Dopo la citazione da un celebre quadro di Magritte, mi corre l’obbligo di fare una precisazione.
Noi D E T E S T I A M O Magritte.
E O D I A M O Verdi.
(In effetti, è più breve l’elenco delle personalità che ci piacciono.)
Perché diavolo siete andate a vedere
Rigoletto, allora? obietterete.
Beh, perché si va a vedere
Rigoletto?
Per ridere!
Immagino lo sgomento di Piave davanti a questa sfacciata affermazione. Probabilmente, dopo averne ammazzati tanti nei suoi briosi libretti, quel povero poeta si sarebbe buttato lui stesso giù da un ponte, disperato e afflitto, chiedendosi dove avesse sbagliato.
Gettiamo immediatamente il salvagente al povero Piave: lui non ha colpa. La colpa è del Divo (sospiro svenevole) e di quasi tutti coloro che gli hanno fatto dorata aureola in quella goliardica sera. Nomiamoli uno per uno, anzitutto:
Il duca di Mantova Ivan Magrì (il Divo)
Rigoletto Vasile Chisiu
Gilda Linda Kazani
Sparafucile Abramo Rosalen
Maddalena/Contessa di Ceprano Silvia Pasini
Giovanna/Paggio della duchessa Valentina Volpe
Il conte di Monterone Claudio Mattioli
Il conte di Ceprano Giovanni Alberico Spiazzi
Marullo Florin Cristian Simionca
Borsa Lee Do Geol
Coro e Orchestra della Società Filarmonica
Maestro del coro Giuliano Fabbro (onore e gloria, dato che il coro è stata una delle cose migliori)
Direttore Giampaolo Zennaro
Ora che abbiamo tributato i meritati allori ai protagonisti (non sia mai che il Divo si offenda), passiamo, com’è consuetudine, a me e Aspasia, che rivendichiamo sempre e comunque il nostro angolino, forti del fatto che senza melomani non esisterebbe l’opera e che pertanto, paradossale ma vero, le protagoniste siamo noi (anche perché, cari divi, sareste disoccupati se le platee fossero vuote).
Abbiamo conosciuto il Divo grazie alla Barcaccia, breviario di ogni melomane, dove quest’anno l’eroe ha trionfato per uno stock di esilaranti Fa sovracuti nel contesto di un infelice
Credeasi misera, guadagnandosi una figura barbina di proporzioni ecumeniche. È risultato, grazie a questa performance, vincitore nella categoria “Perle nere” che, per chi non segue il programma, è la rubrica dedicata al meglio del peggio dell’opera.
Da quel momento, è rimasto nei cuoricini mio e di Aspasia come uno dei cantanti che ha più suscitato il nostro ludibrio, anzi, Ludibrio. Appena abbiamo visto affisso in strada il cartellone del
Rigoletto, dopo la battuta d’uopo «Ma non c’è un altro compositore, a parte Verdi?» (risposta: «No»), siamo partite in quarta in cerca dei biglietti con insolita impazienza: avevamo letto il caro nome! Dovevamo ASSOLUTAMENTE gustare questo prodigio dal vivo!
Non credo che abbiamo mai atteso tanto un’opera di Verdi: fin dalla mattina del giorno X, fremevamo di impazienza, pregando ardentemente che non si scatenassero gli elementi (in quei giorni, nelle nostre zone il tempo era particolarmente instabile e, giusto ben per stare sedute tre ore nell’aperta piazza, abbastanza freddino) e che il Divo mantenesse tutte le promesse con cui ci aveva lusingate.
Interludio. RIGOLETTO. Un nome, una garanzia, direte.
ILLUSI!
Io e Aspasia abbiamo storpiato questo nome in mille maniere: in principio era
Topoletto o
Grigoletto in memoria della produzione andata in onda sulla RAI l’anno scorso (e noi sosteniamo che
Grigoletto suoni meglio del nome originale perché quella “G” all’inizio dà una maggior spinta alla pronuncia. Quanto a
Topoletto, è una storpiatura dalla Barcaccia, dove Domingo viene sempre chiamato Topone), poi è diventato
Rigolato, dal nome di un paese della Carnia, poi
Ridoletto, per evidenti ragioni di berlina; infine, per influsso delle precedenti,
Grigolato.
Ci siamo un po’ lasciate prendere la mano, sì...
