lunedì 18 marzo 2013

Una voce poco fa: La Friulana cadente (Bologna, Der fliegende Holländer, 17 Marzo 2013)

Stavolta l'ho fatta grossa. E se lo dico io, che sono abituata a farne una più di Bertoldo, è vero.
La vostra intraprendente Armida, che se non ha qualcosa da fare se l'inventa (modestamente, sono una maga, no?), ha pensato bene di buscarsi la febbre a due giorni di distanza dalla rappresentazione del suo Der fliegende Holländer, e poco c'è mancato che si facesse saltare lo spettacolo.



Sono specialista in queste disavventure, perché l'opera va sofferta coi protagonisti e più dei protagonisti. L'anno scorso, idem con patate, mi è capitata un'antipatica febbriciattola giusto giusto fra l'Italiana in Algeri e Norma, che avevo prenotato a una settimana di distanza l'una dall'altra. Ho passato la settimana in questione stesa a letto, come un eroe del Metastasio, prendendomela con le stelle (ringrazio il Sandro nazionale per il gentile conforto). Sono guarita appena in tempo per invadere Torino, ma avevo avuto sei bei giorni per rimettermi in sesto, mentre nel caso recente ho dovuto fare miracoli per guarire.

Sono guarita e sono partita, trascinandomi dietro un raffreddore che Violetta me lo invidierebbe: se avete sentito un'anima prava tossire a volontà durante la recita, sapete a chi dare la colpa.
Evidentemente, l'unica che temeva di non riuscire ad arrivare all'opera ero io, perché, come sono scesa dal treno, mi sono trovata schierata davanti un assembramento di libri fenomenale, a partire dalla mia prima libreria, che è a pochi passi dalla stazione, per poi passare alla baracca di libri nella piazzetta retrostante, a seguire il mercatino dell'usato ai margini di via dell'Indipendenza, per finire con la mia seconda libreria: ciò significa che Bologna mi aspettava a braccia aperte.
Dopo la sfilata trionfalistica, c'è stato il momento di commozione. Non ho la lacrima facile, ma volevo mettermi a piangere dalla gioia quando sono arrivata davanti al Comunale - oppure, più armidamente, abbracciare una colonna, baciare il pavimento o trafugare un mattone (per ricordo). Ho deciso che bastava acquistare il programma di sala per avere la prova provata che IO C'ERO, a dispetto di tutto.

Che poi. Il programma di sala. Io non  me lo ricordavo quasi più, e forse l'avete dimenticato anche voi, ma l'ultima volta avevo fatto il mio appunto su come fosse graficamente peggiorato, con tutti quesi saggi uno in fila all'altro senza neanche un'immagine (siamo un po' frivoli, sì, ma anche nostalgici dei preogrammi dell'anno scorso). Ho avuto la sorpresa di constatare che stavolta siamo tornati più o meno ai livelli del passato, ciò che è stata una grossa sorpresa. Volete dirmi che qualcuno mi ha letta e, soprattutto, MI HA ASCOLTATA? Ma chi era? Rinaldo???

Adesso basta con le ciance, veniamo alle cose serie, ma sappiate che sono talmente felice di ciò che ho avuto l'onore e la fortuna di sentire che cercherò di fare un po' di sketch. Chiunque cerchi una recensione che rispetti i dogmi, mi dispiace, ma sarà deluso.
Vi devo anzitutto presentare i maestri cantori:
l'Olandese, Mark S. Doss
Senta, Anna Gabler
Daland, Mika Kares
Erik, Marcel Reijans
Mary, Monica Minarelli
Timoniere, Gabriele Mangione

Orchestra e Coro del Teatro Comunale
maestro del coro, Andrea Faidutti
direttore, Stefan Anton Reck
regia, Yannis Kokkos, ripresa da Stephan Grögler

Anzitutto, faccio i miei complimenti generali alla parte vocale, elogiando per primo (come è giusto che sia) il protagonista.
L'Olandese. Dunque. Mi voglio togliere un sassolino dalla scarpa, non per far dispetto al cantante ma al personaggio: quest'intrepido marinaio (MARINAIO. Non dovrebbe avere una donna in ogni porto? E nessuna gli ha serbato fedeltà? La domanda è: è colpa delle donne o dell'uomo? L'Olandese non ha mica un carattere facile! Sai che allegria, averlo per casa?) ha mai pensato che, se al posto di Senta gli fosse capitata Despina, la faccenda sarebbe finita in modo molto peggiore? Lì sì che c'era da perdere fiducia in tutte le donne del creato! Ma quando uno ha orgoglio e pregiudizio insieme sprechi solo tempo e fiato a rifilargli la Donna dell'Avvenire, come diceva Wagner: deve finire male per forza, soprattutto poi se la Donna dell'Avvenire non vede l'ora di morire per lui...
L'Olandese di Mark S. Doss è stato tratteggiato con splendida maestria ed eleganza, con toccanti punte di dolore (ad esempio, nel Primo Atto quando si rivolge all'angelo del Signore) ma senza rinunciare alla tensione nei momenti più concitati o quando rievoca le sue disgrazie.
Senta: riassumendo, bella voce e brutte scarpe. Estendendo, da lontano pareva trattarsi di brutti mocassini neri... cioè, no, scusate, dovevo parlare di ugole e non di piedi. Ma l'excursus è dedicato ad Aspasia che di scarpe se ne intende. ;) Bella voce, dicevo, e, dopo aver rilevato che non possedeva un impatto grandioso salvo negli acuti e che nella ballata si sono inframmezzati dei grossi respiri, tutto il resto va a suo onore e lode; all'ottima interpretazione si unisce poi una consapevole presenza scenica.
Ai due protagonosti si affianca un Daland (brav'uomo, questo, che pensa ai soldi e non ai quadri!) di spessore come quello propostoci da Mika Kares, che ha svolto molto bene la sua parte con una magnifica voce di basso e ben adoperata. Da apprezzare soprattutto nel duetto col protagonista.
L'Erik di Marcel Reijans si è portato sanza 'nfamia e sanza lodo in una parte che non suscita grandi simpatie, mentre assolutamente perlacea (in gergo barcaccesco) è stata la Mary di Monica Minarelli, al punto che abbiamo ringraziato di cuore Senta per averle tolto di bocca la ballata. Buona nonostante alcune incertezze è la riuscita del Timoniere Gabriele Mangione, cui era affidata questa simpatica particina.
La direzione affidata alla bacchetta di Stefan Anton Reck è stata molto apprezzata dal pubblico (stando agli applausi finali), ma io sarò il bastian contrario e dovrò dire che non mi è andata affatto a genio: a tratti noiosa, a tratti fastidiosa, e tutto sommato non eclatante.
(P. S. Alla signora che alla Traviata fu rapita in estasi dai "tamburi grandi": questa è l'opera per Lei. Se non ha ancora acquistato il biglietto, si affretti!!!)
La regia, d'allestimento essenziale con un bell'effetto d'onde sul pavimento del palco e uno specchio che rifletteva ciò che vi avveniva (e forse altre cose che la mia postazione mi impediva di vedere), è stata fedele al libretto, ma non ha portato nuovi spunti. Visti i tempi che corrono non ho intenzione di lamentarmi; mi limito a dire che, presa la direzione giusta, si poteva fare qualcosa di più.
Così si conclude, per ora, l'omaggio al festeggiato giusto. Devo dire che è valsa la pena compiere questo viaggio pur con tutti i miei acciacchi, povera vecchia.
Ci vediamo, con miglior salute, alla Norma il 21 Aprile!

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