mercoledì 19 giugno 2013

Udite oh rustici: Norma secondo Cecilia Bartoli

Quando io ed Armida abbiamo aperto questo blog, fra le rubriche che ci eravamo ripromesse di tenere, c'era quella intitolata Udite oh rustici, in cui avremmo espresso le nostre opinioni sulle novità offerte dal mercato discografico. Poi però, anche a causa di una serie infinita di problemi tecnici (che hanno afflitto principalmente Armida,  infatti potrete notare che è da più di un mese e mezzo che non scrive, ma ha in serbo per voi dei succosi interventi) siamo state costrette a mettere da parte questa rubrica per poterci concentrare sulla stretta attualità e soprattutto sugli spettacoli che abbiamo visto dal vivo.
Ma oggi ho deciso che è finalmente giunto il momento di iniziare a scrivere di dischi, e quale miglior occasione, se non l'uscita dell'attesissima Norma con Cecilia Bartoli nel ruolo eponimo?



Partiamo da questo presupposto: io, Aspasia, non sono un'amante di Norma. La ascolto volentieri (purché non sia Verdi, va bene QUASI tutto), certi brani risiedono sul mio lettore mp3, ma per me non è un'opera mitica e da venerare come per altri (anche perché, a mio avviso, per molti questo mito è influenzato dal riflesso di un altro mito, una certa Maria Callas, di cui magari un giorno scriverò per esprimervi quello che io penso di lei, che differisce abbastanza dall'idea che ha di lei il melomane medio), e anche pensando alla sola produzione di Bellini, io trovo (PER IL MIO GUSTO) più interessanti Sonnambula e soprattutto Puritani (che per me sono il capolavoro di quel depresso del buon Vincenzo da Catania). A parte i miei gusti personali, però, ci tengo a ribadire che Norma è a tutti gli effetti una composizione di enorme importanza nella storia del melodramma e per questa ragione è stata affrontata dai più grandi cantanti e direttori, che hanno voluto dare il loro apporto alla storia dell'interpretazione di quest'opera. Molti soprani vedono il ruolo della sacerdotessa come il sogno di una vita. Per alcune è stato il coronamento di un percorso durato un'intera carriera (esempio recente ne è Mariella Devia), per altre un cavallo di battaglia e soprattutto l'emblema della propria arte (Maria Callas).
Norma è un ruolo "pericoloso", impervio vocalmente e tecnicamente, certo, ma forse ancora più arduo sul versante interpretativo, a causa delle drammatiche vicende che la protagonista si trova ad affrontare. Bellini fornisce tutti i mezzi per consentire all'interprete di Norma di esprimere il meglio delle sue qualità di cantante ed artista, e quindi di ottenere trionfi clamorosi (a patto di essere in grado di reggere come cantante e come attrice). Per questa ragione le primedonne di tutte le epoche sono state attirate da Norma come le api dal miele e anche una delle più applaudite dive contemporanee non si è sottratta a questa tradizione.
Non l'ha però voluto fare come le altre, cioè seguendo la tradizione; ha invece deciso di proporre una Norma innovativa, o meglio, stando a quello che si legge nelle presentazioni del disco, "Cecilia Bartoli incide Norma nel suo originale stile pre romantico" ovverosia cercando di "produrre" una Norma il più possibile vicina all'originale andato in scena per la prima volta il 26 dicembre 1831 alla Scala. Per ottenere questo risultato si avvale della collaborazione dell'orchestra La Scintilla, che suona strumenti "originali" con il diapason a 430 Hz (quindi circa un quarto di tono sotto rispetto a quello in uso attualmente, regolato a 440, quindi, per intenderci, il la che noi sentiamo in questa incisione è, in realtà, a metà strada tra un la e un la bemolle con l'accordatura a 440) e sfrutta una nuova edizione critica della partitura a cura di Giovanni Antonini (che dirige l'orchestra), Riccardo Minasi e Maurizio Biondi. Inoltra la parte di Adalgisa viene affidato ad un soprano e quello di Norma ad un (teorico) mezzosoprano.
Questo il cast: 
Cecilia Bartoli, Norma
Sumi Jo, Adalgisa
John Osborn, Pollione
Michele Pertusi, Oroveso
Liliana Nikiteanu, Clotilde
Reinaldo Macias, Flavio

Nelle note ci dicono che la prima Norma doveva essere più o meno così. Io di solito sostengo l'esecuzione filologica delle opere, soprattutto quando si tratta di riaperture di tagli ed esecuzione dei brani nella tonalità originale, ma certe volte ho la sensazione che con questo rigore filologico molti si facciano prendere la mano arrivando a compiere più pasticci di quanti non se ne facciano basandosi sulla tradizione...