Gorizia, Piazza Vittoria, ore 21.15. Le primedonne, cioè noi, avevano i posti in quarta fila e ingannavano il tempo passando in rassegna le varie ed eventuali sciagure, sempre di “barcacciana” memoria, che sarebbero potute occorrere durante lo spettacolo: dal mitico capitombolo su “pensieeeer” del povero Gedda (non a caso sigla delle Perle) a un altrettanto considerevole
Bella figlia dell’amore, in cui il contralto attaccava con una strofa d’anticipo...
Dopo il trascurabile, cupo preludio (che forse è stato l’unico momento di pretesa serietà, ma anche no, perché l’orchestra era quello che era...), si inizia subito con le meraviglie: il Divo (sospiro svenevole) si presenta sul palcoscenico con un completino color oro, graziose calzettine di seta dello stesso colore, in perfetta tinta con la dorata chioma (Erano i capei d’oro al Divo sparsi).
Aspasia, impugnato il binocolo, l’ha subito puntato come un mastino, emergendo dalla sua inquisizione a metà fra il ridanciano e il perplesso «Rossetto alla ciliegia, eye-liner, matita e ombretto azzurro».
Ci siamo guardate per un attimo, in profonda crisi.
«È più truccato di me!» ha protestato Aspasia.
Questo significa solo una cosa: non è Divo.
È D I V I S S I M O! (doppio sospiro svenevole, quando ci vuole ci vuole)
RISATAZZA.
Intanto, il Divo parte con la prima aria,
Questa o quella, con cui si presenta per quello che è (una dis-Grazia), ma non ancora fischiabile per imperdonabili errori. Poco male, ci sono ancora due arie, il duetto con Gilda, il quartetto del terzo atto... Occasioni per rifarsi abbondano, tanto più che la direzione spiccatamente bandistica e l’orchestra scalcinata contribuiranno in maniera non irrilevante.
Arriva Rigoletto... Mio Dio! Quest’uomo (che Aspasia ha poi scoperto essere assoldato per lo stesso ruolo nientemeno che alla SCALA!
Che sento? Orrore!) è stato il degno compare del suo Duca, cioè ha contribuito notevolmente a rallegrare l’aspetto plumbeo dell’opera. Non un accento che ricordasse al pubblico che Rigoletto è un personaggio sardonico e maligno! Eravamo a livelli di farsa di bassa lega. E non solo l’interpretazione faceva acqua (altroché! stavamo affondando!), ma anche la tecnica e la pronuncia erano abbastanza empiriche!
Niente, comunque, in confronto al disastroso Monterone: sembrava dovesse lasciarci le penne fin da “Ch’io gli parli”, per le difficoltà percebilissime e la voce ingolata.
Una rivelazione positiva è stata invece Sparafucile (N.d.A.rmida: personaggio che dà il nome a un circolo di pesca nei pressi di Mantova. L'Autrice ringrazia Aspasia per la cortese informazione) che, con buona pace di divi e primedonne, è stato l’unica nota positiva della serata. Voce di bel timbro e sicura, ottima interpretazione. Ha letteralmente sopraffatto Rigoletto nel duetto del primo atto (e nell’ultimo, è stato l’unico a uscire indenne dal terzetto con Maddalena e Gilda).
Veniamo ora a Gilda, da Aspasia efficacemente definita “una zanzara”, giusto per darvi il polso della situazione. Ci siamo chieste quanto effettivamente l’avremmo sentita senza l’amplificazione, necessaria dato lo spazio aperto: il registro grave era quasi inudibile già così. A parte il fastidioso ronzio, la sua interpretazione niente affatto esaltante (anziché una creatura angelicata sembrava di avere a che fare con una contadinotta, aiutata in questo da un riprovevole costume marrone...).
Ah dunque amiamoci: qui il Divo ha avuto il suo primo momento di fulgore, visto che si è allegramente perso a metà della cadenza, ed è stata una piacevole gara a “chi canta peggio” col soprano.
Caro nome: lasciamo da parte Gilda, paradossalmente irrilevante, se non per quell’accidente di Mi bemolle alla fine, che rovina sempre il contesto. Qui, il protagonista era un altro, uno di quelli che dovrebbe stare in sordina, nascosto nei meandri cupi e bui delle quinte o segregato in qualche angolo ribassato ai lati del palco: il SUGGERITORE. Quest’individuo sconosciuto e inquietante, senza volto e senza nome, ha deciso di vendicare la sua ingrata professione e i suoi frustrati predecessori facendo sketch da questo momento alla fine.
