alla prossima generazione, perché i migliori erano tutti scherati lì per noi.
Partiamo con... le scarpe di Florez. Il nostro passerà alla storia per tante belle qualità, ma non per innalzare la soglia di altezza del tenore medio, visto che calzava un paio di stivali con palese rialzo (la moda dei tacchi lanciata da Luigi XIV, ometto piccino checché possa parere dai quadri, non è stata dimenticata). La cosa ancora più triste era che la Barcellona, le cui calzature erano rasoterra, era comunque più alta di lui. Il trucco permette guadagno fino ad un certo punto...
Proseguiamo con... le minacce di Florez (poi con te ho finito, povero...). Qui prendiamo le mosse un po’ da lontano, perché le disquisizioni mie e di Aspasia sul suo modo affatto convincente di minacciare sono iniziate dai tempi di gloria degli ormai mitici Puritani di Bologna (anno di grazia 2009), che prima ci siamo gustate dalla registrazione dalla radio e poi, già che amiamo perseverare, dal DVD completo. Ciò che era emerso dall’audio (e che il video ha confermato) è che il nostro non sa minacciare, gli manca lo stampo. Un tenore che minaccia è di per sé ridicolo, per moltissime ragioni: in primis, di solito si accapiglia con un baritono/basso che lo sovrasta di tutta la testa e quindi la faccenda assume un risvolto tragi-comico. In secundis, i tenori sono i personaggi eroici per definizione, quindi è facile che vogliano strafare e che finiscano male. Insomma, all’ascoltatore non resta che gridare “Togliete la spada di mano a quel pazzo!”
Nella Donna del lago, per fortuna, nulla di tutto questo accade. Terzetto del secondo atto: il Diego stavolta ci era sembrato scatenato sul serio, a differenza dei Puritani. La spiegazione è semplice: stavolta un tenore si scontra con... un altro tenore, cioè Florez si scontra con Osborn. Diciamo la verità, il Diego sapeva già che se lo sarebbe mangiato con tutta la spada, che quando c’è in giro lui tutti gli altri tenori si dileguano! In effetti, il nostro era talmente lanciato che, allontanandosi per duellare con lo sfidante (per una volta alla sua altezza), ha fatto anche un gesto imperioso e spazientito.
Finito col primouomo, passiamo al Vero Uomo, la Barcellona, con tanto di corazza, ormai suo simbolo distintivo (benché sia stata annunciata come Rosina a Trieste, l’anno prossimo). Non si sa bene perché, ma nell’ultima scena compare sul palco con tutt’altra divisa, in frac, come Douglas, evidentemente per appaiarli col coro, ma la domanda è: perché? Poverina, se sono talmente abituata alla corazza da poter dire che le dona, così conciata era ridicola! Non si possono fare cose del genere, soprattutto senza alcun motivo apparente... E domandare spiegazioni a un regista mi ha sempre messo addosso una certa ansia, sarà che sono prevenuta...


P. S. So che in questa foto sembra minuta, ma in realtà non è vero.

Dovrebbe essere finita qui, e invece no, perché vorrei soffermarmi su una certa voce, che pretendeva che in sala ci fossero degli autoparlanti e che gli applausi e i “Bravo!” fossero precedentemente registrati. SMENTISCO! Testimonio che io non ho visto niente del genere e non per il fatto che sono palesemente venduta a Florez e che perciò ho gli occhi foderati di prosciutto e non ho visto per non vedere (anche perché, da brava ingorda, quel prosciutto piuttosto che metterlo sugli occhi lo metterei nello stomaco). Non li ho visti perché, ovviamente, non c’erano. E poi, diciamola tutta! Chi può pensare a sangue freddo un «Sei splendido!» per una registrazione? Queste sono cose che si fanno per ispirazione del momento, sono impensabili senza una vera emozione di sostrato, come dimostra la trasfigurazione del tranquillo pensionato in un tifoso d’assalto allo stadio (scusate il paragone blasfemo, ma rende il concetto).