Nel caso di questa Norma, credo che ci si sia fatti decisamente prendere la mano.

Passiamo al commento dell'incisione, così ho la possibilità di contestualizzare meglio le mie riflessioni.
Nell'ouverture notiamo nell'orchestra un suono secco, leggermente metallico, ma brillante. Per il mio gusto la direzione è un filino troppo veloce e difetta di maestosità. Una piccola nota a margine, sono io a sentire le voci, oppure ogni tanto si avverte Antonini respirare?
Arriviamo ad "Ite sul colle" e subito noto una cosa che mi disturba non poco. Ascoltando con un minimo di attenzione il coro, si denota come non ci sia amalgama, ma si riescano a distinguere le voci dei singoli coristi. Visto che in coro l'amalgama dovrebbe essere la prima necessità, capirete la mia stizza. Il problema, a mio avviso, non è tanto colpa dei coristi o del maestro che li ha preparati, quanto piuttosto di un utilizzo errato dei microfoni: una gran bella pecca per un disco registrato in studio. (Una volta le Decca non era celebre per la qualità delle sue incisioni? Mah...)
Entra in scena John Osborn e subito capiamo che Pollione sarà: un Polionino. Non dico che sembri una signorina o un fanciullo, ma di certo è ben lungi dal suonare come un virile guerriero. Per la sua voce sentirei meglio un Prendi l'anel ti dono che Meco all'altar di Venere: lo sento più adatto Elvino. D'altra parte, però, è decisamente positivo il fatto che Osborn sia un tenore che ben conosce le esigenze del belcanto, a contrario di molti altri tenori che l'hanno preceduto in questo ruolo: virili e con belle voci scure, ma carri armati in quanto ad agilità. Questa sua dimestichezza con la prassi belcantistica ci consente di sentire le agilità eseguite con cura e le variazioni di Me protegge, me difende sono molto belle ed efficaci. Come interprete Osborn va a fasi alterne, l'aria di sortita manca forse di un po' di trasporto passionale, ma è fraseggiata con un certo gusto, mentre soprattutto nel duetto con Adalgisa è incredibilmente piatto e noioso. Si riprende nel finale, dove trova i giusti accenti e il suo canto non manca di intensità.
Personalmente trovo la voce del tenore americano abbastanza brutta come timbro, con un suono "secco" che lascia trasparire la tensione provocata dallo sforzo soprattutto nel registro centro-acuto. Non è la voce che io preferisco per Pollione. Canta bene, ma non benissimo. Non convince a pieno come personaggio. La prova è sufficiente, ma niente di più.

