Nel post di ieri avevo detto che avremmo commemorato la dipartita Giuseppe Verdi in un'occasione diversa dalla rubrica MTV che, causa concomitante celebrazione per l'anniversario del genetliaco mozartiano, non poteva essere decentemente ricordata in quel frangente. E dunque, ho pensato di fare qualcosa di diverso e, avendo trovato questo articolo sui funerali del "cigno di Busseto" pubblicato a pochi giorni dalla sua scomparsa, ho deciso di postarlo in questo blog, senza farmi mancare un botto finale.
Nel numero scorso abbiamo detto come nel suo testamento venerdì avesse prescritto che il trasporto della sua salma al cimitero-dovunque egli esaltasse l’estremo sospiro – dovesse avvenire nelle forme più modeste, senza alcuna pompa, senza musiche, senza bandiere, senza fiori. «Io sono orso» egli scriveva ad una signora nelle 1852 raccomandando certo suo allievo: e infatti rifuggiva dagli onori come la gente dai monatti al tempo della peste descritta dal Manzoni, ed era nemico della ad «reclame».
Nello stesso ’52 scriveva a C. Borsi inorridito all’idea d’una certa decorazione che forse lo stesso sig. Borsi voleva fargli ottenere.
«Sono orso, orso…»; Ma in realtà con gli intimi era espansivo e spesso anche gaio. Nato modesto aveva voluto rimanere sempre tale, ed era la modestia della superiorità, della vera grandezza.
Le sue disposizioni furono rigorosamente rispettate, ma egli non poteva però impedire che il popolo italiano, dovunque egli morisse, ne seguisse la bara fino all’estrema dimora. Vero è che nell’evidente intenzione di impedire anche questo egli comandò che le funebri esequie si celebrasse lo all’alba od a notte, ma chi non avrebbe sopportato volentieri l’incomodo dell’ora?
Una grandiosità, un’imponenza senza esempio. Chi non era nelle vie di Milano all’alba di mercoledì della settimana scorsa non può immaginare lo spettacolo ch’esse presentavano. Un’ora prima di quella fissata per il trasporto, nei quartieri lontani, dalle vie più remote, da ogni vicolo, da ogni casa sbucava la gente affrettandosi verso l’«hotel Milano» o disponendosi lungo il percorso del corteo per fare onore al morto glorioso. Il cielo era grigio e di lampioni in giro ancora accesi. Pareva che qualche forza misteriosa avesse cacciato tutti gli abitanti dei loro letti e così eccezionale movimento non un grido, non i soliti rumorosi a pelli, chè tutti sembravano compresi della tristezza della cerimonia a cui spontaneamente intendevano prendere parte.V’ha chi ha calcolato seguissero o attendessero lungo le vie il feretro ben centomila persone. Forse sono troppe, forse sono poche: certo all’infuori dei bimbi dei malati nessuno rimase in casa. Funebri degni di Re: del Re dell’armonia, del sovrano dell’arte dolcissima che parla un linguaggio che tutti comprendano perché penetra in tutte le menti, perché commuovere tutti i cuori.
12 sacerdoti si recarono avanti le sette a benedire la salma dorata all’Hotel Milan, di dove essa fu poscia condotta nella chiesetta di San Francesco da Paola. Presso l’altare maggiore sorgeva un catafalco basso e modesto: lo stesso in uso per i funerali comuni. Di fuori, su la facciata della chiesa leggevasi: «Pace-all’anima-di-Giuseppe Verdi-». Dopo l’aspersione e qualche prece, la bara fu deposta su di un carro di seconda classe a due cavalli, e… Cominciò l’apoteosi. Davanti, lungo i fianchi e dietro il carro accomunati dal dolore camminavano signore e donnette, stabilità dell’aristocrazia, dell’arte, della finanza e operai in giacchetta, studenti universitari cui tradizionali berretti e bambini, sacerdoti e soldati, cilindri e cappellacci pellicce e bluse: tutta Milano, tutta l’Italia, tutto il mondo. Fanteria e cavalleria in arme duravano fatica a contenere quell’oceano di teste per impedire disgrazie, e vi furono momenti d’orgasmo, e presso il Cimitero poco mancò che le stesse truppe andassero travolte dall’irrompere della folla smaniosa di accompagnare infine sulla fossa la salma dell’uomo che più onorava l’Italia e l’ingegno umano.
Il corteo percorse via Manzoni, piazza Cavour, via mani in, i bastioni di Porta Nuova, quelli di Porta Garibaldi fino al viale del cimitero Monumentale. Lo spettacolo che presentavano i bastioni, in qualche punto sollevati sulla via incassata fra essi, non si descrive. Soltanto su ora i bastioni attendevano da due ore decine di migliaia di persone. E il carro passava lentamente, avvolto nella nebbia mattinale, assumendo co’ suoi pennacchi e le gale un aspetto fantastico; e dietro camminavano urtandosi, sospingendosi altre decine di migliaia di uomini e di donne basso per la tristezza della funzione e dell’ora. L’insieme faceva pensare, chi sa perché, ai drammi di Shakespeare.
La salma calò nella fossa con l’aiuto di argani, mentre intorno talune donne piangevano. Verdi fu seppellito nel reparto IV, Zona I, accanto ai resti della moglie Strepponi, in attesa della legge, teste approvata dal Parlamento, che autorizzi il trasporto della salma nella «Casa di riposo per i musicisti».
Subito cominciò in pellegrinaggio del popolo al camposanto per vedere la modesta tomba circondata da poche pianticelle: e il pellegrinaggio continua e continuerà ancora fin che duri la riconoscenza.
IL BOTTO FINALE: il Requiem cantato da Renata Scotto, Marilyn Horne, Luciano Pavarotti e Nicolai Ghiaurov, diretto da Claudio Abbado. Naturalmente, so che il Requiem era stato scritto da Verdi in memoria di Alessandro Manzoni, ma non credo di poter trovare niente di più adeguato alla circostanza.
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