Dovrebbe essere di nuovo finita qui, e invece no, perché dopo quella serata io e Aspasia avevamo un giorno intero da passare in gozzoviglie, per cui ci sarà una quarta parte, con (Udite, tutti udite! Le orecchie spalancate!) la recensione di una pseudo-biografia di Mozart (poi giustificherò lo "pseudo") che ho avuto la malaugurata idea di comprare. Dopotutto, da quando abbiamo aperto il blog abbiamo parlato praticamente solo del Gioak. È ora che il nostro compositore preferito si faccia sentire...

martedì 15 novembre 2011

Una voce poco fa: Ah, qual colpo inaspettato! (Milano, 8-9 Novembre 2011). Primo atto





Ancora rapita e in estasi dopo aver presenziato alla rappresentazione di martedì 8 novembre de La donna del lago mi accingo a riportare alcune mie impressioni. 
A dirla tutta, lasciata la parte ludica ad Armida, mi sono ritrovata con quella più difficile. Infatti quando le cose vanno male le dita sembrano andare da sole sulla tastiera. Quando invece è stato (quasi) tutto positivo, la fantasia va a farsi friggere, quindi scusatemi se sarò noiosa ;).
Parlavo di serata positiva. Beh, la definizione "positiva" è infinitamente lontana dalla realtà. Potrei insultarmi da sola per la sua scarsissima efficacia. In realtà la serata è stata semplicemente straordinaria: tutt'altro che una recita qualsiasi di una produzione qualsiasi. Credo che in molti, a teatro, quella sera, si siano resi conto di star assistendo ad un momento storico. Chissà. Magari fra 20 o 30 anni noi presenti racconteremo di quelle recite come fanno adesso quelli che parlano di spettacoli leggendari, con la Callas, o Pavarotti, o altri miti. Lo so che molti non concorderanno con queste mie affermazioni ribattendo col solito "non si canta più come una volta", "i bei tempi sono passati", "l'opera è morta" o altre frasi del genere, ma per me la sera dell'8 novembre è stata la prova che l'opera, pur coi suoi problemi, è ancora viva e in grado di fornirci momenti di pura estasi artistica (senti come scrivo stasera XD).
Veniamo finalmente a quello che più ci interessa: le voci.


Il ruolo di Elena è stato ricoperto da Joyce DiDonato. Se devo dire la verità, a me non convince tanto la recente abitudine di affidare i ruoli che Rossini ha scritto per Isabella Colbran a dei mezzosoprani. La scrittura piuttosto centrale della parte effettivamente sembra lasciare spazio a questo tipo di scelta perché effettivamente le note scritte da Rossini sono fattibili per dei mezzi, ma si corrono diversi rischi: il mezzo in questione potrebbe voler "fare il soprano", forzano quindi il proprio strumento, oppure potrebbe finire per assomigliare troppo a Malcon (personaggio maschile, creato però per una voce di mezzosoprano) e quindi avere in scena dei doppio (una coppia di innamorati, per giunta). Effettivamente, nonostante la Rossini renaissance abbia fatto molto per definire la prassi esecutiva del pesarese, la vocalità adatta a risolvere le parti scritte per la Colbran sembra ancora un punto irrisolto. Dall'alto della mia infinita sapienza musicale (ridete pure, io lo sto facendo), io certamente opterei per un soprano. Non un soprano leggero puro, Elena infatti non si può risolvere solo con variazioni sovracute e puntature. Certo, gli acuti ci stanno bene, soprattutto nel rondò finale, che trarrebbe grande giovamento espressivo da dei "fuochi d'artificio" ben emessi, ma non sono l'unica caratteristica necessaria. Se si può fare a meno di un grave corposo, è invece necessario un cento abbastanza sonoro e di bel colore. Non dovrebbero, inoltre, mancare le agilità (anche in zona centrale). 
Niente di più facile XD. Se ripensiamo ad interpreti passate di Elena, noteremo che a tutte manca sempre qualcosa: alla Caballè i sovracuti, alla Devia i centri (anche se, vista la scrittura della parte, trovo la Caballè, teoricamente, più adeguata). Volendo fare un po' la passatista, forse la Sutherland avrebbe trovato la quadratura del cerchio, ma purtroppo non lo sapremo mai. Quindi non discuto le doti della DiDonato in quanto cantante, ma chi le propone certi ruoli. 






Prescindendo da queste considerazioni (mi sono accorta di aver scritto un poema) devo dire che Joyce ha chiaramente dimostrato di meritare la considerazione che ha attualmente nel mondo dell'opera. Fraseggio accurato e sentito, agilità pulite, estremo acuto che ogni tanto pare al limite e fa sentire la "fibra della voce " (e qui torna il discorso del mezzo che "vuole fare" il soprano), ma comunque efficace, bei centri e voce che corre molto bene. Al terminde del rondò finale le viene tributato un sonorissimo applauso più che meritato (anche se, volendo cercare proprio il pelo nell'uovo di una serata eccellente, devo dice che io non ho gradito particolarmente la cadenza posta tra la fine di Tanti affetti e l'inizio di Tra il padre: quella sequenza di trilli era proprio bruttina e fuori contesto).
Daniela Barcellona (Malcom), annunciata indisposta (ma si faticava a notarlo, se non in alcuni passaggi in cui la voce perdeva un po' di vigore e alcune prese di fiato, che parevano affannose) ha ricoperto splendidamente il ruolo del cavaliere innamorato di Elena: coraggioso e appassionato ma delicato, il suo Malcom si è espresso mediante un timbro caldo e fascinoso, un'ottima coloratura, con padronanza su tutta l'estensione e accento partecipe: una prestazione da incorniciare.
Sul nostro amatissimo Juan Diego potrei iniziare un panegirico di proporzioni mastodontiche, ma siccome sono magnanima e non voglio tediavi vi dirò semplicemente una cosa: per come l'ha cantata quella sera, la parte di Giacomo V sembra una passeggiata. Dopo O fiamma soave si è scatenato un delirio di applausi e grida di "Bravo". Uno spettatore, dotato di voce molto ben proiettata, ha svettato sulla massa con uno stentoreo "sei splendido!" Non posso fare a meno che concordare.