A Norma è richiesto di fare il suo ingresso in scena con il brano più famoso dell'opera (e uno dei più celebri di tutto il repertorio), Casta diva, preceduto dal recitativo Sediziose voci. Cecilia Bartoli comincia male. Già dal recitativo notiamo qual è la cosa che di più manca a questa Norma: il contegno. Quando si diffusero le prime voci sull'intenzione della Bartoli di debuttare in questo ruolo subito fra gli appassionati si era iniziato a discutere animatamente sull'argomento. "Per Norma ci vuole un soprano", "la Bartoli è troppo leggera", "è solo un'operazione commerciale" erano le frasi che più andavano di moda tra gli scettici. Ora, sul fatto che questa sia un'operazione commerciale, penso non ci siano dubbi (anche perché, diciamocelo chiaramente, dubito che le case discografiche investano cifre consistenti per produrre dei cd solo in nome dell'arte o per sport, e questo vale non solo per questa Norma ma anche per tutto il resto della storia delle registrazione di musica operistica, grandi capolavori compresi), quindi mi pare un'appunto poco sensato. Che la Bartoli sia "leggera" rispetto alla vocalità che i più immaginano per la parte è una critica che io in linea di principio condivido, ma a sua discolpa si potrebbe dire che anche altre cantanti "leggere" (Sills, Devia, Gruberova, per fare qualche nome) lo hanno fatto, e, visto il suo stato di stella assoluta, questo tipo di "sfizio" le può essere concesso. Norma dovrebbe essere un soprano, è vero, ma lei non è il primo mezzo a tentare "l'impresa", Grace Bumbry e Shirley Verrett l'hanno preceduta di qualche decennio. Ma anche volendole condonare tutti questi rilievi, resta un problema: il contegno. Anche volendo prescindere dai dati squisitamente vocali, quello che più di tutto si evince da questa incisione (e che la tecnologia non può falsare in alcun modo) è che questa  Norma manca clamorosamente sul versante interpretativo. Non c'è l'accento, non c'è il contegno, non c'è la ieraticità che il personaggio richiedono. Lo notiamo fin dall'attacco di Sediziose voci. Non pare di trovarsi di fronte ad una sacerdotessa che impone la sua autorità. Inoltre (e questo non fa che peggiorare il quadro) si sente la mancanza di una voce di maggior peso drammatico: difetta in volume e in colore. Anche il registro grave, che dovrebbe essere il suo forte, trattandosi di un mezzosoprano, pare inadeguato.
Quando intona Casta Diva manca l'aura di sacralità che dovrebbe pervadere questo brano: dal tono e dal fraseggio che sceglie sembra piuttosto di trovarsi di fronte ad una ninna nanna... Francamente non sentivo la necessità di variare la seconda strofa, soprattutto se le varianti scelte sono così insignificanti e peggiorative.
Ah bello a me ritorna è una corsa fatta apposta per permettere alla diva di pavoneggiarsi. Non si spiega altrimenti la scelta di tempi troppo rapidi e l'inserimento a sproposito di variazioni che non saprei descrivere in altro modo se non brutte. Inoltre l'interpretazione è del tutto sbagliata. La cabaletta viene attaccata con una foga e degli accenti che sarebbero più consoni ad un'invettiva che a questo momento di riflessione (sul libretto le fresi di Norma vengono segnate tra parentesi) sull'amato. Sarebbe più corretto un tono languido piuttosto che questo frenetico starnazzare. Aggiungo che, nel tentativo di conferire drammaticità al fraseggio, la Bartoli si fa prendere la mano e si produce in accenti francamente grotteschi (questo vale anche per Fine al rito).
Mi prendo ora un piccolo spazio per una polemica. Come ho già detto, questa incisione si poneva l'obiettivo di fare Norma come doveva essere in origine.
E' noto fra gli appassionati che Casta Diva abbia subito un "aggiustamento" in corso d'opera. Infatti, prima della prima, Bellini, che aveva originariamente composto l'aria in sol maggiore, decise di abbassarla di un tono, passando al fa maggiore, per andare incontro alle necessità della primadonna (Giuditta Pasta). Questa trasposizione è entrata nella prassi e ancora oggi nella maggior parte dei casi si opta per il fa maggiore. Detto questo, quale tonalità ci si aspetterebbe in questa incisione? Chiunque dotato di un minimo di logica direbbe "sol maggiore", visto che così Bellini l'aveva immaginata. E invece no! La presunta Norma filologica, quella che doveva essere la vera Norma fa esattamente quello che hanno atto per secoli schiere di primedonne che la filologia non sapevano neanche cosa fosse! Capiamo che per la vocalità di un mezzosoprano il fa maggiore sia una tonalità più agevole da sostenere, ma allora la filologia la chiamiamo in causa solo quando ci torna utile? Oppure adesso è più filologico fare quello che si è eseguito alla prima rispetto a ciò che è stato originariamente scritto dall'autore? Tanto più che il cambio di tonalità non comporta solo una maggiore o minore "comodità" per la voce, ma anche un cambio di "atmosfera". Sulla carta un tono di differenza pare niente, ma proviamo ad ascoltare un'esecuzione in tonalità originale, e sentiremo una gran differenza. L'ascoltatore è più "abituato" al fa maggiore perché si tratta della tonalità più usata (anche dalla Callas), ma il sol maggiore (che io preferisco) conferisce alla pagina una suggestione del tutto diversa che, a mio avviso, si dovrebbe perlomeno conoscere. Concludo questa parentesi (che, ovviamente, mi è uscita molto più lunga del previsto) ricordando che il Casta Diva in sol maggiore non sarebbe affatto un'inedito, visto che altre cantanti hanno già eseguito l'aria in questa tonalità (andando a memoria citerei Joan Sutherland, Beverly Sills ed Edita Gruberova).
Tornando alla Norma in esame, la mancanza di drammaticità si nota anche nel finale del primo atto (e qui contribuiscono anche gli altri solisti e l'orchestra), che sembra un brano di opera buffa per meccanicità e mancanza di grandiosità. Stesso discorso vale anche per il finale, in cui la Bartoli interprete soccombe. La sua resa di In mia man alfin tu sei (peraltro eseguito ad una velocità niente meno che ridicola) era improbabile: all'inizio cerca di fare la voce grossa per darsi un tono, ma desiste alla svelta, preferendo concentrasi su consonati enfatizzate all'inverosimile in favore di microfono e un fraseggio da esame di solfeggio (e in questo Osborn le è degna spalla).
Ma il tracollo avviene nel finale, quando, intonando Deh non volerli vittime, invece che andare in un costante crescendo drammatico (che, batate bene, non vuol dire alzare il volume), va spegnendosi, per cui l'opera finisce senza che quasi ce ne accorgiamo, senza il sussulto finale della preghiera della madre e dell'immolazione della donna.

