venerdì 9 dicembre 2011

Il grammofono: Don Giovanni o quello che era...

Oggi sono indiavolata come vuole il nostro titolo: son due giorni che rifletto su quella boiata che è stata la prima alla Scala di quest’anno e non riesco a trovare una definizione migliore che TRUFFA!
Già da un paio d’anni (dalla Carmen la cui regia era poco meglio di questa – più animata, per lo meno) il mio cavallo di battaglia è diventato: una volta non si entrava alla Scala se non ci si chiamava Maria Callas e adesso non ci entra se non ci si chiama Erwin Schrott. Riferimento non del tutto casuale visto che quest’anno ad inaugurare la stagione c’era sua moglie/amante/pubblica concubina (sono anni che ci chiediamo se Schrott e l’Annina Netrebko siano sposati o no. Un giorno, sospetto anche loro si chiederanno una volta per tutte se «Son tue cifre?»). Bando ai pettegolezzi, poiché del cast che ci hanno proposto salverei (ampiamente, aggiungo) solo il protagonista (cosa in cui il regista mi ha assecondata con una licenza clamorosa) e la Frittoli, sono piuttosto indignata per la scelta degli altri interpreti: non c’era nessuno di meglio? Un Masetto un po' più aggraziato? Un Commendatore distinto? Un Leporello che non sembrasse ubriaco (ma questo poveretto ha cantato con la Bartoli e non si esce immuni da esperienze del genere)? Una Zerlina che non facesse accapponare la pelle? Un don Ottavio con un minimo di coscienza? Una donna Anna che non cantasse dall’inizio alla fine come se masticasse chewing gum (stonando a piacere)?
Anche la direzione è stata al di sotto delle mie aspettative, con tempi da far invidia a una Ferrari, ma ho trovato esagerati i fischi rivolti alla fine a Baremboim, non fosse che per il fatto che sono stati più abbondanti per lui che per il regista, il vero delinquente. Suppongo che il povero Baremboim non ne potesse più neppure lui di questo scempio, perciò ha cercato di finirla il più alla svelta possibile.
Non sono abituata a fare paragoni fra produzioni, perché penso che ognuna dovrebbe essere presa in se stessa, che ognuna ha dei punti positivi e dei punti negativi. Tuttavia, il mio pensiero è andato con struggente malinconia alla prima del 1987: un innocuo Don Giovanni che seguiva pedissequamente (e gradevolissimamente) il libretto, con una donna Anna del calibro della Gruberova e Muti sul podio. In neanche venticinque anni siamo decaduti di brutto...
Anzitutto, questa storia del teatro nel teatro mi lascia alquanto perplessa: non è un’idea nuova e credo che ne abbiamo tutti le scatole piene... Almeno, se dobbiamo seguire la moda, seguiamola nel bene, non nel male. Tutto ciò che posso dire di questa regia è che è stata assolutamente triste e, per una che riverisce il compositore e il librettista prima di un qualunque regista pacchiano, sacrilega. Anzitutto, l’idea di considerare don Giovanni un innocente traviato è opinabile, soprattutto perché quest’innocenza si basa sull’assunto che le tre donne dell’opera, vipere insidiose, non lascino al protagonista altra scelta che agire come agisce. Vorrei sottolineare che, se lui non fosse andato a pestare loro la coda, non sarebbe accaduto niente e che la sua natura è chiaramente evidente dai recitativi con Leporello, un servo e perciò incapace di frenare il suo padrone, a cui oltretutto ammicca durante la mascherata con donna Elvira.
Esordio: un accattivante Leporello in tenuta dimessa si presenta sul retro di un teatro, come si nota dalla scena girata da comparse in tenuta da tecnici. Anziché imprecare contro i privilegi nobiliari che permettono al padrone di spassarsela, Leporello si sarebbe sentito più a suo agio criticando un sovrintendente.
Ovviamente, don Giovanni nel frattempo se ne sta a letto con donna Anna, che stavolta è più bendisposta delle precedenti. La Netrebko ha i capelli scuri arricciati in piega Marilyn Monroe e mi aspettavo che attaccasse da un momento all’altro Diamonds are a girl’s best friends (così forse avrebbe concluso qualcosa di buono?).
Il Commendatore arriva come un divo, infrachettato e con bastone da passeggio, e probabilmente si arrabbia con don Giovanni non perché stava seducendo sua figlia, ma perché adesso era costretto a sfidarlo e a rovinarsi una serata allegra.
Povera donna Elvira! Già nell’abominevole Don Giovanni di Trieste era entrata in impermeabile (copia esatta di quello che indossava la nostra professoressa di Greco quasi settantenne), ma quello manteneva una certa sobrietà. Questo propinato alla povera Frittoli era a quadretti. Si vede che donna Elvira aveva tanta fretta di inseguire don Giovanni da mettere la prima cosa che avesse trovato e precipitarsi fuori (infatti, toltasi il soprabito, rimane in sottoveste).
Ma in Ispagna son già mille e tre: il non picciol libro (attenzione, prego: non picciol, cioè in quarto, massimo in ottavo, e libro, oggetto di materiale cartaceo o pergameneaceo che si può agevolmente portare in una borsa) è diventato una gigantesca parete su cui le avventure amorose del don sono segnate con stanghette tagliate... Comodo, visto e considerato che questi due hanno girato mezza Europa.
Poi vengono Zerlina e Masetto, di bianco vestiti per appaiarli, così come donna Anna e don Ottavio sono in nero e donna Elvira e Leporello (nel secondo atto) sono in rosso. A parte questo richiamo, se mio marito lo sventurato giorno del nostro matrimonio si presentasse vestito di bianco credo che lo pianterei sull’altare. Ma è inutile cercare la creanza in un circo.
Alla fine del primo atto, tutti sono in rosso... Rosso passione, presumo. Belli i vestiti delle donne, che rimandavano quasi all’epoca dell’ambientazione originaria. Sbandamento di brevissima durata: per il finale, eccole riprendere le loro sottovesti chiare o scure.
Il secondo atto si apre con donna Elvira che sospira non da un normale balcone, ma da un pertugio nel sipario. Tutto il mondo è teatro, caro il mio Shakespeare... E infatti, dopo che la cameriera di donna Elvira a cui puntava don Giovanni è scesa da lui, i due si accomodano sul palco e seguono il resto dell’atto come spettatori (o meglio, visto che è don Giovanni a muovere la macchina, come un regista che si pasce dell’opera sua).
Il Commendatore è stato spedito a cantare da un cimitero al palco reale, con somma gioia delle due cariatidi che aveva ai fianchi, Monti e Napolitano. La domanda è: perché? Spieghiamo il regista la differenza fra palco reale e palcoscenico; ne avremo tutti dei vantaggi.
Con Aspasia, riflettevo su quanto fosse chic e al contempo strano, che un fantasma gironzoli in frac, ma lei mi ha fatto giustamente notare che alla prima alla Scala si va eleganti.
La cena. Niente orchestra sul palco, ingombrato da un’enorme tavola che raggiungeva le quinte. Visto che don Giovanni cenava solo soletto nel mezzo, il resto era tristemente vuoto... Finché non compare donna Elvira, improvvisata cubista, che balza sul tavolo e canta da lassù, tipo gli ubriachi in osteria. Olè!
Per non parlare del finale, drasticamente cambiato a favore di don Giovanni, che è l’unico che non precipita negli inferi! Non ci sono parole... E non ce ne sono perché non è il caso di spenderne per una stupidaggine che, discussa, assumerebbe maggior importanza di quella che ha. Meglio passarla sotto silenzio e avere pietà dei posteri, poiché dai registi noi non ne otterremo.

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