Diverso il discorso per John Osborn (Rodrigo), il quale ci ha fatto percepire quanto il suo ruolo fosse difficile: l'estensione non gli manca, anche se i sovracuti si stimbrano e spesso sono imprecisi e in odore di falsettone (il confronto con Florez nel terzetto del secondo atto è impietoso). Nel tentativo di darsi un maggiore peso drammatico forza eccessivamente la sua voce di natura sostanzialmente leggera con il risultato di renderla traballante in alcune frasi centrali. Nonostante questo tratteggia encomiabilmente il personaggio e, pur un  gradino sotto ai tre colleghi precedentemente citati, offre una performance di livello assoluto. 
Il Douglas di Simon Orfilia, pur senza particolari errori (salvo alcuni transitori problemi di intonazione), è positivo, ma non lascia il segno. Benché canti Rossini con una certa frequenza e da qualche anno, da la sensazione che il Cigno non sia il suo forte.
Josè Maria Lo Monaco, che in altri teatri ricopre ruoli da protagonista, è un'Albina di lusso.
Buoni Jaeheui Kwon (Serano, che migliora nettamente rispetto alla disastrosa prima) e Jihan Shin.
Roberto Abbado dirige con mestiere e buon gusto, ma la sua non è un'interpretazione che ci ha fatto saltare sulla sedia.
Coro e orchestra, mi spiace dirlo, per niente all'altezza della compagnia di canto. Per quanto riguarda l'orchestra, gli elementi peggiori sono stati i fiati, segnatamente gli ottoni, che in più di un'occasione hanno "spernacchiato"; il coro (in particolare le sezioni maschili) ha avuto un rendimenti discontinuo, alternando passaggi suggestivi a momenti censurabili e del tutto inadeguati all'autore che stavano cantando.

domenica 13 novembre 2011

Una voce poco fa: Ah, qual colpo inaspettato! (Milano, 8-9 Novembre 2011). Antefatto




Quest’operazione, come avrete notato, non è intitolata con un nome in codice come le precedenti, ma ciò non è dovuto a una improvvisa mancanza di fantasia, ma a un fatto semplicissimo: io, in tutto questo (come in molto altro...), non avrei dovuto centrare un tubo.
Il piano originario prevedeva che Aspasia si recasse alla Scala in compagnia di sua madre e che io restassi a casa a fare la calza e trepidare per la sugosa cronistoria al loro ritorno. Invece, per cause di forza maggiore, è stata necessaria una sostituzione dell’ultimo minuto... e quando dico ultimo minuto, intendo proprio ultimo minuto, cioè le sette di sera di Lunedì 7, con la partenza fissata alle dieci di mattina di Martedì 8.
«Miserere!» ho pensato, dopo che Aspasia, al telefono, mi aveva spiegato il corso degli eventi, «Niente di pronto, non ho neanche un vestito da sera invernale! La valigia sarà in chissà quale nicchia del garage! Adesso sono via, prima delle nove non sarò a casa! E domani mattina dovrei trovarmi in stazione bella e pronta? Santa Radegonda! Come posso dire di sì?»
«Accetto» ho risposto invece, convinta come don Camillo quando, appena tornato dalla Russia dove si era recato sotto mentite spoglie, deve ripartire per l'America su richiesta del vescovo.
Figurarsi se avessi risposto di no: le partenze all’ultimo, gli imprevisti, i colpi di scena sono il mio mestiere, pazienza per i bagagli da preparare e il vestito da comprare! Non mi scompongo per lo scompiglio, semmai lo incoraggio.
Caso voleva che fossi in un centro commerciale e che avessi davanti a me valanghe di vestitini graziosi... Ho fatto talmente in fretta a trovarne uno che ho mi è avanzato tempo anche per un bel paio di scarpe.