Per questa edizione"filologica" si è scelto di affidare la parte di Adalgisa ad un soprano, segnatamente a a Sumi Jo. Sulla carta è una decisoione che io non posso che condividere perché Bellini, in effetti, la scrisse per un soprano (Giulia Grisi, la quale in repertorio aveva Puritani e Don Pasquale, tra le altre cose, quindi non penso ci siano dubbi sulla sua reale vocalità). In fondo Adalgisa è una giovane sacerdotessa, per cui una voce essenzialmente chiara e fresca, a mio avviso, è quella da preferirsi. Inoltre la tessitura non è così grave da richiedere un mezzosoprano, il quale, invece, si potrebbe (e spesso succede) trovare in difficoltà nei passaggi acuti che Bellini prescrive (ad Adalgisa è richiesto anche il do, nota non certo tipicamente mezzosopranile). Quindi una bella voce sopranile chiara con un discreto registro centrale sarebbe l'ideale, sopratutto se contrapposta a quella che è la mia idea di Norma, cioè un voce scura, con un registro grave presente e dei centri pieni. Se però Norma è a sua volta chiara, come in questo caso (perché la Bartoli sarà anche, nominalmente, un mezzo, ma di certo il suo timbro non è scuro e pastoso) si rischia di avere in scena due voci troppo simili. Una Norma con due Adalgise ha poco senso. La prassi, consolidata in secoli di esecuzioni di affidare Adalgisa a dei mezzi non è senza motivo: le voci "perfette" per Norma sono poche oggi come nel passato, quindi, dovendo ripiegare su voci più chiare (ma non per questo meno efficaci per principio), per avere la dovuta distinzione tra i ruoli, ecco che si sceglie il mezzosoprano.
La Jo canta bene. La voce è piacevole (anche se il timbro risulta un tantino anonimo) e ben emessa. In teoria sarebbe una buona Adalgisa, ma la sua interpretazione è del tutto insipida. Canta con precisione sia l'aria che il duetto con Pollione, ma ci sentiamo scorrere addosso la splendida musica di Bellini senza quasi accorgercene. Soprattutto durante il duetto ammetto di essermi distratta diverse volte ascoltandolo, dovendolo riprendere da capo, sforzandomi di concentrarmi, per esaminarne l'esecuzione.
Un discorso parte merita Mira, o Norma, il duetto con Norma, che a teatro, di solito, è uno dei brani che più "infiammano" il pubblico. In questo caso non mi sono distratta affatto: fatico a ricordarmi un'edizione peggiore di questo duetto, funestata da due voci quasi identiche per timbro, totale piattezza interpretativa e variazioni sciagurate.

Flavio (Reinaldo Macias) e  Clotilde (Liliana Nikiteanu) fanno il loro dovere senza brillare, mentre Michele Pertusi (Oroveso) alla fine risulta il migliore in campo senza neanche tormentarsi troppo.
Giovanni Antonini pare sostenere al meglio le voci dei cantanti, ma non ci sono particolari guizzi, e alcune scelte di tempi, per il mio gusto, sono pessime (terribile in particolare in In mia man alfin tu sei).

In conclusione posso dire che questa mi è parsa una Norma annacquata. Doveva essere filologica, ma poi si scopre che non lo è del tutto. Non sentiamo particolari exploit virtuosistico vocali. Pollione se la cava, ma lo trovo più adatto ad altri ruoli. Adalgisa potrebbe essere ottima, ma ci mette il pathos che una persona normale impiega per comperare il giornale. E poi manca Norma! Cecilia Bartoli delude su tutti i fronti: la voce è inadatta per colore e peso e in quest'opera manca un'aria di bravura in cui fare sfoggio dei suoi virtuosismi nella coloratura (il suo storico punto forte) e come interprete il risultato è ancora più deludente: non sopperisce alle mancanze vocali con una grande prova d'artista non centrando affatto la resa di un personaggio che, evidentemente, non è per lei.
Disco niente meno che deludente.
Un consiglio, non spendeteci dei soldi

2 commenti:

  1. Quando la Devia ha telefonato alla Scotto per chiederle consigli per Norma, la risposta è stata: "Norma è facile da cantare, il problema è il personaggio..."

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  2. La Scotto mica è l'ultima arrivata... Però dire che è facile da cantare mi pare eccessivo :)

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