La giornata si era preannunciata campale, perché, finalmente, pareva che a Bologna ci fossimo dati appuntamento tutti-ma-proprio-tutti nello stesso tempo e nello stesso luogo: io (costantemente nostalgica della città felsinea), Aspasia (con cui ho potuto sproloquiare prima, durante e dopo la recita), il Michele (credeva che o avremmo lasciato in pace, dopo che per le Nozze di Figaro abbiamo tenuto il final countdown dall’anno scorso? Illuso!), il nostro prediletto Gnagflow Trazom in arte Mozart ma in Italia De Mozartini (figurarsi, da un anno abbiamo aperto il blog e questo è il suo primo spettacolo che recensiamo. Non ne potevamo più di aspettare!) e, soprattutto, LUI: Cicciobello. Confidando che il Michele non abbia una crisi di gelosia, quando sulla locandina ho letto il nome di Bruno Praticò sono partita per la tangente e non sono più tornata... Perché lo ADORO, dal momento in cui la televisione ci ha rifilato un suo Barbiere di Siviglia (Gioak, sei sempre in mezzo!) in cui l’omino caracollava per la scena con una mise da bambolotto che gli ha appiccicato addosso questo nome di battaglia che non si è più staccato. Quando uno fa sketch, non può che colpire nel segno.
Abbiamo pregustato a lungo le delizie di ieri pomeriggio.
Poco prima delle tre, ci siamo messe ordinatamente in fila assieme agli altri avventori fuori dal Comunale.
Ci siamo divise i biglietti.
Ci siamo soffermate con particolare emozione sulla prospettiva di essere in prima fila.
Diavolo, se penso agli affanni e ai palpiti (e ai soldi) che mi sono costati quei biglietti ho ancora un tuffo al cuore! [ESAGETATA!]
Aspasia ha sottolineato il fatto che non era necessario che cercassi di aprirmi un varco per entrare per prima perché «i posti sono numerati e non ce li porta via nessuno!» E tenetelo bene a mente...
Passate le tre.
Aperta baracca.
Confiscato un programma di sala.
Camminata da dive lungo tutta la platea, splendenti di luce propria, collo dritto, muso franco.
Io non mi ero fatta neanche lo scrupolo di controllare che la prima fila fosse effettivamente la nostra, la fila A, perché, a rigor di logica, lì doveva stare.
«Guarda che sulla sedia c’è scritto fila B!» mi avverte Aspasia.
Agguantata la maschera.
Chieste informazioni con finta calma.
«Abbiamo soppresso la prima fila per allungare il palco» (c’erano due ballatoi laterali che passavano sopra l’orchestra per permettere ai cantanti di muoversi fino in platea), «per cui vi abbiamo spostate. Siete in fila I».
Dopo aver sparato il «Grazie» più fasullo di tutta la vita, io e la mia socia abbiamo ripercorso il breve tratto con le orecchie basse come cuccioli tristi... Poi, ovviamente, è partita l’invettiva.
«Una si fa tutta questa strada per la prima fila, e viene sbattuta in un’altra, banalissima a mezza navata?»
Oh, Santa Radegonda, trattienici, se hai il coraggio! Oh, San Petronio, perché ci hai fatto questo? Volevamo prendere atto dei sospiri e dei canti del Michele, e ne siamo state così brutalmente private! Lo sapete cosa sarebbe successo, se per caso si fosse guardato intorno per salutarci, non ci avesse viste e si fosse rifiutato di cominciare senza di noi (e pazienza se in realtà non ci conosce, queste pagine le scrivo io e le scrivo come mi pare)? Avevamo un fumo intorno che la nebbia di Londra è nulla al confronto... Io, fotografa assatanata piuttosto che provetta, non avevo nemmeno la voglia di estrarre il mio canón (macchina fotografica dal mega obiettivo) per immortalare noi stesse e i luoghi intorno...
Poi, nel bene o nel male e nella buona o nella cattiva sorte, le cose non si sono rivelate così tragiche, perché, come ha detto Aspasia quando l’eco dei primi sospiri è arrivato «Il Michele, evidentemente, sospira in maschera!», e non eravamo poi troppo distanti da non riuscire a cogliere le intromissioni del direttore nel cantato. Aspasia «Ma canta più forte di Cherubino!» e io «È più Contessa della Contessa!» Che meraviglia! (se fosse stato il Divo, qui avrei fatto cadere un sospiro svenevole, ma purtroppo Divo non è e di sospiri ce ne sono stati a iosa...)