PRONTI, PARTENZA, VIA! Martedì 8 Novembre dell’anno di grazia 2011, siamo puntualmente partite alla volta di Milano coi potenti mezzi Trenitalia.
L’albergo. Bel posticino, in sito centrale ma non trafficato: il quartiere era talmente carino che ruminavamo fra noi «WOW! Non sembra nemmeno Milano!» Né io né Aspasia siamo patite di quella grigia città (benché un insistente coniglio che pubblicizzava un insipido risotto allo zafferano e affisso ad ogni cantone ostendesse il piatto esclamando “E poi dicono che Milano è grigia!”), quindi l’esclamazione tornava ad onore della via.








Il centro. Riposte le valige, fuori a far baldoria! Foto d’uopo davanti al manifesto affisso fuori dalla Scala, guardando intorno semmai uno dei nostri eroi avesse la sciagurata idea di incrociare la nostra strada, arpionarlo per un autografo e dimostrare al malcapitato cosa possono essere due fans isteriche, perlustrazione di Piazza Duomo e giretto per la Rinascente, centro commerciale d’impianto simile all’Harrods di estiva memoria, un po’ meno kitsch e con tanto di dolci carissimi e bellissimi all’ultimo piano (c’erano anche delle invitanti scarpe tacco dodici e borsetta coordinata al cioccolato. La stessa idea l’hanno avuta a Venezia col Murano, ma preferisco la variante milanese...). Uscite da lì e proseguendo sotto il portico, ci siamo imbattute in una via che non avremmo mai creduto di trovare, dedicata a una santa che credevo dimenticata e che, suo malgrado, è diventata la patrona di questo blog:


Aggiungendo che vicino all’albergo c’era poi quest’altra via, di un altro santo altrettanto famoso:


siamo giunte alla conclusione che i Milanesi condividono la mia stessa predilezione per i santi bizzarri.
Tempo scaduto! Rientro in albergo per i grandi preparativi. Due primedonne hanno bisogno della debita calma per prepararsi a dovere:

Qual mattutina stella
bella vogl’io brillare,
del crin le molli anella
mi giova ad aggraziar.

Onde evitare incresciosi incidenti coi tacchi e non arrivare a teatro provate come se avessimo scalato l’Everest, abbiamo chiamato un taxi. Avrei omesso questa notizia se il nome del taxi non fosse stato rilevante: Lima, altamente evocativo visto che alla Scala ci attendeva nientemeno che l’adorato Juan Diego. Con l’intercessione della nostra patrona e l’approvazione del Perù, la serata, che prometteva bene di suo, sarebbe andata a gonfie vele.
Palco, il secondo del quart’ordine. Arriviamo, salutiamo le due signore olandesi nostre vicine, ci immortaliamo sul luogo del misfatto e ci sediamo, Aspasia davanti e io dietro. Mi alzo di scatto: dal mio posto non si vedeva che un lembo estremo del sipario...

Mi sovvenne, emergendo dalle nebbie del tempo, la bella Salisburgo, il Festspiele di due anni fa, in cui trovammo i posti per miracolo, ma per disgrazia erano posti in piedi. Non eravamo provviste nemmeno di un comodo puff su cui accomodarci per dare breve sollievo ai piedi costretti nelle scarpe coi tacchi...
A spettacolo concluso, avevamo avuto bisogno di una rigenerante
Coca Cola per riprenderci (non mi interessa di quello che ne pensano i salutisti: è stata un vero toccasana e la ricorderò con amore finché non scoprirò con che intrugli la preparano) e ancora non sapevamo che l’ultimo autobus era già passato e dovevamo tornare in ostello a piedi, alle undici e mezza della sera, in riva all’umida Salzach.
Lato positivo: avevamo sentito il Luca dal vivo. Ad avercelo chiesto, l’avremmo rifatto. Il Luca val bene una Salzach.

Ecco accontentato, due anni dopo, il mio spirito d’abnegazione. Guardavo il mio piccolo sgabello che sembrava ancora più piccolo e ancora più sgabello in considerazione delle tre ore di opera che avevamo davanti a noi. Il comodo soglio di Aspasia mi sembrava ancora più comodo e ancora più soglio...
In ogni cosa ci vuol filosofia, sosteneva don Alfonso, personaggio antipatico quant’altri mai ma che alla fine ha ragione. Hai ragione due volte, caro don: sono alla Scala, c’è Florez, c’è la DiDonato, c’è la Barcellona (che è quasi nostra vicina di casa, visto che abita a Trieste) e c’è il Gioak. Fosse stato Verdi, ti saresti potuta ben lamentare, ma, mettendola su questo piano, vuoi guastarti la festa per un insulso sgabello (foderato con un delizioso raso rosso, che mi sarei volentieri portata a casa per le sedie del soggiorno: il Rosso Scala fa sempre effetto)?
Chissenefrega, come disse la Scotto: il Diego val bene uno scranno!

