Il recitativo percorre tutta la storia e la geografia dell'opera: musicalmente molto inferiore all'aria nel grande melodramma del '700 e dell'800, precede tuttavia e segue nel tempo e nello spazio la fioritura dell'aria stessa.
Il recitativo, veicolo del dramma, è, per questo, essenziale per il melodramma: per assurdo, un'opera eseguita senza recitativi diventa un concerto di arie, mentre i recitativi eseguiti senza arie sono comunque una pièce teatrale.
Fin dal '600 il recitativo, con la formula del recitar cantando, è alla base della monodia, contrapposta alla polifonia. Maturando l'aria, il recitativo diventa il pezzo di sutura tra le arie in forma di una specie di recitazione intonata sul modesto accompagnamento del basso continuo e serve a raccontare e rappresentare i fatti.
Nei secoli, pur cambiando nella forma, resta nella sua sostanziale funzione di narrazione.
Il recitativo del tardo '600 e del '700 è quasi sempre "secco": quando la partecipazione strumentale è minima e ridotta a qualche accordo (cembalo ed eventualmente chitarrone e violoncello) e la linea vocale ricalca il comune parlato. Talora il recitativo è "accompagnato": molto più mosso ed arioso dal punto di vista vocale e con l'orchestra impegnata.
Il recitativo secco è onnipresente nel comico e nel serio, mentre l'accompagnato è più raro e compare, prevalentemente nel serio, solo prima di qualche aria di grande importanza.
Nell'800 queste consuetudini si ribaltano e il recitativo accompagnato diventa di gran lunga preminente, passando poi a creare scene ampi con gran coinvolgimento di orchestra e personaggi, fino a non essere più nemmeno segnalato come recitativo, ma come un continuo di musica e canto che si adatta a tutte le situazioni.
Wagner "abolisce" le forme autonome tradizionali e non solo scompare il recitativo, ma con esso anche concetti come aria o duetto.
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