lunedì 24 novembre 2014

Parola... Parolissima!: Finale

Non lasciatevi ingannare dal titolo, la puntata di oggi non è affatto l'ultima di questa rubrica!
Per finale, ovviamente, intendo quello contenuto nelle opere.
Come sempre, mi affido a Mioli per qualche notizia: ogni melodramma ha diversi finali, e non solo perché, come avviene nella "Pia de' Tolomei" e nella "Maria Padilla" di Donizetti, a distanza di qualche tempo l'autore può riprendere il suo lavoro ed eventualmente concluderlo in modo diverso.
Il finale infatti è inteso come tale non solo rispetto all'opera tutta, ma anche rispetto ai suoi singoli blocchi, che sono gli atti; per cui un'opera con due o tre atti avrà due o tre finali, uno per atto.
Il finale dunque è un contenitore, suscettibile di diverse applicazioni musicali: duetto, coro, quartetto, concertato, aria o brano orchestrale.

Ma il finale è anche occasione teatrale, utile per una soluzione d'intreccio e per creare momenti di grande spettacolarità.

Nell'opera barocca e di epoca classica i finali erano arie o duetti.
Mozart si pone come innovatore proponendo finali ben più "affollati", che portavano in scena, spesso, gran parte dei solisti.
Bellini e Donizetti amavano affidare i finali al soprano, componendo un'aria o un concertato di carattere, solitamente, virtuosistico. Rossini faceva lo stesso, ma affidava il finale anche al contralto, qualora ricoprissi un ruolo fondamentale all'interno dell'opera.
Verdi, invece, inizia a distaccarsi da questa tradizione, alternando brani virtuosistici a passi più lirici, magari sostenuti dall'impiego del coro.





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