Finalmente, 12 Giugno! Io e Aspasia ci siamo lanciate, trepidanti, alla volta di Bologna. Siamo arrivate alle undici e, visto che l'opera iniziava alle tre e mezza, avevamo un po' di tempo per fare baldoria. Ovviamente, io avevo già adocchiato da mesi il libro del giorno, che però non aveva nulla di musicale: la Regina Margherita, che non avevo comprato nelle mie precedenti escursioni perché di prezzo lievemente superiore alla mia media e mia madre, che era sempre stata con me, avrebbe un po' storto il naso (eufemismo). In realtà, ho talmente tanti libri che i miei stanno cercando di porre un embargo, considerati i cronici problemi di spazio...
Sfogliato il nuovo pupillo e rifocillateci, siamo passate alla parte propedeutica all'opera, cioè la ricerca della casa del Gioak e del Museo della Musica, due luoghi che mi sono sempre stati a cuore ma che non sono mai riuscita a trovare. L’unica cosa che sapevo, per un vago sentito dire, è che sono ubicati a poca distanza l’uno dall’altro.
Anzitutto, la casa del Gioak, impresa nell'impresa perché sulla mia guida non figura e, anche quando mi sono affidata, nonostante la riluttanza, a Google Maps, la ricerca non ha dato esiti. Capite perché di internet non me ne facevo granché, prima di aprire il blog?
Non più tardi di qualche mese fa, sono venuta in possesso di un libro sul Gioak corredato da alcune immagini di luoghi rossiniani fondamentali quali la cappelletta dove sposò Olympe Péllissier (che Aspasia, con mia completa approvazione, definì "stalla" date le sue forme antiestetiche). A parte questi siti di rilevanza relativa, l'autore mi ha fatto il dono di una fotografia della modesta casetta a Bologna, ovviamente senza specificare, per mettere alla prova la mia scarsa pazienza, che è ubicata in Strada Maggiore. L'ho scoperto perché, nella fotografia, si stagliava sullo sfondo la Torre degli Asinelli.
Ora. La libreria che ho depredato a Febbraio era ubicata dirimpetto alla Torre! Per anni mi sono fermata a cinquecento metri di distanza! Figuratevi la mia morigerata reazione...
Era d'uopo farci un pellegrinaggio alla prima occasione, nonostante non ci fosse granché da vedere. Dopo una vita spesa in infruttuose ricerche, mi pareva bella come le Porte del Paradiso.
Pochi metri oltre la casa del Gioak, abbiamo trovato il Museo della Musica, sempre andando a lume di naso... E ovviamente ci siamo precipitate dentro, nonostante fosse l'una e mezza di Domenica pomeriggio. A onor del vero, i custodi hanno attaccato subito bottone, felici di avere due primedonne tutte per loro e abbastanza giovani da poter essere istruite senza correre il rischio di sembrare molesti. Noi, docili e obbedienti, ci siamo lasciate reggere, ci siamo fatte guidare... Ma.
Gli improvvisati zii ci avevano decantato le meraviglie del museo e la sua importanza. E noi ci avevamo creduto, finché non siamo capitate davanti a una teca con alcuni oggetti appartenuti al Gioak. In primo piano spiccava... il suo parrucchino!
L'abbiamo guardato, basite e incredule.
"Fu vision!” abbiamo pensato.
Abbiamo riguardato.
"E' desso!"
Come potevamo reagire di fronte a cotanta gloria? L'abbiamo onorata facendole festa con una fragorosa risata, che ha dissacrato le sacre volte del sacro museo! Il Gioak, che per fortuna era un bonaccione, ci sorrideva di rimando dal suo quadro giovanile appeso sopra la teca. Probabilmente, anche lui avrà pensato "Guarda se sono cose da esporre!"
La goliardia regnava dunque sovrana e col beneplacito del compositore del giorno, allorché ci siamo presentate, diligenti, di fronte al Comunale, con più di mezz'ora di anticipo.