«G-U-A-L-T-I-E-R M-A-L-D-È... C-A-R-O N-O-M-E» ha scandito orgogliosamente l’importuno, successo bissato allorché il Divo, eclissato proprio all’acme della gloria, si è sentito gridare, bello scandito (altrimenti non vale) «L-A D-O-N-N-A È M-O-B-I-L-E!»
Probabilmente questo suggeritore deve avere avuto una qualche ruggine di non lieve entità col soprano e col tenore, perché altrimenti non si spiegherebbe il palese astio nei loro confronti: per suggerire addirittura l’inizio delle arie più famose, voleva a tutti costi far fare loro le figure dei cretini... e permettere a noi di sganasciarci...
Atto secondo: che ho sempre detestato perché la prima metà è dedicata a Rigoletto che impreca e la seconda a Gilda che piagnucola. PERÒ (un però compiaciutissimo, immaginatevi la mia faccina beata – abbellitemi anche un po’, vi prego!) PERÒ stavolta a esordire c’è LUI (sospiro svenevole):
Parmi veder le lagrime, che già registra clamorose affinità con
Come Paride vezzoso, stavolta è stato un autentico pezzo da opera buffa, ma i divi sanno piegarsi a questo ed altro per rivendicare l’attenzione del loro pubblico...
Avanti con l’atto noioso (in cui non mi sono distratta abbastanza da non notare che Cortigiani vil razza dannata voleva essere un allegro pezzo d’operetta e non la manifestazione del ferito amore paterno), fino alla riscossa:
Sì vendetta, che nelle mani del direttore giusto diventa l’apogeo del bandistico... E noi, come da migliore tradizione verdiana, siamo precipitati in piena sagra... Ovviamente, ciò ha scatenato gli applausi del pubblico circostante, che non riesce a resistere quando lo si imbecca con musiche da osteria... Mah...
Atto terzo. Finalmente! Lo aspettavamo al varco!
La donna è mobile: se
Parmi veder le lagrime lasciava presagire il peggio, questo ce l’ha confermato. Fin dall’attacco, l’orchestra è stata pronta ai nostri intimi desiri, partendo stonata.
«Adesso ci regala la Perla! Adesso ci regala la Perla!» tifavamo noi, col fiato sospeso, gli occhi accesi e scintillanti, neanche i tifosi allo stadio pregando per il goal...
LUI (sospiro svenevole) qui ha dato il meglio di sé, ha dato sfogo a tutti i suoi virtuosismi, terminando con un clamoroso “pensierrrrrrrrrrrrr” [sic! Peccato che l’audio sia andato in malora...] che ci ha fatto temere ce lo giocassimo prima di Gilda...
Così non è stato: il Divo deve sempre ricevere la quotidiana dose di applausi, che sono fioccati dopo un Bella figlia dell’amore in cui non c’era uno che se la cavasse bene, perché nemmeno Maddalena (che si è presa l’incomodo di portare in scena anche la Contessa di Ceprano) è stata all’altezza della situazione. Anzi, si è forse rivelata la peggiore della serata: brutta voce, in overdose di catarro, e, per di più, estremamente affaticata e sgraziata. Ricordava paurosamente l’impareggiabile Natalia De Andrade... Mi chiedo come sia riuscita a... ehm... “cantare”, si fa per dire, perché non c’era granché che meritasse questo appellativo...
In queste deplorevoli condizioni, agitati da due venti, siamo approdati al porto, con una “Maledizione” grottesca. C’era poco di meglio da aspettarsi, quando un interprete non ha coscienza del proprio personaggio...
Applausi, applausi, applausi... Le due befane dietro di me, in visibilio per il Divo (sospiro svenevole), si sono addirittura alzate in piedi per rendergli onore e hanno esclamato “In piedi anche voi!”, cioè io e Aspasia. Sgomenta, mi sono girata verso di loro. La mia occhiata deve averle fulminate: va bene ridere, va bene scherzare, ma queste due erano esaltate davvero! O tempora, o mores!
Un’ultima precisazione riguardo al Divo, che mi dispiace abbandonare così presto. Costui, oltre a scorrazzare su e giù per il palco, gongolante per il successo (fuori di sé per averla fatta franca ancora una volta, presumo...), ha anche preso per mano il direttore al posto della primadonna. Dove osano i tenori...
Scusatemi, devo precipitarmi, perché adesso c’è Verdi che vuole buttarsi giù dal famoso ponte...
Devo precipitarmi a dargli una spinta, intendo... :)