Devo ammettere che il cambio di posto ha avuto anche un risvolto molto favorevole nel contesto degli strepitosi vicini (che il Signore ce li conservi!), di cui ormai non posso più fare a meno. Accanto a me, si era seduto un signore distinto, sulla sessantina, completamente calvo. Appena è entrato il Michele, anziché limitarsi ad applaudire, ha sbottato «Guarda là, che capelli!»... Invidia? Ma non è stata questa la vetta. Il signore in questione non deve essere habitué dell’opera, o almeno non delle Nozze, perché ha seguito i travestimenti del quarto atto col fiato sospeso. Quando il Conte sorprende la Contessa travestita da Susanna assieme a Cherubino, ha esclamato «Oddio! Che succederà?», e lo stesso schema si è ripetuto per tutti gli altri scambi di persona... È stato bello rivivere con questo illustre sconosciuto la suspance del primo ascolto, che a momenti stavo per dimenticare (io, veterana delle Nozze a cui ho assistito per la prima volta ben dodici anni fa! Vecchia carampana!). E rideva come un bambino...
Di “bambini”, per la verità, intorno a noi ce n’erano parecchi: due signore nella fila retrostante sembravano planate a Bologna direttamente dal Met, perché si sono sganasciate per qualunque trovata o frase, spesso anche quando, apparentemente, non c’era granché da ridere. Ma i vicini ci piacciono così, entusiasti e vivaci!
Esauriti i convenevoli, passo a presentarvi la banda:
Il Conte d’Almaviva, Simone Alberghini
La Contessa d’Almaviva, Carmela Remigio
Susanna, Cinzia Forte
Figaro, Nicola Ulivieri
Cherubino, Marina Comparato
Marcellina, Tiziana Tramonti
Bartolo, Bruno Praticò
Basilio, Mert Süngü
Don Curzio, Saverio Bambi
Barbarina, Cristiana Arcari
Antonio, Nicolò Ceriani
Due contadine, Silvia Calzavara e Roberta Sassi
Orchestra e Coro del Teatro Comunale
Maestro del coro, Lorenzo Fratini
Direttore, Michele Mariotti
Regia, Mario Martone
Il title role Nicola Ulivieri ha portato un scena un valido Figaro, tagliato per la parte e di bello spirito anche se con la tendenza a strafare per dare maggior enfasi alla parola.
La Susanna di Cinzia Forte aveva un’aria un po’ attempata, non sempre impeccabile, ma di bello squillo, e particolarmente interessante nell'aria Deh vieni non tardar.
Il Conte di Simone Alberghini, in uno splendido completo rosso, si è distinto per la sicurezza tecnica e una sana cattiveria, trascinante nell’aria del terzo atto.
Deludente, invece, la Contessa di Carmela Remigio, spesso distaccata e distaccante, con un registro grave rappezzato e una generale mancanza di fiato.
Marina Comparato è stata un simpaticissimo Cherubino, piacevole e fresco, animato dalla verve giovanile e un po’ scomposta che ci vuole per il personaggio.
Divissimo il Bartolo di Bruno Praticò, stavolta non in assetto bambolotto ma copia vivente di Charles Laughton in Testimone d’accusa e non a caso impegnato nel ruolo di consigliere attaccabrighe (gustosissima la Vendetta). Irresistibili poi gli interventi parlati sottovoce.
Tiziana Tramonti che, pur dividendo la scena con Cicciobello-Laughton non aveva niente di Marlene Dietrich, è stata una buona Marcellina, valida pur con alcune imperfezioni e non mutilata dell’aria del quarto atto.
Molto bravo il Basilio del giovane Mert Süngü, che sulle prime ci aveva lasciato un po’ perplesse non per l’esibizione, ma per il nome, che svettava per l’originalità accanto a tanti più comuni. «E dove l’hanno pescato?» ci siamo chieste. Beh, ovunque l’abbiano pescato, hanno fatto bene, perché In quegli anni in cui val poco è stata una vera rivelazione.
Buoni anche Saverio Bambi (Don Curzio, il mio personaggio preferito per la “prolissità” della parte :) ), Cristiana Arcari (Barbarina), Nicolò Ceriani (Antonio.)
Impeccabile la direzione di Michele Mariotti (ma poteva essere altrimenti?), rigogliosamente splendida. Incantevole, in particolare, Non so più cosa son, al punto Parlo d’amor vegliando, che apriva uno scorcio idilliaco.
Consolate, visti gli o tempora che corrono, la regia tradizionale di Martone, che ben rendeva la folle giornata.
Peccato solo doversene andare. La prossima volta, per ricordo, sviterò il numero dietro la poltrona, per dire “io c’ero”... Adesso che sarà di noi, nei cinquatrè uggiosi giorni che ci separano dal prossimo grande evento? Beh. Possiamo lasciare sulle spine voi e non rivelarvi in che cosa consista il grande evento.
Risatazza diabolica.