Finalmente, si sono spalancati i battenti.
Oh cielo, in qual estasi
rapir mi sento
d'inesprimibile,
dolce contento!
Siamo entrate.
Bel raggio lusinghier,
di speme e di piacer,
alfin per me brillò!
Ci siamo guardate bene intorno perché ancora non ci pareva vero di essere lì.
Qui tutto è calma,
delizia, amor;
qui trova un'alma
scampo al dolor.
Abbiamo preso posto.
Di piacer mi balza il cor
ah, bramar di più non so!
Per tramandare il momento solenne ai posteri, ci siamo adeguatamente fotografate (avevo portato, da zelante maniaca delle foto, il cosiddetto "canón", così definito non per la marca, perché è un modello della concorrenza, ma per l'obiettivo pronunciato).
Di sì felice innesto
serbiam memoria eterna.
Scoccano le tre e mezza. È giunta l'ora!
Oh, come il cor di giubilo
esulta in questo istante!
Si spengono le luci.
Io smorzo la lanterna,
qui più non ho che far.
L'orchestra accorda.
Llllllllllllllllllaaaaaaaaaaaaaaaaaa.
Finalmente, è entrato il Michele che, come da copione, ha sorriso al pubblico che lo applaudiva con trasporto, probabilmente (visto che non era ancora vibrata una nota) perché ha del prodigioso che qualcuno riesca a passare attraverso lo schieramento di violini senza contundersi o contundere.
Spento l’applauso, inizia l’ouverture.
Fin qui, cioè per il primo minuto scarso, io e Aspasia siamo rimaste distinte e posate. Per le successive tre ore, l'aplomb è andato a farsi benedire. Non che l'avessimo trattenuto combattendo con le unghie e coi denti, in effetti...
Tuttavia, giusto per continuare a propagandare ragione anche quando si è nel torto, la colpa non è nostra. La colpa è del Michele. Il nostro ha l'abitudine di sospirare e canticchiare e, essendo state noi a due metri da lui (avevamo posti centrali di prima fila in platea), l’abbiamo sentito che era un piacere.
Il Maestro attaccò quindi l'ouverture col primo sospiro. L'orchestra inizia a suonare, e brava l'orchestra! Noi due, invece, scoppiamo a ridere, trattenendoci a stento da una risata fragorosa... E brave anche noi due, ma nel senso manzoniano del termine...
"Se va avanti così per tutta l'opera" (cosa che effettivamente poi ha fatto) "siamo rovinate!" ho bisbigliato all'orecchio di Aspasia, mentre entrambe eravamo ancora sghignazzanti.
Per fortuna, dopo il primo impatto, il fluire della musica ci ha ricondotte alla ragione (si fa per dire) e abbiamo evitato di farci buttare fuori con tutti gli onori del caso. Va bene la gloria, ma non a qualunque costo...
Adesso che ho esaurito l'analessi ludica, vengo a ciò che tutti aspettano da un atto e mezzo, cioè lo spettacolo vero e proprio.
Iniziamo col Michele che, ora che dovrei fingere un po' di competenza e distacco critico (MA VA LÀ!), potrei cominciare a chiamare Maestro Mariotti. Cosa c'è da dire? Mi profonderei un lungo, lunghissimo, sterminato panegirico. Non ho mai sentito quest'opera diretta così bene (il vertice è stato il “nodo avviluppato”: un meccanismo perfetto) e sinceramente non riesco ad approvare le lamentele di coloro che sostengono che questa direzione abbia fatto acqua da tutte le parti. Per quello che mi riguarda, una volta terminato lo spettacolo, l’avrei volentieri ricominciato daccapo...
