Quest’operazione, come avrete notato, non è intitolata con un nome in codice come le precedenti, ma ciò non è dovuto a una improvvisa mancanza di fantasia, ma a un fatto semplicissimo: io, in tutto questo (come in molto altro...), non avrei dovuto centrare un tubo.
Il piano originario prevedeva che Aspasia si recasse alla Scala in compagnia di sua madre e che io restassi a casa a fare la calza e trepidare per la sugosa cronistoria al loro ritorno. Invece, per cause di forza maggiore, è stata necessaria una sostituzione dell’ultimo minuto... e quando dico ultimo minuto, intendo proprio ultimo minuto, cioè le sette di sera di Lunedì 7, con la partenza fissata alle dieci di mattina di Martedì 8.
«Miserere!» ho pensato, dopo che Aspasia, al telefono, mi aveva spiegato il corso degli eventi, «Niente di pronto, non ho neanche un vestito da sera invernale! La valigia sarà in chissà quale nicchia del garage! Adesso sono via, prima delle nove non sarò a casa! E domani mattina dovrei trovarmi in stazione bella e pronta? Santa Radegonda! Come posso dire di sì?»
«Accetto» ho risposto invece, convinta come don Camillo quando, appena tornato dalla Russia dove si era recato sotto mentite spoglie, deve ripartire per l'America su richiesta del vescovo.
Figurarsi se avessi risposto di no: le partenze all’ultimo, gli imprevisti, i colpi di scena sono il mio mestiere, pazienza per i bagagli da preparare e il vestito da comprare! Non mi scompongo per lo scompiglio, semmai lo incoraggio.
Caso voleva che fossi in un centro commerciale e che avessi davanti a me valanghe di vestitini graziosi... Ho fatto talmente in fretta a trovarne uno che ho mi è avanzato tempo anche per un bel paio di scarpe.
PRONTI, PARTENZA, VIA! Martedì 8 Novembre dell’anno di grazia 2011, siamo puntualmente partite alla volta di Milano coi potenti mezzi Trenitalia.
L’albergo. Bel posticino, in sito centrale ma non trafficato: il quartiere era talmente carino che ruminavamo fra noi «WOW! Non sembra nemmeno Milano!» Né io né Aspasia siamo patite di quella grigia città (benché un insistente coniglio che pubblicizzava un insipido risotto allo zafferano e affisso ad ogni cantone ostendesse il piatto esclamando “E poi dicono che Milano è grigia!”), quindi l’esclamazione tornava ad onore della via.
Il piano originario prevedeva che Aspasia si recasse alla Scala in compagnia di sua madre e che io restassi a casa a fare la calza e trepidare per la sugosa cronistoria al loro ritorno. Invece, per cause di forza maggiore, è stata necessaria una sostituzione dell’ultimo minuto... e quando dico ultimo minuto, intendo proprio ultimo minuto, cioè le sette di sera di Lunedì 7, con la partenza fissata alle dieci di mattina di Martedì 8.
«Miserere!» ho pensato, dopo che Aspasia, al telefono, mi aveva spiegato il corso degli eventi, «Niente di pronto, non ho neanche un vestito da sera invernale! La valigia sarà in chissà quale nicchia del garage! Adesso sono via, prima delle nove non sarò a casa! E domani mattina dovrei trovarmi in stazione bella e pronta? Santa Radegonda! Come posso dire di sì?»
«Accetto» ho risposto invece, convinta come don Camillo quando, appena tornato dalla Russia dove si era recato sotto mentite spoglie, deve ripartire per l'America su richiesta del vescovo.
Figurarsi se avessi risposto di no: le partenze all’ultimo, gli imprevisti, i colpi di scena sono il mio mestiere, pazienza per i bagagli da preparare e il vestito da comprare! Non mi scompongo per lo scompiglio, semmai lo incoraggio.
Caso voleva che fossi in un centro commerciale e che avessi davanti a me valanghe di vestitini graziosi... Ho fatto talmente in fretta a trovarne uno che ho mi è avanzato tempo anche per un bel paio di scarpe.
PRONTI, PARTENZA, VIA! Martedì 8 Novembre dell’anno di grazia 2011, siamo puntualmente partite alla volta di Milano coi potenti mezzi Trenitalia.
L’albergo. Bel posticino, in sito centrale ma non trafficato: il quartiere era talmente carino che ruminavamo fra noi «WOW! Non sembra nemmeno Milano!» Né io né Aspasia siamo patite di quella grigia città (benché un insistente coniglio che pubblicizzava un insipido risotto allo zafferano e affisso ad ogni cantone ostendesse il piatto esclamando “E poi dicono che Milano è grigia!”), quindi l’esclamazione tornava ad onore della via.