NELLA PROSSIMA PUNTATA: la recensione della serata.

giovedì 27 ottobre 2011

Il grammofono: La donna del lago

Visto e considerato che avrò occasione di assistere dal vivo a questo spettacolo, recensire accuratamente la diretta radiofonica mi pare poco sensato, quindi vi riporterò solo alcune impressioni risultanti dall'ascolto di ieri sera.

Partiamo da un dato non strettamente legato alla singola esecuzione: la musica di Rossini.
Purtroppo La donna del lago è una composizione che si vede abbastanza raramente in scena, rispetto ad altri lavori del pesarese. Un peccato!
Forse il libretto non sarà dei più ispirati (il buon vecchio Tottola non era proprio un fenomeno come librettista) e questo va a discapito della teatralità del dramma, ma il Gioak supplisce con una musica altamente ispirata che, a mio avviso, meriterebbe di essere sentita più spesso (magari al posto dell'ennesima, inutile Traviata XD ).


Tornando un attimo al libretto (tratto da Walter Scott), devo dire che la risoluzione della vicenda mi lascia un po' scontenta. Infatti la protagonista Elena non è contesa da due uomini (il solito dualismo baritono tenore, in cui di solito è quest'ultimo ad avere la meglio) ma addirittura da tre, due tenori e un contralto en travesti: Rodrigo (John Osborn), il promesso sposo di Elena,  Malcom (Daniela Barcellona), l'amante della protagonista e Uberto (Juan Diego Florez) che dovrebbe essere un nemico per questioni politiche, ma anch'egli innamorato di Elena.
Ora. Mentre Rodrigo da subito riesce ampiamente antipatico e viene subito accantonato come trionfatore nel cuore di Elena (onde evitare un bel finale stile Lucia di Lammermoor), per come la sento io, musica e libretto sembrano nettamente volgere ad un prevalere di Uberto, che pare riamato dalla bella protagonista. Invece il finale ci lascia spiazzati perché Uberto, che poi si scopre essere il re Giacomo V di Scozia, dopo aver fatto di tutto per l'amata, liberandone addirittura il padre, condannato per tradimento, viene bellamente snobbato da Elena, che gli preferisce Malcom. Per cui ci ritroviamo ad ascoltare Elena che nel suo magnifico rondò conclusivo esprime la sua gioia per una felice risoluzione della vicenda, mentre noi (o almeno, io) nel frattempo restiamo amareggiati per il re, che alla fine viene fregato dal contralto XD (chissà quante generazioni di baritoni saranno morti d'invidia nei confronti di questo contralto che è riuscita dove loro hanno sempre avuto la peggio)!
Potrà sembrarvi un accostamento assurdo, ma a me questo finale ricorda incredibilmente quello della Clemenza di Tito Mozartiana in cui Tito perdona tutti e alla fine si ritrova solo (anche se il libretto di Mazzolà, tratto da Metastasio, si presta a varie interpretazioni, per cui più di un regista ha fatto in modo che risultasse che alla fine Vitellia preferisse l'imperatore a Sesto). Diciamoci la verità: chi di voi, ascoltano l'opera, non ha provato un po' di pena per il povero re?! :).


Andando brevissimamente all'esecuzione di ieri sera direi che i protagonisti si sono tutti comportati decisamente bene, salvo Osborn, che mi ha lasciata poco convinta a causa di una voce bruttina e, nel occasione, non molto ben emessa. Non mi ha convinta nemmeno Orfilia (Douglas, il padre di Elena), che pare essere anniluce lontano da Rossini. Malissimo Kwon (Serano), che doveva cantare dieci note e ne avrà indovinate due. Buono il coro, anche se con alcune sbavature, e bene anche la direzione di Roberto Abbado, anche se non ha brillato per originalità.

mercoledì 26 ottobre 2011

Per lui che adoro: Waiting for La donna del lago (e che waiting!)

Stasera, su Radio3, in diretta nientemeno che dalla Scala, il nostro adorato Juan Diego si cimenterà nella Donna del lago del Gioak.
Ecco un breve assaggio di quello che ci aspetta (la registrazione è quella di Pesaro con la Devia). Come noterete dopo la prima foto sobria, il nostro tenore preferito quando vuole non è affatto serio. Ringrazio Google immagini per la gentile collaborazione.



A stasera!