Il cast, precisamente il secondo cast, così abbiamo avuto il bene di poter fare il raffronto con quello sentito alla radio (e averlo trovato di molto superiore), si componeva di:
Cenerentola Chiara Amarù
Don Ramiro Enea Scala
Dandini Eugene Chan
Don Magnifico Marco Filippo Romano
Alidoro Luca Tittolo
Clorinda Zuzana Marcovà
Tisbe Giuseppina Bridelli
Onore al merito di Chiara Amarù ed Enea Scala, che sono risultati molto più gradevoli dei due colleghi del primo cast (Laura Polverelli e Michael Spyres). Per quanto riguarda la Amarù, si è rivelata un’interprete di tutto rispetto, che ha saputo rendere molto bene le sfumature del suo delicato personaggio. Sicura negli acuti e di bel fraseggio. Ammirevole soprattutto nel rondò finale, di meritatissimi applausi. È una cantante che può crescere molto e regalarci così altre belle esecuzioni.
Enea Scala ha bella voce e buona tecnica (anche se la differenza nel passaggio dal centro all'acuto è ancora troppo marcata: la voce cambia totalmente). L'ho trovato leggermente manierato nel fraseggio e non del tutto disinvolto nella recitazione, ma è giovane, il tempo è dalla sua parte. Comunque una prestazione più che positiva.
Eugene Chan gestisce benissimo la caratterizzazione del personaggio, un po' meno la voce, che a tratti è inudibile (e noi eravamo in sedute in prima fila)...
Marco Filippo Romano ha reso molto bene Don Magnifico, sottolineandone sia il lato comico che quello ostile e orgoglioso. Devo dire, però, che ho temuto per lui quando, per la scena X del I atto, si è dovuto arrampicare su dei tavolini instabili e continuare a declamare con nonchalance Noi don Magnifico. Possibile che uno vada a teatro per divertirsi e debba invece preoccuparsi dell’incolumità dei cantanti? La povera Aspasia, che soffre di vertigini, ha rischiato un attacco di panico!
Notevole anche l’Alidoro di Luca Tittoto che, ci ha offerto “Là nel ciel” cantato con solo delle trascurabili imperfezioni, che gli condoniamo vista la difficoltà di quest’aria.
Infine, le sorellastre (non io e Aspasia, ma quelle vere!), che sono le stesse del primo cast. Se la Tisbe di Giuseppina Bridelli è stata accettabile, assolutamente negativa è risultata la Clorinda di Zuzana Markovà. Questa volta, ribadisco che ero in prima fila non per vanteria, ma per far meglio intendere il mio orrore allorché, fin dall’esordio, ho fatto fatica a sentirla! Non oso immaginare cosa sia arrivato agli spettatori nelle ultime file...
Per quanto riguarda regia e allestimento, ho tirato un sospiro di sollievo constatando che la scena si apriva con una cucina, tristissima e modesta, ma di forma compiuta, e che la storia seguiva fedelmente il libretto. Tengo a sottolinearlo perché, alcuni anni fa, abbiamo avuto il (dis)piacere di assistere a un Don Giovanni a Trieste, sempre firmato da Daniele Abbado, la cui scenografia consisteva in un informe parallelepipedo che girava su se stesso...
L’opera è finita, andate in pace. Come disse la compagna Nadia nel Compagno don Camillo «L’unico rimpianto è che è stato troppo breve». Malinconia di breve durata, comunque, visto che io e la mia socia eravamo fin troppo galvanizzate e avevamo progettato, già durante il lungo viaggio di ritorno, qualche scorribanda (o scorreria, a piacere) per l’anno venturo.
Stavolta, però, la crociata per i biglietti non si vestirà dei colori dell’epopea perché conosco i trucchi del mestiere e l’adorata libreria ha chiuso i battenti (questa volta a sospirare sono io, nostalgicamente...). Gli amanti del quieto vivere sgraneranno gli occhi se aggiungessi che mi dispiace questo eccesso di tranquillità...
Perbacco! Io sguazzo nello scompiglio!
N. B. Ringrazio sentitamente la cara Aspasia per le aggiunte ai commenti tecnici.
Complimenti, scrivi molto bene !
RispondiElimina