Il centro. Riposte le valige, fuori a far baldoria! Foto d’uopo davanti al manifesto affisso fuori dalla Scala, guardando intorno semmai uno dei nostri eroi avesse la sciagurata idea di incrociare la nostra strada, arpionarlo per un autografo e dimostrare al malcapitato cosa possono essere due fans isteriche, perlustrazione di Piazza Duomo e giretto per la Rinascente, centro commerciale d’impianto simile all’Harrods di estiva memoria, un po’ meno kitsch e con tanto di dolci carissimi e bellissimi all’ultimo piano (c’erano anche delle invitanti scarpe tacco dodici e borsetta coordinata al cioccolato. La stessa idea l’hanno avuta a Venezia col Murano, ma preferisco la variante milanese...). Uscite da lì e proseguendo sotto il portico, ci siamo imbattute in una via che non avremmo mai creduto di trovare, dedicata a una santa che credevo dimenticata e che, suo malgrado, è diventata la patrona di questo blog:
Aggiungendo che vicino all’albergo c’era poi quest’altra via, di un altro santo altrettanto famoso:
siamo giunte alla conclusione che i Milanesi condividono la mia stessa predilezione per i santi bizzarri.
Tempo scaduto! Rientro in albergo per i grandi preparativi. Due primedonne hanno bisogno della debita calma per prepararsi a dovere:
Qual mattutina stella
bella vogl’io brillare,
del crin le molli anella
mi giova ad aggraziar.
Onde evitare incresciosi incidenti coi tacchi e non arrivare a teatro provate come se avessimo scalato l’Everest, abbiamo chiamato un taxi. Avrei omesso questa notizia se il nome del taxi non fosse stato rilevante: Lima, altamente evocativo visto che alla Scala ci attendeva nientemeno che l’adorato Juan Diego. Con l’intercessione della nostra patrona e l’approvazione del Perù, la serata, che prometteva bene di suo, sarebbe andata a gonfie vele.
Palco, il secondo del quart’ordine. Arriviamo, salutiamo le due signore olandesi nostre vicine, ci immortaliamo sul luogo del misfatto e ci sediamo, Aspasia davanti e io dietro. Mi alzo di scatto: dal mio posto non si vedeva che un lembo estremo del sipario...
Mi sovvenne, emergendo dalle nebbie del tempo, la bella Salisburgo, il Festspiele di due anni fa, in cui trovammo i posti per miracolo, ma per disgrazia erano posti in piedi. Non eravamo provviste nemmeno di un comodo puff su cui accomodarci per dare breve sollievo ai piedi costretti nelle scarpe coi tacchi...
A spettacolo concluso, avevamo avuto bisogno di una rigenerante Coca Cola per riprenderci (non mi interessa di quello che ne pensano i salutisti: è stata un vero toccasana e la ricorderò con amore finché non scoprirò con che intrugli la preparano) e ancora non sapevamo che l’ultimo autobus era già passato e dovevamo tornare in ostello a piedi, alle undici e mezza della sera, in riva all’umida Salzach.
Lato positivo: avevamo sentito il Luca dal vivo. Ad avercelo chiesto, l’avremmo rifatto. Il Luca val bene una Salzach.
Ecco accontentato, due anni dopo, il mio spirito d’abnegazione. Guardavo il mio piccolo sgabello che sembrava ancora più piccolo e ancora più sgabello in considerazione delle tre ore di opera che avevamo davanti a noi. Il comodo soglio di Aspasia mi sembrava ancora più comodo e ancora più soglio...
In ogni cosa ci vuol filosofia, sosteneva don Alfonso, personaggio antipatico quant’altri mai ma che alla fine ha ragione. Hai ragione due volte, caro don: sono alla Scala, c’è Florez, c’è la DiDonato, c’è la Barcellona (che è quasi nostra vicina di casa, visto che abita a Trieste) e c’è il Gioak. Fosse stato Verdi, ti saresti potuta ben lamentare, ma, mettendola su questo piano, vuoi guastarti la festa per un insulso sgabello (foderato con un delizioso raso rosso, che mi sarei volentieri portata a casa per le sedie del soggiorno: il Rosso Scala fa sempre effetto)?
Chissenefrega, come disse la Scotto: il Diego val bene uno scranno!
NELLA PROSSIMA PUNTATA: la recensione della serata.
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